Ecco l’intervista che le nostre lettrici hanno fatto alla scrittrice Lesley Lokko, ora in libreria con il romanzo Un perfetto sconosciuto (Mondadori):
macozza: Io ho letto Il mondo ai miei piedi e Cieli di zafferano e ho trovato molte similitudini nei due libri: ci sono tre donne diverse fra loro, sono descritti i rapporti con la famiglia di origine e i protagonisti viaggiano molto per il mondo. A quale personaggio dei tuoi libri assomigli? E qual è la tua città preferita e perché?
Oh, no… Non assomiglio a nessuno dei miei personaggi – immagino sia lo stesso per tutti gli scrittori – attingi un po’ da qui e un po’ da lì, qualcosa da un’amica o qualcuno che conosci… e lentamente un personaggio comincia a prendere forma. Ho molte città preferite – allo stesso modo, mi piacciono Londra, Johannesburg, Accra, Edinburgo e così
via. Suppongo che la mia città preferita sia una combinazione di luoghi, invece che una in particolare.
Oh, no . . . I’m not like any of my characters – I suppose it’s the same for all writers – you take a little bit here, a little bit there, something from a friend here, something from someone else there… and slowly a character begins to build up. I’ve got many favourite cities – in the same way, I guess, I like bits of London, bits of Johannesburg, bits of Accra, bits of Edinburgh and so on. I guess my favourite city is a combination of places, rather than a single place.
Tamara29Jo: Vivi tra l’Inghilterra, il Ghana e il Sudafrica quindi viaggerai moltissimo e vedrai sempre luoghi e persone diverse: è questo il segreto per avere tante idee? Viaggiare?
Penso di sì. C’è un grande detto nella mia lingua (il ghanese) “viaggia e vedrai” – credo sia molto veritiero. Sono cresciuta letteralmente tra due mondi distinti, l’Europa e l’Africa, e benché non sia stato sempre facile o comodo, c’è qualcosa nel trasferirsi da un posto all’altro che trovo molto familiare.
I think so. There’s a great saying in my language (Ga, from Ghana), “travel and see” – I think it’s very true. We grew up literally between two worlds – Europe and Africa – and whilst it wasn’t always easy, or comfortable, there’s something about moving back and forward between places that’s very familiar to me.
fantasia: Quale paese ama di più tra tutti quelli che hai avuto modo di conoscere, visitare ed amare?
Mmh, vi sembrerà che non riesca a prendere posizione su niente, ma ho un sacco di posti preferiti relativi a un dato periodo della mia vita. Dal Ghana (da bambina) a Israele (da adolescente) all’America (quando avevo 20 anni) al Sud Africa (legato ai miei trent’anni) e ora che ne ho quaranta Londra, New York, Johannesburg e…credeteci o meno, Pescara.
Il mio ex ragazzo ha lavorato lì per diversi anni e ho dei ricordi splendidi, specialmente del lungomare.
Hmm . . . it’s going to sound as though I can’t make up my mind about anything, but I’ve had lots of favourite places at different stages of my life. From Ghana (as a young child) to Israel (as a teenager) to America (twenties), South Africa (thirties), and now, in my forties, places that are combinations – London, New York, Johannesburg… and, believe it or
not, Pescara. My ex boyfriend worked there for a number of years and I have very fond memories of it, and the lungomare…
anna: Visto che sei cresciuta in diversi paesi, ti senti più europea, americana oppure ghanese? Come mai hai deciso di ambientare quest’ultimo libro a Marrakech?
Come molti dei miei amici cresciuti in Africa negli anni ’60 e ’70, siamo un po’ questo e un po’ quello. Mi sono sempre piaciuti i posti che integrano culture diverse. Il Nord Africa è così, sospeso tra il clima e la geografia mediterranea e una cultura araba e islamica che fa comunque parte dell’Africa. È un Paese stupendo… finalmente una buona ragione per
parlarne!
