Siamo stati allevati dalla fame, da secoli. Per generazioni, quelle dei nostri nonni e degli avi prima di noi, avere fame è stato un bisogno così primario e ovvio da accompagnare ogni giornata: fame di tutto, di cibo, di opportunità, di acqua calda e calore, fino al punto da non sentirla più. Oggi tutto è cambiato e i nonni di adesso, adolescenti degli anni Cinquanta e Sessanta, già fanno parte di un’altra storia. Abbiamo scaffali dei supermercati pieni, traboccanti (fin troppo). Nel mondo in cui viviamo, l’Europa di questo nuovo secolo, il cibo non è mai stato così disponibile e a buon mercato. Resistere alle tentazioni è diventata la grande impresa e così, fra obesità infantile in tragico aumento e disturbi dell’appetito come anoressia e bulimia, varchiamo il nuovo secolo con poca consapevolezza di quanta fame abbiamo, dentro.
Quando mangiamo male perdiamo di vista il senso autentico del nutrirsi e intanto ci tappiamo la bocca con il cibo per non dire le emozioni. La fame, quella rimane: ce la portiamo dietro, dentro. Allora, in questa epoca in cui affrontiamo la vita a lo stomaco pieno forse per la prima volta nella storia, è giunto il momento di reimpostare il nostro rapporto con il cibo. Possiamo iniziare a fare pace con questa fame atavica. Per riuscirci, puntiamo il dito lì dove siamo e cominciamo a capolgere la visione che abbiamo avuto fino a ora: impariamo a celebrare la pienezza dell’esistenza. Sì, riassaporare e ritrovare il senso di pienezza ci aiuterà a sconfiggere la fame atavica scritta nel DNA da millenni di storia e allora, forse, potremo riscrivere l’informazione memorizzata nei nostri geni e dare una nuova eredità ai nostri figli e nipoti.
Che cosa significa “mindful”?
Un atteggiamento mindful è un atteggiamento consapevole. Ormai da anni la mindfullness, che ha preso ispirazione dalle partiche meditative buddhiste, è stata applicata al campo della psicologia e delle tecniche di riduzione dello stress diventando un vero e proprio trend. In realtà possiamo trasferirla a qualsiasi campo della nostra esistenza, perché ha a che fare con l’atteggiamento con cui affrontiamo la vita, una nostra disposizione interna. “Mindful” significa dare attenzione a ciò che stiamo facendo e dunque essere pienamente immersi nel qui e ora, saper vivere il momento presente. Diventare osservatori di se stessi costituisce la grande avventura della meditazione, ma è qualcosa in cui possiamo allenarci ogni attimo della giornata. Si tratta di un esercizio costante che stimola a “osservare” la vita mentre accade e osservare noi stessi mentre la viviamo. Per farlo è necessario un passo indietro, è questa piccola azione a dare una componente fondamentale della consapevolezza: la giusta distanza.
Come affronti la vita?
Attraverso prospettive differenti impariamo a guardare, e affrontare, i problemi in modo diverso perché la visione che abbiamo di noi stessi e degli eventi si trasforma quando cambiamo prospettiva e guardiamo le cose “a distanza”. Gran parte dei nostri problemi, in effetti, viene proprio dal fatto che non riusciamo a uscirne perché “ci siamo in mezzo”, ci sentiamo troppo coinvolti e anneghiamo dentro. Ci hai mai fatto caso? Accade anche con il cibo. Quando ti alimenti in modo non consapevole ingurgiti roba senza nemmeno ricordarti cosa esattamente tu abbia appena portato alla bocca. Oppure ti affami con giudizi massacranti, dettati dalla mente e da cose che hai letto.
Quando facciamo così imponiamo al corpo quello che crediamo sia giusto e nel frattempo, involontariamente, lasciamo scivolare via ogni sapore: ci perdiamo il gusto della vita. Tutto il contrario di un atteggiamento all’insegna della consapevolezza che, invece, ci stuzzica a andare in profondità, dentro di noi, avere il coraggio di SENTIRE i nostri desideri, soprattutto quelli inconfessabili. E rischiare di vivere un’esistenza coraggiosamente autentica.
