Si chiama Hurry Sickness e si traduce come “malattia della fretta”. Secondo gli esperti ne soffre oltre il 90% dei manager, ma ormai è diffusa un po’ tra tutti, complice una società che porta a dover agire sempre con un senso di urgenza impellente, a dover rincorrere scadenze di lavoro, ma anche impegni privati, tra famiglia e amici. Non si tratta di una patologia vera e propria, anche se la definizione è nata due cardiologi. Ma le conseguenze possono essere negative per il benessere e la stessa salute.

Cos’è la Hurry Sickness

A coniare il termine di “malattia della fretta” sono stati Meyer Friedman e R.H. Rosenman, in un libro del 1985 intitolato “Type A Behavior and Your Heart”. Nonostante non sia una patologia riconosciuta ufficialmente dalla medicina, i due cardiologi avevano intuito già 40 anni fa quanto la mancanza di tempo e il senso di ansia che questo può portare, possano essere fonte di grande stress. Nel frattempo lo stile di vita tipico della società moderna ha accentuato la difficoltà di vivere “sempre di corsa”.

Vivere nella “società della performance”

«In effetti oggi viviamo in una società della performance: tutto è valutato sulla base del risultato e noi stessi siamo valutati come performer, quindi in base a quanto produciamo (e, di contro, che consumiamo, che è l’altra faccia della medaglia). È come se fossimo tutti criceti che corrono su una ruota, che però rimane immobile e non ci porta in nessun luogo. L’energia, che abbiamo bisogno di investire in qualcosa, di fatto ci fa compiere un movimento compulsivo che ci dà la sensazione di scaricarla, anche se solo apparentemente», spiega Agnese Scappini, psicologa del lavoro e psicoterapeuta.

Ansia di finire le cose

Secondo gli esperti si tratta di un comportamento, che però può arrivare ad avere anche caratteristiche patologiche, quando inizia ad avere riflessi sulla sfera dell’umore o della personalità. Uno degli effetti collaterali più diffusi, però, è sicuramente il senso di ansia che nasce al pensiero di doversi occupare di diverse attività, in poco tempo. Il cosiddetto “andar di corsa”, però, non solo è una delle caratteristiche della società occidentale moderna, ma diventa un dover a causa della possibilità di fare più cose contemporaneamente, grazie anche alla tecnologia.

Hurry sickness colpisce soprattutto le donne

Il problema, però, è che nonostante si sia diffusa l’idea del multitasking (a volte ritenuta una capacità), il cervello umano non è portato a svolgere più compiti contemporaneamente. Se si adatta nel cercare di farlo, perde comunque di efficacia ed efficienza. Come spiega con esempi concreti Rosemary K.M. Sward su Healthline, le donne sono particolarmente colpite, perché spesso di trovano a dover mettere su bucati, seguire i figli nei compiti, preparare la cena e pulire la casa, magari mentre si parla di lavoro al telefono con una collega, il tutto contemporaneamente o quasi. Ma spesso il risultato è di dimenticarsi qualche passaggio importante e di dover ripetere qualche operazione (o la chiamata stessa!).

Quando l’impegno continuo diventa “dannoso”

L’impegno continuo può diventare dannoso. «Oggi la medicina non si occupa solo delle patologie acute, come in passato, ma anche di quelle croniche e autoimmuni. Abbiamo sempre più a che fare con un malessere che perdura nel tempo e pervade il tempo, a causa dell’accelerazione sociale: ci viene chiesto di agire in velocità, in modo crescente e sempre meglio, come fossimo macchine. Ma l’essere umano ha bisogno di pause – osserva Scappini – Non siamo più abituati a recuperare, che invece è un’azione necessaria dopo un grande sforzo o una grande emozione, che sia una gioia o un dolore. Se non ci concediamo una pausa il nostro corpo cronicizza un problema e man mano ci manda messaggi chiari, anche fisici».