Like many of my friends who were born in Africa in the ‘60s and ‘70s, we’re a little of both, maybe even a little of everything. And I’ve always been interested in places that are on the cusp of two (or three or more) different cultures – North Africa is like that, suspended between a Mediterranean climate and geography, an Islamic, Arabic culture and yet part of Africa. It’s an amazing city and country… one good reason to write about it, at least!
susietolstoj: C’è uno scrittore che è stato fondamentale per la crescita artistica di Lesley Lokko? O un romanzo di cui non riesci a dimenticare delle frasi?
I libri di Nadine Gordimer (un’autrice sudafricana) e David Malouf (uno scrittore australiano) sono quelli che leggo prima di dormire da quando avevo tredici anni…
The novels of Nadine Gordimer (a South African writer) and David Malouf (and Australian writer) have been my constant bedside companions since I was about thirteen…
xeni: Credo che molte di noi si riconoscano nella protagonista del romanzo. In Un perfetto sconosciuto c’è qualcosa di autobiografico oppure è un romanzo frutto di fantasia? Cosa normalmente fa scattare la scintilla che da il via alla stesura dei suoi romanzi?
È tutto frutto della mia fantasia, anche se ho imparato molto dagli amici, guardando dvd e film batticuore… e ovviamente ci sono anche episodi che si ispirano alla vita reale (ma non intendo svelarvi quali!).
It’s all the fruit of fantasy, although I’ve learned a lot from friends, watching endless heart-house DVDs and films . . . and a little bit of real life thrown in, (but I daren’t say which bits!).
Miky e romina: Quando decidi di scrivere e iniziare un nuovo romanzo hai già in mente l’ambientazione, lo stile, la narrazione oppure man mano che prosegui si aprono nuove idee?
In parte per via dei miei studi di architettura prima di diventare scrittrice, sono stata molto influenzata dal concetto di struttura, fondamenta, dettaglio etc, per cui ho un approccio molto metodico. Decido i personaggi, le location, luoghi e tempi della storia e così via. È un processo passo passo, almeno per me.
Partly because I trained as an architect before I became a writer, I’m very influenced by that training – structure, foundation, detail, etc., so I’m quite methodical about my approach. I decide on a cast of characters, locations, settings, timing, and so on. It’s quite a step-by-step process, at least for me.
elisabetta: I libri che si scrivono sono un po’ come i figli? Li si ama tutti enormemente e si ripete che sono tutti egualmente importanti ma in fondo ce n’è uno che rimane sempre più nel cuore? Per te è così? Qual è quello al quale sei più legata?
Beh, siccome non ho figli, può darsi… Credo Rianne de Il mondo ai miei piedi, il mio primo romanzo, avrà sempre un posto speciale nel mio cuore – in parte perché è stato il primo personaggio che ha preso vita nella mia testa… ma no, sono tutti importanti, anche se non penso a loro come amici, piuttosto come frammenti di amici.
Well, since I don’t actually have children, maybe ! I think there’s always a special place in your heart for the first one – in this case, Rianne, from Sundowners, my first novel – partly because she was the first person to come ‘alive’ in my own head… but no, they’re all important, although I don’t think of them as friends, I have to say. More like bits of friends.
michellemybelle: Ricordi il tuo stato d’animo, le tue sensazioni, il luogo nel quale ti trovavi quando hai deciso di iniziare a scrivere “seriamente” il tuo primo libro? Mi piacerebbe tantissimo conoscerli.
Da bambina ero un’avida lettrice – leggevo qualsiasi cosa, persino le etichette dei barattoli di marmellata – perciò l’atto anzi il processo di scrivere mi è venuto piuttosto naturale. Scrivevo trame e poesie a non finire, canzoni, racconti brevi… nessuno degno di nota, naturalmente, ma bisogna pur partire da qualche parte! Quando ho cominciato a farlo come professione, nel senso che qualcuno mi avrebbe letto e mi avrebbe persino pagato per il piacere di scrivere, ero terrorizzata.