La parola “consapevolezza” viene dal verbo latino “sapere”, che ci rimanda al… sentire. Sapere è “aver sapore” e allora grazie all’esplorazione dei nostri sensi la conoscenza può diventare saggezza, quel sapere che ci portiamo dietro sottobraccio, nel cuore, in punta di dita e sulla lingua. Ogni giorno
Abitudine: il primo ostacolo al cambiamento
Cambiare è davvero possibile? Sì, lo è. Possiamo cambiare vita, lavoro, stile, alimentazione. Attenzione, però. Come per ogni cambiamento all’inizio sarà necessario impegno e fatica. Non solo, per cambiare realmente è necessario calarsi in profondità dentro noi stessi e individuare la chiave di volta, ovvero il tassello su cui si regge la costruzione che per anni abbiamo dato per scontata. Dentro c’è il filo che ci lega all’abitudine. Tendiamo a dare per scontati i valori e le convinzioni su cui si regge la nostra esistenza. Inoltre, fare ciò che abbiamo sempre fatto è più facile e questo ci porta a evitare di metterci in discussione. Grazie al potere dell’abitudine puoi andare a occhi chiusi, con il pilota automatico, ammettilo. Ci vuole tempo, voglia e pazienza per imparare una cosa sconosciuta. Ma in cambio, ciò che possiamo trarne è la meravigliosa scoperta che sta fra il bruco e la farfalla. Dopo la fatica dell’attesa la trasformazione illuminerà una nuova fase dell’esistenza.
Prima di mangiare
Il passo da fare prima di ogni altro è prenderti una pausa e sederti in silenzio… con un foglio bianco accanto. Questo è il consiglio di Paola Iaccarino Idelson, biologa nutrizionista e specialista in Scienza dell’alimentazione, e Marina Mosca, cuoca e studiosa della storia e della cultura del cibo, autrici del libro “mindful kitchen. Cinque passi per un’alimentazione consapevole” (EnricoDamiani Editore). Anche se si tratta solo di cinque minuti, dedica un momento di attenzione consapevole alla tua lista della spesa e al menù dei pasti. Fermarti ti aiuterà a prendere coscienza dei tuoi bisogni, pensare a una spesa qualitativamente migliore e operare scelte migliori a livello alimentare.
Dove ti troverai a pranzo questa settimana? In che stagione siamo oggi? E tu dove vivi? Creare menù più pensati non ha a che fare solo con verdure di stagione e prodotti a km zero, ma con le tue necessità. Sii paziente con te stessa, sii gentile e impara a sorriderti: non sfinirti per cercare di essere Wonder Woman! Ci sarà il giorno in cui andrai di fretta e quello in cui avresti solo voglia di divorare la prima cosa che trovi in frigo. Va bene così. Dillo più spesso: va bene così. Il grande nemico a cui abbiamo di togliere potere è l’ansia di perfezione, quell’energia terribile che ci devasta perché o facciamo tutto per bene o non vale niente. Non è così.
Mezzo è meglio di niente, inizia a dirti questo. Invece di dis-prezzare impara a a-pprezzare, inizierai a dare un prezzo al tuo impegno aggiungendo valore positivo a ciò che fai (per la felicità della tua autostima!). Abbiamo bisogno di imparare a incrociare i bisogni autentici del corpo, ovvero ascoltare e decodificare la fame, e negoziare con quello che è il nostro stile di vita, l’ambiente.
Onestà, la chiave del cambiamento
Ci sono cose che non vogliamo vedere, ma… ciò che non ammettiamo è lo scoglio che ci divide dalla vita che vorremmo. Se ami acquistare verdure fresche, ma finisci per abbandonarle ad ammuffire in frigo c’è qualcosa da cambiare nella routine. Per esempio, potresti cucinare e congelare in porzioni. L’abitudine a congelare sughi e verdure, da abbinare con cereali cotti al momento o proteine, è un’ottima idea per sfruutare al massimo spesa e tempo. Un altro esempio? Ami i dolci, inutile negarlo. Anzichè affamarti, con il rischio dell’abbuffata che si ritorce contro come un boomerang a tempistiche regolari, potresti imparare nuove ricette, preparazioni gustose con ingredienti spesso trascurati, come la frutta secca, oppure regalarti un dolce come momento di una celebrazione pensata.
Vorremmo avere tempo per prepararci pasti sani, ben pensati, ricchi di vegetali. Ma la zuppa di legumi da mettere a bagno otto ore prima è da mesi che agonizza in dispensa. Non tutti siamo cuochi per vocazione e spesso il tempo che abbiamo è pochissimo, invece di punirti per questo impara a scegliere. Le ricette contadine di un tempo ci raccontano che anche un semplice pane, da mangiare con pomodoro fresco, sale e un filo d’olio, può essere un pasto da re, soprattutto se gli ingredienti sono buoni e se ci fermiamo a gustarlo. A proposito, al centro della tavola tieni un piatto con tanti frutti di stagione e una caraffa d’acqua, ti ricorderai di fare pausa con ciò che ti fa bene.