Campanelli d’allarme

I segnali di difficoltà possono essere diversi: per esempio, una frequente irritabilità; il pensiero fisso di dover pianificare la giornata ora per ora (o minuto per minuto) alla ricerca dell’organizzazione migliore per incastrare il maggior numero di impegni; il perenne controllo della lista delle cose da fare, per evitare di dimenticarne qualcuna; la percezione di non avere tempo sufficiente per occuparci dei propri compiti, della famiglia e persino di se stessi, che porta a frustrazione. Spesso si arriva anche alla perdita di sonno di notte. Il tutto porta ad ansia crescente e stress, non solo in caso di imprevisti (il traffico in auto), ma come condizione costante.

L’incapacità di porsi dei limiti

«L’essere sempre disponibili, pronti al lavoro, in grado di rispondere alle esigenze professionali è stata amplificata con il Covid e il maggior uso di dispositivi elettronici, per esempio con la possibilità di ricevere email – sottolinea la psicologa del lavoro – È una tendenza molto diffusa nei Paesi del nord, dove non si è “attrattivi” se non lo si fa, ma è anche una sorta di manipolazione da parte del management. La conferma è l’aumento del burnout, dello stress lavorativo, legata all’incapacità di porsi un limite, di conoscere i propri e di dire “no”».

Hurry sickness e gli effetti sul benessere emotivo

Proprio il senso di ansia aumenta il circolo vizioso, perché accresce l’urgenza di dover agire, con fretta. Il dover passare in continuazione da un’azione all’altra, per “smarcare” la to do list, porta a problemi di concentrazione. Una delle conseguenze più frequenti è di dover ripetere una seconda volta ciò che si è svolto, con la consapevolezza di aver perso tempo. Oppure, se non è possibile rifarlo, andando incontro a un senso di inadeguatezza e fallimento dovuto al fatto di sapere di non aver portare a termine il proprio compito in modo soddisfacente. Questo accresce il senso di colpa che spesso accompagna la sindrome della fretta e una sempre maggiore rabbia interiore, che può finire con l’essere sfogata su chi ci circonda.

Voler fare troppe cose peggiora le relazioni in famiglia e con gli amici

Un altro effetto collaterale è il peggioramento delle relazioni con il partner, i figli, i colleghi e in genere con chiunque si venga in contatto. L’urgenza di dover svolgere i propri doveri, infatti, porta a distrazione anche nei rapporti interpersonali: si finisce con il non ascoltare gli altri, col dimenticare le date importanti (persino i compleanni) o con l’isolarsi per concentrarsi su stessi, quindi non supportando gli affetti e precludendosi anche la possibilità di ricevere aiuto o conforto.

Hurry sickness e le conseguenze per la salute

Da un punto di vista puramente fisico, invece, possono iniziare a comparire variazioni nell’appetito, nei ritmi e qualità del sonno, senso di fatica costante, ma anche mal di testa, disturbi intestinali e persino problemi immunitari, causati da un eccesso di stress. Sono tutte condizioni analoghe a quando si vive una situazione di burnout, cioè di esaurimento. Vivere in questo modo può portare anche a un aumento della pressione sanguigna e quindi a potenziali problemi cardiovascolari. Uno studio pubblicato nel 2003 sulla rivista Jama, condotto su oltre 3.300 giovani adulti tra i 18 e i 30 anni, infatti, ha confermato un nesso tra coloro che vivono in modo impaziente e frettoloso, e un maggior rischio di ipertensione (+15% in più).

Come imparare a non avere fretta

Il primo passo per porre fine al circolo vizioso è «riprendere i contatti con la natura: fare, per esempio, un digital detox da device e social; il secondo consiglio è riallacciare i contatti con gli altri, tramite lo sport, un’uscita con amici o a teatro, ecc., così come leggere: quest’ultima, infatti, è un’attività che restituisce un tempo lento. Oggi non si riesce più a farlo perché la lentezza della lettura è diventata troppo distante rispetto alla velocità di acquisizione delle informazioni che ci viene richiesta dalla società – spiega Scappini – Infine, l’educazione alla pausa, cioè darsi un tempo nell’arco della giornata, in cui si sospende l’attività e ci sia un’assenza del fare. è difficile, ma occorre almeno provare!».