L’amore per il Giappone è prorompente nel nuovo romanzo di Laura Imai Messina “Quel che affidiamo al vento“.
Quello di Laura Imai Messina per il Sol Levante è un grande legame: da un semplice viaggio per imparare il giapponese all’età di 23 anni, si è trasformato in meta stabile – vive tra Kamakura e Tokyo insieme al marito Ryōsuke, ai figli Sōsuke ed Emilio e alla cagnolina Gigia – e oggi è lei stessa docente di lingua italiana in alcune delle più prestigiose università della capitale.
Il suo blog “Giappone Mon Amour” è diventato un vero e proprio punto di riferimento per tutti gli appassionati del genere. E il suo libro “Quel che affidiamo al vento” è già in corso di pubblicazione in oltre 20 Paesi, segno che questo affascinante luogo attrae sempre più persone.
Curiosi di conoscere qualche dettaglio della “mitica” Montagna della Balena su cui si spalanca quel giardino chiamato Bell Gardia dove tutto ha inizio?
La trama
Ciò che racconta Laura Imai Messina è una storia vera. Ci troviamo in mezzo al giardino Bell Gardia, sul fianco della montagna Kujira-yama, dove c’è una cabina con un telefono non collegato. No, non è strano. Perché questo apparecchio non serve per chiamare qualcuno quando il cellulare non ha campo: trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone infatti, ogni anno migliaia di persone che hanno perso qualcuno si trovano qui, sulla Montagna della Balena, come viene chiamato il monte, e alzano la cornetta per parlare con i loro cari nell’Aldilà.
Quando si abbatte un uragano violentissimo che coinvolge il giardino, “compare” una giovane trentenne, Yui, pronta a proteggere questo luogo così prezioso anche a costo della sua vita. L’autrice spiega fin da subito che una data separa la donna che era da quella che è: l’11 marzo 2011, il giorno in cui lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava portandosi via madre e figlia. Proprio a Bell Gardia, Yui incontra Takeshi, un medico di Tokyo con una bambina piccola muta dal giorno in cui è morta la madre. I due destini si incrociano inevitabilmente tra fragilità e speranza. In un posto dove magia e realtà coesistono.
A tu per tu con l’autrice
Sei riuscita a utilizzare un linguaggio semplice, educato e rispettoso che infonde pace ed energia al lettore pur raccontando una storia per certi versi difficile. Come ci sei riuscita?
«Versa-asciuga-spezza-dimezza. La lingua è un frutto che si sbuccia, per gradi. Ho scritto prima a fiume ogni cosa vedessi, dal tifone che attaccava la Montagna della Balena alla dichiarazione d’amore di Takeshi per Yui, poi ho iniziato ad asciugare, perché fosse la concretezza delle storie dei personaggi a raccontare la poesia. Poi dopo quattro settimane circa sono giunti gli intermezzi, che ho subito sentito capaci di donare un ritmo particolare alla narrazione, di alleggerire tutto quanto potesse risultare pesante, inaffrontabile emotivamente. La vita è molta più gioia, in genere, di quanto finiamo per ricordarla. Alla fine ho iniziato a tagliare, e il libro si è dimezzato. Non l’ho fatto troppo a malincuore perché sapevo che tutte le scene non inserite nel romanzo mi servivano a capire chi erano queste creature. Ho amato infinitamente curarmi della lingua di Quel che affidiamo al vento, mi è parso di accudire un bambino che stava crescendo».
Il capitolo “Come si fa a rendere i bambini felici di essere al mondo” è davvero toccante: se girassi a te la domanda?
«Non lo so, quello nessuno lo sa. Le cose importanti sono naturalmente instabili, non sono mai una volta per tutte. La felicità è poi la cosa meno ferma che esista. Richiede aggiustamenti continui, sguardi più in là. Questo perché il concetto di felicità per un bambino cresce con lui, e con lui cresciamo noi. Ascoltarli innanzitutto, guardarli mentre ci raccontano i loro piccoli drammi, le assurdità. E poi decidere, anche a costo di scontentarli, per le cose che sono importanti».
Attraverso il tuo profilo Instagram traspare tutto l’amore per il tuo Paese d’adozione. Cos’hai trovato in Giappone che l’Italia non è riuscita a darti? E in che cosa dovremmo imparare da una popolazione che sembra tanto distante dalla nostra ma che non smette di affascinarci?
«Amo profondamente il Giappone. Ho iniziato a capirlo veramente quando sono caduti i pronomi soggetto “noi” e “loro”, “noi” e “voi”. Quando cioè ho smesso di paragonarlo all’Italia. Ogni cultura è un microcosmo e anche ciò che è positivo è parte di un incastro che comprende anche del negativo, sono inscindibili. Prendere un pezzo di una cultura e infilarlo nella propria è quindi impossibile, secondo me. Serve accettare il “pacchetto”. Mi godo infinitamente il Giappone quando sono in Giappone. Gusto ogni momento dell’Italia quando sono in Italia. Fare diversamente mi condannerebbe alla nostalgia. Per fortuna non sempre serve scegliere».
Il romanzo d’esordio e l’amore per il Giappone
Se avete amato “Quel che affidiamo al vento”, siete appassionati di una meta come il Giappone e vi stuzzica l’idea di un viaggio appassionante, vi consigliamo di leggere anche il romanzo d’esordio di Laura Imai Messina, Tokyo Orizzontale, una storia che riesce a far emergere con sorprendente talento il fascino della metropoli attraverso le storie di quattro personaggi le cui strade si intrecciano in modo quasi “sensuale”. Non potrete fare altro di amare ancora di più il Sol Levante insieme a Sara, Hiroshi, Carmen e Jun.
Buona lettura!