Crea un nuovo ricettario
Per imparare nuove abitudini ci vuole pazienza, curiosità e… amore. Guardati intorno, metti a fuoco la verdura di stagione e leggi una nuova ricetta. Quando scegli di sperimentare fallo con tutti i sensi: una preparazione non è da scegliere solo per il lato salutare, ma perché capace di stuzzicare i sensi, oppure, per esempio, perché desideri offrire questo piatto a chi ami. Tutti i motivi che rientrano fra le cose in grado di farci felici sono un’ottima ragione per sperimentare un nuovo piatto. Quello che ci mette di buon umore alza la qualità della nostra vita.
Hai mai pensato che scrivere un ricettario potrebbe aiutarti a ripensare ai piatti che fanno la tua cucina? Siamo affezionati alle polpette della nonna perché era lei a prepararle, ma se desideri effettuare un cambio di vita hai bisogno di ripartire da te, dai tuoi reali bisogni. Puoi scrivere le tue sperimentazioni e mentre aspetti, fra tagli e cotture, persino fermarti a disegnarle. Con “Il taccuino mandala della buona cucina” (Gribaudo Editore) il ricettario diventa un momento per nutrire il corpo e l’anima mescolando colori e parole. Sai che colorare è un’attività antistress non solo per bambini ma anche per adulti? Entrambi, cucinare e fare mandala, hanno a che fare con il tempo e ci insegnano a fermarci, respirare e vivere il momento.
Ascoltare il corpo è un allenamento
Non avevi nemmeno fatto caso al tempo, ma ora che guardi l’orologio ti rendi conto che l’ora di cena è passata da un pezzo. Che fame! È capitata anche a te questa situazione, vero? Lasciare da parte l’orologio, almeno nei giorni liberi, ci avvicina al nostro tempo interno e ci aiuta a scoprire un altro ritmo. Magari anche tu da bambina sei stata educata al mantra “finisci tutto ciò che hai nel piatto”, senza contare che spesso la voce del corpo è camuffata dalla pubblicità e dalle voglie “della mente”. Quando accade la verità dei sensi diventa una vocina sempre più piccola e noi finiamo per mangiare di tutto, solo per assecondare il partner, gli amici, un bisogno del cuore, o i desideri degli occhi.
“I comandi del cuore influenzano il comportamento di una persona” ci ricorda Giuseppe Cloza nel suo libro “Lifefulness. La pienezza della vita attraverso il Buddhismo” (Giunti).: “Lo stato emotivo si trasmette in tutto il corpo attraverso le vibrazioni del campo energetico cardiaco. Il suo ritmo cambia al cambiare delle emozioni”. Chi ha la possibilità di osservare un bambino all’inizio della sua vita può trarre una verità incredibile sulla verità delle sensazioni. I piccolissimi quando non hanno più fame… basta, si fermano. È chiaro che non per questo si debba cadere nello spreco e buttare tutto ciò che resta nel piatto. E allora? Per esempio, possiamo iniziare a prendere meno: riempire meno… il piatto, la bocca. Ti accorgerai che qui entra in gioco anche la fame degli occhi, la fame che a volte è anche fame di gratificazioni istantanee, fame di coccole e piacere.
Con chi mangi?
Un approccio mindful, consapevole, applicato al cibo significa cambiare modello e iniziare a fare un lavoro su se stessi: una ricerca che ci porterà dentro la storia, nostra e persino più indietro, quella tramandataci dal sistema in cui abbiamo vissuto, scuola e famiglia. Dovremo attraversare le nostre paure e i nodi conflittuali che non ci siamo mai raccontati, ma è un viaggio necessario se vogliamo crescere, noi e i figli del domani, imparando una buona volta a creare una pace possibile fra fame e piacere, iniziando a “sentire” davvero il corpo.
