Intervista a Caterina Cavina
Ogni corpo ha una storia da raccontare. E su un corpo, e la persona che contiene, Caterina Cavina ha imperniato il suo primo romanzo, Le ciccione lo fanno meglio. Il corpo è quello di Alice, trentenne emiliana che i benevoli definirebbero “abbondante”, e i malevoli “cicciona”, appunto. In comune con Alice, Caterina ha lo spirito caustico e la taglia extralarge. Ha una teoria, «La nostra società celebra solo la mediocrità. Quello che esce dalle righe del mediocre non viene trattato in modo normale. Vedi, io sono una donna grave obesa che vive una normale vita fatta di lavoro, amicizie, relazioni sentimentali e sessuali. Non c’è la fila sotto casa mia, ma non mi posso lamentare. Tuttavia, solo il fatto che dica “Ebbene sì, sono una grave obesa ma i maschi non mi mancano”, fa notizia. In realtà la mia è la norma. Quante donne grasse conosciamo che hanno marito, figli e amanti? Tante». Però colpisce molto il modo in cui l’obesità di Alice finisce quasi per spersonalizzarla agli occhi dei suoi corteggiatori. Spiega Caterina, «Il cugino Elvis desidera Alice in quanto obesa. Gli altri uomini desiderano Alice in quanto femmina fragile, disposta a concedersi senza fare tante storie. Nella vita funziona spesso così, può succedere anche alle magre e belle. Non vengono viste come persone, ma solo come organi genitali. Anzi, direi che capita spessissimo».
L’argomento trattato da Caterina rischia di mandarla a ingrossare le fila delle rappresentanti del “Grasso è bello”, nel suo caso c’è il pericolo di rimanere incastrata in un ruolo. Caterina alza le spalle, «So di correre questo rischio. Ma non sono molto preoccupata. Mi dimenticheranno in fretta e potrò scrivere in tutta calma il secondo libro, dove la protagonista sarà magrissima. Non venderò una copia? Correrò il rischio».
Da qualche anno Caterina Cavina ha un blog personale, www.grassaebella.splinder.com, dove racconta molte sue avventure. Si pensa sempre che la narrativa delle donne debba essere autobiografica, come se non ci riuscisse di immaginare altri mondi al di fuori del nostro. «In effetti sembra un male tutto italiano non avere scrittrici, ma solo pruriginose diariste. Tuttavia, credo che anche gli scrittori maschi attingano molto da se stessi. Sono convinta che Il Signore degli Anelli sia più autobiografico di quel che si creda. Il fatto è che un tempo nessuno si chiedeva quanto vi fosse di vero in una storia. Flaubert, poveretto, ci aveva provato dicendo «Madame Bovary sono io», ma nessuno gli aveva creduto. E in ogni caso viveva in un’altra epoca, non rischiava certo di finire a L’Italia sul Due a spiegare quant’è difficile vivere, da donna fedifraga, nel corpo di un uomo. Con il sessuologo di turno a commentare il tutto».