Lo faccio sempre in un giorno di primavera perché è la stagione dell’ottimismo. Tuttavia, nonostante la rinascita del mondo, il risveglio dei sensi e il sussulto vitale del mio negletto balcone urbano, io quel giorno affronto il mio appuntamento con la leggerezza dei condannati.
L’ansia da mammografia
Mi presento all’accettazione rattrappita in un grumo di angoscia. «Tessera sanitaria, prego» ordina una voce oltre il vetro. Gliela consegno tremante, come se le stessi affidando l’anima. «Per mammografia ed ecografia si accomodi in sala d’attesa al piano meno 1». Perché gli esami ansiogeni sono, relegati nei sotterranei? Mi accomodo rigida su una seggiolina di metallo. Vorrei sorridere alle altre, donne che aspettano ma mi esce un ghigno allucinato a cui nessuna si azzarda a rispondere. Entro nel tempo, sospeso dei buoni propositi e delle promesse. «Se andrà tutto bene sarò più gentile e più saggia, diventerò vegetariana e non dirò più parolacce». Non paga, procedo nel mio delirio virtuoso: se andrà tutto bene coltiverò la gratitudine e mi disintossicherò dallo smartphone. Ormai senza alcun, freno mi lancio nel baratro: leggerò la Costituzione a memoria. Ma, soprattutto, se andrà tutto bene, e anche se andrà tutto male, mi farò un regalo. Lo comprerò oggi stesso.
L’esito della mammografia
Qualcuno pronuncia il mio nome. «Prego, entri. Si spogli dalla vita in su». Ci deve essere un errore., Questa aitante creatura in camice potrebbe essere mio, figlio a cui non affiderei nemmeno la lavatrice, per non parlare del mammografo. Il tecnico sembra tuttavia conoscere il fatto suo e io resisto alla tentazione di chiedergli l’età. Trattengo il fiato e lo lascio lavorare. Alla fine, muto, mi fa rivestire e mi affida alla senologa, – anche lei insensatamente giovane – che conclude l’esame. Per smorzare la tensione, sproloquio di yoga e cioccolato, due miei grandi cavalli di battaglia. Lei mi, guarda con pietosa condiscendenza e sentenzia: «È tutto a posto, torni tra un anno».
Buoni propositi
Riemergo in superficie in preda a sfrenata euforia. Vorrei correre in scivolata nell’atrio come Tony Manero sulla pista il sabato sera. Mi ricompongo a fatica. Diventerò, vegetariana e leggerò Proust. Almeno ci proverò. E il regalo? Presto! C’è un negozio di abbigliamento, proprio qui accanto. Davanti alla vetrina sono in deliquio. Voglio tutto, grazie. Poi arriva lui, il censore interno, è sempre maschio. Intima di calmarmi. «Il tuo premio è già il risultato fausto del controllo. Ora basta, sceneggiate. Torna a lavorare». Abbiamo imparato a fare prevenzione, a reggere lo stress dell’attesa, a lasciarci visitare da medici poco più grandi della nostra prole. Il prossimo passo è ignorare il censore e coprirci di regali perché ce lo meritiamo e ogni occasione è quella giusta. No, in quel, giorno di primavera io non ce l’ho fatta. Provvedete voi a vendicarmi, per quest’anno.