“A tavola si misura l’amore quando non trova altro modo di essere espresso, quando le parole mancano, gli abbracci scarseggiano. O, ancora, si esprime quel nutrimento indispensabile per vivere che tiene i figli, anche se ormai adulti, legati ai genitori da un cordone ombelicale. Chi si assumerà l’ardire di sconvolgere l’ordine costituito che, seppur conflittuale, è infinitamente rassicurante? Per un figlio ci vuole coraggio a riconoscere la propria maturità e smettere di rifiutare le cose verdi nel piatto come se avesse sempre tre anni. Ci vuole autodeterminazione”
Marina Mosca
L’importanza del piacere
Cerca una risposta che metta d’accordo l’organizzazione familiare e lavorativa, senza rinunciare al valore nutrizionale e… al piacere! Sì, non fare l’errore di sottovalutare il fattore piacere perché spunterà a tradimento quando meno te lo aspetti. In profondità, è anche il motivo dietro al fallimento di tante diete: non ci si può affamare più di tanto, non possiamo disciplinare i bisogni del corpo con le idee che abbiamo in mente. Ricorda che il fattore emozionale occupa una percentuale incredibilmente importante in ogni scelta della nostra vita, dalla tavola ai cambiamenti di lavoro, solo che non ce ne rendiamo conto. Censuriamo i nostri reali desideri e poi li mettiamo a tacere con un surrogato, ma prima o poi l’inganno verrà a galla perché il piacere lascerà posto a un sapore dolceamaro sempre più difficile da dissimulare.
Saper concedere al nostro corpo, e a noi stessi, un credito di fiducia a volte è la più difficile delle lezioni, ci vogliono anni per imparare e fino alla fine sarà una scommessa. Hai voglia di un gelato oggi? Conceditelo, anzi fai di più. Celebralo. Trasformalo nella tua pausa pranzo. Sceglilo come ti piace, gustalo fino in fondo. Non c’è nulla come il senso di colpa capace di buttarci giù. Il tuo corpo non desidererà gelato all’infinito così come probabilmente ti sorprenderà, con una richiesta di acqua e leggerezza quando la tua mente meno se l’aspetta.
Come mi sento veramente?
Mangiamo troppo rispetto al nostro fabbisogno e a dire il vero in tanti casi… non abbiamo neanche idea di quanto ci basterebbe mangiare! Pensa alla semplicità di un piatto come la panzanella toscana: pane raffermo, pomodoro fresco, cipolla, sale, olio. Le ricette povere di un tempo avevano tutto il necessario. In Asia, il pasto che vendono ovunque in strada è ancora un pasto fatto così, un brodo caldo ricco di spezie a cui viene aggiunta sul momento una manciata di spaghetti (carboidrati), qualche pezzo di pesce o carne (proteine) e verdura. Il digiuno o mangiare pochissimo di sera è qualcosa a cui i popoli un tempo erano abituati, così come, in effetti, erano temprati dal freddo e dalla fame. Oggi, al contrario, viviamo un’epoca del “troppo pieno”: questa messa a riposo del corpo potrebbe essere un dono prezioso. Ma la nostra mente ancora non accetta questa informazione e tende a vivere il consumare meno come allerta anziché bisogno di star bene. Inizia a osservare i tuoi “pieni” e i tuoi “vuoti”.
Quando ti siedi a tavola
Siamo (ancora!) vittime del modello primo-secondo-dolce… no! Non solo non è necessario, questo è il modello di un giorno di festa, il problema è che abbiamo esteso la festa a ogni giorno della settimana. Scegli una (o più, se ne hai a disposizione!) verdura, sarà la protagonista del tuo piatto, aggiungi una porzione di carboidrati e una, più piccola di proteine. Ognuno ha bisogno di quantità diverse, a seconda della vita che conduciamo.
Secondo l’antica scienza dell’Ayurveda la quantità giusta… è quella che possono contenere i palmi delle tue mani, che chiuse insieme formano una ciotola. Guarda le tue mani, osservale mentre tagli, cuoci, condisci. Respira, profondamente. Mettici amore, ogni volta più che puoi. In Cina si dice che non dovremmo mangiare quando siamo troppo stanchi, arrabbiati o tristi. La cucina è un ponte, fra noi e gli altri e da noi stessi al nostro corpo.
L’altro in te: nemico o ospite?
Daresti mai a un tuo ospite qualcosa che non sia ciò che per te è più bello? Gli diresti “no, non mangiare”, oppure lo affameresti o offenderesti offrendogli qualcosa fatto male, o “avariato”? Eppure noi lo facciamo spesso… con noi stessi. Ci diamo gli avanzi peggiori, ci appesantiamo con i sensi di colpa o affamiamo a suon di disciplina. Poche volte invece prendiamo un momento per preparare quanto c’è di meglio in dispensa e godere del pasto con gioia. La parola “ospite” in italiano ha un doppio significato: indica sia chi offre, sia chi riceve ospitalità. Sembra che il significato originario di ospite sia “straniero, pellegrino”. E se provassimo a riceverci come dei viandanti capitati per caso sulla nostra strada? Forse sarebbe l’occasione per conoscerci in modo nuovo e imparare a stare in compagnia di noi stessi, trovare l’altro in noi, anziché cercare gli altri per rimpire posti a tavola e nello stomaco.