I was a great reader as a child – would read anything, even the labels on jamjars – so the act – if not the process – of writing was quite natural to me, in some ways. I used to write endless plays and poems, songs, short stories… all of it rubbish, of course, but you have to start somewhere! When I decided to do it for a living – in the sense that someone else
would read it and perhaps even pay me for the pleasure of doing it – I was terrified.
inima: Ho letto che sei laureata in architettura: una facoltà che apparentemente c’entra poco con la letteratura. La passione per la scrittura è sempre esistita in te anche quando ti dedicavi ad altri studi oppure è arrivata più tardi? Cosa ti ha spinta a scrivere il primo romanzo?
Sento spesso dire che l’architettura e la letteratura sono agli antipodi dello spettro creativo, ma per me si somigliano molto. Entrambe contemplano la proiezione, nel senso che crei dal nulla qualcosa che non esisteva – disegnare un palazzo nel caso dell’architettura, immaginare e scrivere nel caso di un romanzo – ed entrambe sono strutturali nel loro
approccio – per un architetto, cominci da un sito, poi da una bozza, infine costruisci e la gente va ad abitare nel posto che hai costruito. Parlando di scrittura, invece, si comincia da un personaggio o da un’idea, che poi nutri, comincia a prendere vita etc, perciò lo trovo un processo piuttosto analogo. Credo sia stata Toni Morrison a dire che gli scrittori sono sempre lettori prima di diventare scrittori, quindi suppongo che in questo frangente si tratti di due mondi distinti. Se sei un avido lettore, consideri la scrittura una compagna di vita costante, anche se a scrivere è qualcun altro. Non è così per un architetto: devi prima imparare a disegnare, creare, edificare etc. il che è un processo molto più lungo.
Ma l’architettura coinvolge diverse persone, e penso sia questa la differenza più grande oltre che la ragione per cui adoro tanto scrivere – ci sei solo tu con la tua immaginazione e la tua penna (beh, il tuo computer). Costruire è un processo molto più complesso che coinvolge tutti tranne te: pianificatori, clienti, appaltatori, idraulici, elettricisti, muratori, ingegneri etc etc.
People often say that architecture and literature are at opposite ends of the creative spectrum, but for me, they’re very much alike. Both involve projection – in the sense that you bring something into being that doesn’t yet exist – drawing a building in the case of architecture, imagining and writing in the case of a novel – and both are quite structural in their approach – for an architect, you start with site, then drawings, then building, then people occupy what you’ve built. In the case of writing, you start with characters, or an idea, then you flesh it out, it gets more detailed, etc., so again, for me they’re quite similar. I think it’s Toni Morrison who said writers are always readers before they become writers, so I suppose in that way, they’re different – if you’re a great reader, you grow up with writing as a constant companion, even if it’s someone else’s writing . . . that’s not the same for an architect – you generally have to learn how to draw, build, make, etc., which is why it takes so long. But architecture also involves lots of other people, which is the main difference and partly why I enjoy writing so much – it’s just you, you imagination and your pen (well, computer) – building takes forever and seems to involve everyone else except you – planners, clients, contractors, plumbers, electricians, brick-layers, engineers, etc., etc.
Paola: Cara Lesley, adoro scrivere ed ho un libro nel cassetto del mio comodino iniziato e mai finito. Ti capita mai di rileggere quanto scritto e trovarlo inappropriato oppure ti ritrovi sempre nei pensieri e le frasi scorrono via veloci?
All’inizio, pensavo che non l’avrei mai finito – continuavo a modificarlo per renderlo “perfetto”, anche se non avevo idea di cosa volesse dire la perfezione. Con l’esperienza, ho imparato a lasciare andare le cose, a fidarmi del mio istinto e a preoccuparmi di meno. Detto questo, ogni volta che invio un manoscritto finito al mio editore, non dormo la notte…
In the beginning, I thought I’d never finish – I kept writing and re-writing, trying to make it ‘perfect’, even though I had no idea what perfect might be. As I’ve become more experienced, I’ve learned to let go of things, to trust my own instinct and to worry less. Having said that, every time I send a finished manuscript to my editor, I have sleepless nights…
findegil: Fino al 2004 non hai pubblicato niente, poi 6 libri in 8 anni, quasi uno all’anno. Erano progetti che tenevi nel cassetto che attendevano di prendere vita su carta o hai semplicemente incontrato difficoltà nel trovare chi li pubblicasse?
