Imparare a dire addio e lasciare
Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi
Prima regola d’oro: ricordarsi sempre che una fine segna sempre un nuovo inizio; nella fine è insito il principio. In parole spicciole, se si chiude una porta può aprirsi una finestra, o addirittura un portone (e non per buttarsi di sotto!). Il problema è che nonostante questa consapevolezza più o meno radicata in tutti, spesso il dolore ci sconvolge e ci sovrasta, impedendoci di vedere le situazioni lucidamente e di fare serenamente le cose di tutti i giorni. Bisogna armarsi quindi di forza e di coraggio, e imparare anche alcune piccole “regole” che possono aiutarci a sopportare senza troppa sofferenza il temuto momento.
Cominciamo da un distacco più “tranquillo”, quello dagli oggetti. Lasciare una casa; buttare via i vestiti vecchi; sbarazzarci di ricordi come foto, lettere, carte varie; telefonini (completi di foto e messaggini) rubati; ognuna di queste cose è faticosa e anche un pizzico dolorosa. Perché?
Il carico affettivo da sopportare quando ci si separa da abiti, mobili, libri, è altissimo. Si dice che anche gli oggetti abbiano un’anima. E’ vero, è la nostra anima: gli oggetti ci rappresentano. La nostra identità, infatti, è come un prisma dalle molte facce. Noi proiettiamo desideri e rimpianti sulle cose che ci circondano e queste, a loro volta, ci restituiscono l’immagine di ciò che siamo o di ciò che siamo stati. Per questo opponiamo resistenze a lasciarli andare. Ma l’addio si impone: l’eccessivo attaccamento può generare un senso di soffocamento, di ingombro emotivo.
Per affrontare il distacco che è necessario, la psicoanalista ci suggerisce di pensare che nella vita non ci sono “facchini” pronti a sobbarcarsi il peso del nostro passato. Bisogna imparare a separarci dagli oggetti con un obiettivo preciso: evolvere. Perché nelle cose rischia di cristallizzarsi solo un lato di noi, che invece siamo fatti di tante sfaccettature preziose. Liberarci del passato ingombrante significa fare passi in avanti. Accettare di lasciar andare via il passato che non ci ingombra, ma che per cause di forza maggiore non c’è più, è segno di crescita.
Continuiamo con un distacco più importante, quello dai familiari: riuscire a decidere di fare il grande passo e di andare via di casa non è mai facile, soprattutto se i familiari vivono male la situazione facendocela pesare. Oltre alla malinconia del distacco, si aggiungono così anche piccoli ricatti morali, che ci fanno sentire in colpa: troviamo la forza per superare entrambe le cose pensando che stiamo per immergerci in una sensazione di “beanza”, come viene chiamata in psicoanalisi, di pienezza; stiamo infatti entrando nel mondo dei “grandi”, siamo adulte, stiamo camminando da sole, con le nostre gambe. E’ il motivo vero per cui i genitori ci educano, alla fine li renderemo orgogliosi e renderemo orgogliose anche noi stesse.
E concludiamo con l’addio per eccellenza, quello amoroso. Lasciarsi: croce o delizia? Il distacco è qualcosa di “malinconico e vitale nello stesso tempo”, sia quando a decidere siamo noi, sia quando sono loro; il momento dell’addio è come un lutto e va celebrato con solennità e rispetto; va condiviso con altri, perché spesso si porta dietro un dolore troppo grande da sopportare da soli; ma va anche festeggiato: si rinasce pronti per una nuova vita. La chiave è essere pazienti e aspettare che il naturale corso degli eventi ci porti a far prendere il posto della nostalgia alla leggerezza.
Imparare a dire addio infatti può voler dire anche utilizzare bene e a proprio vantaggio l’arma della leggerezza: un antidoto da utilizzare contro la sofferenza, prenderla a ridere, prendersi in giro, darsi alla pazza gioia per un po’ senza freni, affidarsi agli amici. E darsi del tempo, senza pensare troppo.
Quindi le parole chiave sono:
- – evolvere
- – crescere
- – celebrare
- – condividere
- – festeggiare
- – aspettare
Sono solo parole, è vero. Tramutatene anche una sola in concretezza: il carico si alleggerirà automaticamente. E la volta successiva vi sembrerà un poco più facile.