In questo momento intorno a me regna il caos. E io, che ho perso il controllo su tutto, sono raggomitolata sul divano e mi rimpicciolisco piano piano. Le transizioni mi fanno sempre questo effetto. Ogni equilibrio che si rompe, ogni lavoro che finisce, ogni aereo che decolla, ogni affetto che si allontana mi tramortisce.
Guardo i figli fare le valigie per la loro vacanza
Intorno a me i miei figli stanno preparando i bagagli. Tra qualche ora prenderanno un aereo e partiranno per la loro vacanza. Da soli, perché, mio malgrado, cerchiamo di incoraggiare l’indipendenza. Mio marito è all’estero per lavoro perché gli uomini, quando servono, sono altrove. Il pavimento è coperto di ciabatte, asciugamani, giacche, magliette, scarponi («Cosa te ne fai? Non stai andando in montagna!» «C’è ovunque una montagna da scalare, Cla». «Non chiamarmi Cla, sono tua madre». «Ok Cla».), di libri che non leggeranno mai, di pezzi sbrindellati delle loro vacanze sfrenate. Un figlio si aggira seminudo per casa – la schiena curva, lo sguardo vitreo, la postura dei maschi che soffrono pene d’amore – alla ricerca di qualcosa di essenziale che non troverà.
Io, dall’alto del mio divano, li osservo stranita e sospesa. L’estate, per i lavoratori free lance è il tempo incerto dell’attesa di un rinnovo, per chi ha bambini piccoli è la stagione del funambolismo organizzativo, per chi ha adolescenti è il momento di lasciarli andare, confidando nel loro scarso senno e nelle troppe raccomandazioni. Gli animi nomadi e bradi in estate si sentono finalmente a casa. Invece io no. L’andirivieni mi toglie il terreno sotto i piedi. Quando gli altri partono – figli, amici, marito – penso che non sarò mai in grado di sopravvivere senza di loro. Sono convinta che, lontano dai loro fuochi, mi spegnerò.
Poi trascuro il disordine e mi godo il silenzio
In questo momento aiuto i miei figli a chiudere le valigie e li accompagno in aeroporto, mi dibatto, da brava free lance sul mio futuro professionale prossimo, sento, come ogni estate, la fine del mondo approssimarsi e mi domando se mai imparerò. Perché ho già danzato intorno a questo baratro senza mai caderci dentro sul serio. So esattamente cosa succederà tra qualche ora. Tornando a casa troverò un gran disordine e molto silenzio. Trascurerò il primo e mi godrò il secondo. Chiamerò un’amica e questa sera probabilmente ci vedremo per raccontarci la leggerezza della solitudine. Forse, dopo una birra, avremo persino l’ardire di programmare una vacanza insieme che però, almeno per i prossimi cinque anni, non riusciremo a fare.
Avrò sofferto per nulla?
Penserò che ho sofferto per nulla, che le caselle sono al posto giusto e quelle mancanti si sistemeranno prima o poi. Questa sera, al massimo domani, avrò lasciato andare tutto e mi sentirò anche io un po’ in vacanza. La nostra storia ha corsi e ricorsi. Il nostro ottovolante emotivo fa sempre gli stessi giri della morte e termina da decenni nello stesso punto, sotto le fresche frasche. Quando ce ne ricorderemo saremo finalmente adulte.