Quando ho cominciato a scrivere (veramente), ero ancora una studentessa d’architettura, perciò scrivevo di notte o durante il fine settimana. Poi, cominciato il dottorato in architettura, insegnavo, lavoravo e studiavo a tempo pieno, e riuscivo a scrivere solo una volta ogni due mesi. Al momento della pubblicazione de Il mondo ai miei piedi, invece, avevo finito il mio dottorato e mi sono finalmente potuta permettere di interrompere qualsiasi altra attività parallela – e ora scrivo praticamente sempre… in pratica, una volta l’anno!
When I first started writing (properly), I was still an architecture student, so I wrote at night, and on the weekends. Then I did a PhD in architecture so was teaching, practising and studying full-time – then I could only write for pleasure every other month. When Sundowners was published, I finished my doctorate and could afford to stop everything else – and now I pretty much write all the time . . . yes, one a year!
nadia.27sett: Di questa recensione, ahimè, confesso che un po’ “soffro” nel sentir descrivere ancora una volta una protagonista come una donna bella, di successo, realizzata con grandi soddisfazioni, Insomma una donna ancora una volta molto diversa dalla maggior parte delle donne, per quanto moderne siano. L’unica, cinica (lo ammetto) consolazione è che anche lei prende una solenne cantonata in amore come la grande maggioranza delle comuni mortali, per le quali è frequente ritrovarsi con un perfetto sconosciuto anche dopo molti anni di presunta convinta condivisione di talamo e tetto. Giusto per farmi i fatti tuoi, ma è successo anche a te? 🙂
Talmente tante volte che ho perso il conto. Contrariamente a quello che ci viene detto (anche se devo ancora incontrare chi dice queste cose), penso che per le donne sia più difficile ora che mai. Il femminismo e la lotta per l’eguaglianza per cui le generazioni di donne precedenti hanno lottato (per noi) ci hanno dato moltissime opportunità, è vero, ma le pressioni che vive una donna nel fare tutto e avere tutto – carriera, famiglia, un compagno, successo – sono enormi, probabilmente come non era mai successo in passato.
Too many times to count! Contrary to what we’re always being told (though I’ve yet to meet the person who actually says these things), I think that women have it harder now in many ways than ever before. Feminism and the struggle for equality that previous generations of women fought for (on our behalf) brought us many opportunities, it’s true, but the pressures on women to ‘do it all’ and ‘have it all’ – career, family, partners, success – are enormous, perhaps more so now than ever before.
la_fio: Ho letto Il mondo ai miei piedi per la prima volta 6anni fa, e da allora è il mio libro preferito, in assoluto. Ho letto anche tutti gli altri libri e ogni volta provo la stessa sensazione di venir trasportata dentro la storia, di essere lì con i personaggi. C’è un personaggio dei tuoi libri che è la tua “proiezione”, un personaggio in cui ti rispecchi più degli altri? Sembra così strano che Rianne, Rhiito, Paola e tutti gli altri vivano solo nella
tua testa (e nella nostra!). E poi quella spiacevole sensazione di abbandono quando si chiude l’ultima pagina, è una prerogativa di noi lettori? O anche tu ti sente un po’ sola quando finisci di scrivere un libro?
Oh, no… Penso che anche gli scrittori sentano quella sensazione di abbandono quando finiscono un libro. La cosa buffa che ho notato è che passa così tanto tempo da quando finisci un libro a quando viene pubblicato (circa un anno, a volte anche di più) che, quando il libro è finalmente in libreria e la gente (fan, giornalisti, editori) vuole parlarne, tu l’hai già dimenticato. Mi è successo innumerevoli volte in radio che un giornalista mi facesse una domanda su un dato personaggio di cui, nel frattempo, mi ero completamente dimenticata.
