Non mi capita spesso. Non mi capita quasi più. Ed è un peccato perché quella è una sensazione bellissima. A un certo punto della mia vita ho smesso di sentirmi figlia e sono stata scaraventata in prima linea, responsabile di me stessa e del mio mondo senza possibilità di appello. Non è solo questione di diventare madri e passare così dall’altra parte della barricata. Non c’entra con il doversi a propria volta prendere cura di qualcuno più bisognoso di noi. Sentirsi figlia è la consapevolezza che esiste un porto sicuro in cui rifugiarsi. È la via di fuga dal carico mentale. È la possibilità di ritirarsi dietro le quinte e lasciare che altri, al posto nostro, pensino. Temo che la perdita del privilegio c’entri con l’età. Arriva un momento in cui bisogna fare un passo avanti e dire: «Tranquilli, me ne occupo io». Arriva un momento in cui i genitori diventano un po’ figli e i figli diventano adulti. E io, a tutti gli effetti, forse mio malgrado, sono un’adulta.

Elogio dell’irresponsabilità a Natale

Eppure per qualche giorno, intorno a Natale, torno nel guscio morbido dell’irresponsabilità. Succede quando andiamo a trovare i miei suoceri, a Bari, in una casa vicino al mare, dove, improvvisamente e felicemente, ritrovo quella che ero e che vorrei essere ancora. «Voi qui vi dovete solo riposare» è la legge non scritta ma ferrea che vige tra quelle mura. «Posso cucinare?» «Non se ne parla» «Fare la spesa?» «Abbiamo il frigorifero pieno» «Pulire?» «Già fatto». I miei suoceri, nonostante gli anni, gli acciacchi e il venerando ruolo, non ammettono deroghe alla sacralità della nostra nullafacenza.

Tempo sospeso e relax in famiglia

Tra Natale e Capodanno, mentre i miei figli si ingozzano di panzerotti e orecchiette e coltivano le loro radici non solo gastronomiche, mio marito e io regrediamo a uno stato di torpida e scriteriata beatitudine. A cinquant’anni suonati ci prendiamo il lusso, in questo magico tempo sospeso, di arretrare all’adolescenza, quando il soddisfacimento dei bisogni primari e secondari era il solo motore del nostro andare. Ma invece di approfittare di questo rigurgito di incosciente immaturità per concederci una indefessa socialità o sedute di sesso tantrico o feste dionisiache, lui e io dormiamo. Dormiamo come bambini, come ghiri, come chi non dorme da un anno intero. E non c’è niente di più bello che abbandonarsi al sonno mentre qualcuno, fuori dalla porta si assicura, al tuo posto, di tenere tutti i pezzi in ordine. E quando, stropicciati, riemergiamo, qualcuno si premura di mettere a tacere il nostro eventuale senso di colpa: «Bravi, avete riposato! Adesso avrete fame. Ci sono i taralli dolci con il tè che vi aspettano».

L’irresponsabilità è un regalo

In questi giorni placidi e festosi in cui torno figlia trovo le forze per essere solo madre il resto dell’anno. E sono grata di questo privilegio perché l’irresponsabilità è un regalo magnifico a cui tutti, una settimana l’anno, avrebbero diritto.