Nel nostro immaginario è un personaggio da thriller: la scrittrice di Basic Instinct con il volto seducente di Sharon Stone o il fondatore di Scientology ritratto da Philip Seymour Hoffman in The Master. In realtà, il manipolatore è una figura molto più comune e meno riconoscibile di quanto si immagini, insidiosa e ambigua. Ed è fra noi. Può essere un insegnante o un capufficio, un allenatore o una familiare. Qualcuno che fa leva sulla vulnerabilità altrui per trarne vantaggio. O che si mostra sicuro di sé per conquistare chi di certezze sente la mancanza.
Come riconoscere un manipolatore
Il suo identikit è inscindibile da quello di chi lo segue, i due si incastrano come lo yin e lo yang. «In tutti noi ci sono due spinte. Da un lato la volontà affermare i propri desideri e obiettivi, dall’altro il bisogno del sostegno altrui. Sono naturali in tutti i rapporti umani ma in alcuni casi si spingono all’eccesso, nell’uno e nell’altro senso» spiega Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, autore di La via d’uscita: una guida, come recita il sottotitolo, a “liberarsi dalle relazioni, che fanno male: come curarle, quando, interromperle” (Bur Rizzoli).
«I manipolatori hanno un bisogno estremo di affermazione e potere, spesso con un tratto psicotico e un comportamento predatorio» afferma Dimaggio. La manipolazione non implica coercizione, neppure in situazioni meno lampanti. Nessuno è obbligato a seguire i consigli di un collega che sembra amichevole e disinteressato ma intanto riesce a pilotarti verso la mossa sbagliata, facendo leva sulle tue insoddisfazioni e insicurezze, per emergere a tuo svantaggio. «Ci sono persone che hanno un bisogno enorme di far riferimento agli altri per una carenza profonda di autostima e potere decisionale» continua Dimaggio. «E così prestano il fianco a chi ha una natura dominante, rinunciando a cercare ed esprimere la propria. Seguono chi si propone come leader dalle idee chiare, soprattutto se questo comporta l’appartenenza a un gruppo, che rende ancora più sicuri».
Come liberarsi
Come accorgersi che si tratta di un sostegno illusorio, per non dire dannoso? «Quando non si riesce a compensare un vuoto molto profondo, si cade in depressione: il senso di abbattimento e spesso di debolezza fisica sono i campanelli d’allarme di una relazione che provoca sofferenza, dalla quale è meglio svincolarsi. L’altro campanello d’allarme è una modalità di pensiero che ho definito, “se solo l’altro”, cioè l’idea che staremmo meglio se l’altra persona fosse diversa o si comportasse in altro modo. È una sorta di “vulnerabilità attiva”: vediamo nell’altro la fonte del nostro dolore, ma in realtà ne siamo complici, perché siamo noi stessi a dargli un potere».