Oh, no… I think writers too ‘suffer’ abandonment when a book is finished. The one funny thing I’ve noticed is because there’s such a long gap between finishing a book and it actually appearing in print (up to a year, sometimes more), by the time the book is actually on the shelves and people (fans, journalists, magazine editors) want to talk about it, it’s been long forgotten in your own mind. I’ve lost count of the times I’ve been on radio, talking to a journalist and they ask me a question about a character whom I’ve almost completely forgotten…
aquarius: Attraverso Sam, la protagonista single e affermata, emergono altre figure di donne che hanno inseguito l’amore e il matrimonio forse per i motivi sbagliati. Pensi che ancora oggi, in un mondo che tende sempre più all’emancipazione femminile, la donna si lasci influenzare, nelle scelte d’amore, da un bisogno di fuga da se stessa e dalle situazioni di vita in cui si sente imprigionata?
È una domanda interessante, non ho una risposta concreta, ma posso dire che il divario tra l’idea hollywoodiana di romanticismo e la nostra vita reale sembra particolarmente marcato oggigiorno, eppure (come donne) basiamo spesso le nostre scelte su nozioni d’amore datate e all’antica. In un’epoca in cui le donne possono guadagnare più degli uomini, avere una carriera molto più importante e gratificante di quella di un uomo, in cui le donne possono crescere i figli da sole e non c’è più quello stigma legato a un genitore single o al divorzio come una volta… i ruoli di “uomo” e “donna” sono cambiati e in continuo mutamento – e nessuno (né gli uomini né le donne) sembra avere una risposta per quanto concerne chi si vuole essere, cosa si vuole fare nella vita etc. Insomma, penso sia un periodo difficile per tutti, maschi, femmine, giovani, anziani… per tutti noi.
It’s an interesting question – I have no concrete answer for it – except to say that the gap between the ‘Hollywood’ idea of romance and our real-life situation seems wider than ever nowadays, and yet we (as women) often make choices based on a rather out-dated and old-fashioned notions of love. In an era where women can and often do out-earn men, where they can have a career that’s every bit as important and gratifying as a man’s, where so many women bring up children on their own and there isn’t the stigma attached to single parenthood and divorce as there once was… the respective roles
of ‘man’ and ‘woman’, especially in relationships, is changing – and no one (neither men nor women) seem to have the answer in terms of how to be, what to do, how to share, etc. I think it’s a difficult time for everyone, male, female, young, old… all of us.
saetta9: Un motivo per cui dovremmo leggere il tuo libro? Chi è Lesley Lokko per Lesley Lokko?
Sono stata un ibrido tutta la vita – non sono del tutto europea o africana, nera o bianca, né architetto né scrittrice e mi piace questa condizione di non essere né l’una né l’altra cosa… è un giro di parole per dire che i miei romanzi si collocano tra la finzione commerciale e la finzione letteraria, né l’una né l’altra. Mi piace che ai miei personaggi piacciano Prada o Zara e poi, al contempo, trattano accordi, viaggiano il mondo, coinvolgono gli altri personaggi a livello politico e storico… proprio come nella vita reale, credo. Ricevo e-mail dai miei fan di tutto il mondo (non tutte positive) ma la cosa che sento dire più spesso, e che amo, è che hanno imparato qualcosa dai miei romanzi… che si tratti del capire cosa voglia dire essere un rifugiato in Somalia o cosa abbia significato vivere sotto l’apartheid o essere la moglie di un soldato… c’è qualcosa per tutti.
I’ve been a hybrid all my life – not quite European, not quite African; not black, not white; not entirely an architect but not entirely a writer either, I quite like the position of not quite one thing, not quite another… it’s a long-winded way of saying that my novels sit somewhere between commercial fiction and literary fiction, not exactly one or the other.
I like the fact that my characters are into Prada and Zara and yet at the same time make deals, travel the world, engage on a political and historical level with other characters… much like real-life, I think. I get fan mail from everywhere (not all of it positive, I have to say!) but the one thing that most people say, which I love, is that they’ve learned something from the novels… whether that’s what it might be like to be a refugee from Somalia, or what life under apartheid might have been like, or what it means to be an army wife… there’s something in there for everyone.