Il figlio sta per andare all’università. È tutto pronto. Le valigie sono state caricate nel bagagliaio e il padre scalpita per partire (gli uomini, si sa, sublimano lo stress con la frenesia). La madre si aggira per casa lacrimosa e smarrita. «Guarda cosa ho trovato!» singhiozza mentre sventola sotto il naso del suo ragazzone nerboruto un paio di scarpine da neonato. «Sono le tue!» esclama, i lacci delle due piccole reliquie al collo, in una sublime interpretazione di materna devastazione.

I figli grandi che ci sembrano sempre piccoli

Quella donna, protagonista di una scena memorabile di un film perdibile (Transformers 2), almeno per un attimo siamo noi che, prima o poi, dobbiamo lasciare andare i nostri bambini. E non importa se oggi sono creature barbute, gigantesche, formose, giunoniche, se portano il 45 di scarpe e la quarta di reggiseno, perché, nel nostro immaginario distorto, loro restano batuffoli con piedini come panzerotti e guance di gommapiuma. «Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti» scriveva il poeta Khalil Gibran. Dovremmo essere archi e invece ci sentiamo chiocce. Conosciamo la teoria ma, dopo aver chiuso la porta alle loro spalle, ci ritroviamo raggomitolate in una camera disabitata, in contemplazione di pupazzi impolverati, macchinine arrugginite con cui nessuno gioca più da anni.

Tutti i lati positivi del nido vuoto

E se invece la loro partenza fosse solo lo strappo di un cerotto, un dolore passeggero, anticamera di una libertà duratura? Se la loro emancipazione fosse anche la nostra? Se la casa deserta fosse il luna park dei nostri festini sfrenati? Se, smessi i panni di genitori a tempo pieno, ci ritrovassimo amanti? Se quel vuoto potesse riempirsi di tutti i sì che non abbiamo detto per abnegazione, per spirito di sacrificio o del dovere?

L’esperienza di Francesca, che vive a Miami

Francesca Rinonapoli ha due figli – Sebastian e Stefano, di 21 e 18 anni – fa l’agente immobiliare e vive a Miami. «Negli Stati Uniti la partenza per il college è un rito di passaggio a cui si arriva preparati. Tocca a tutti e se ne parla moltissimo, anche tra madri. I giornali sono pieni di articoli su come affrontare il distacco e di testimonianze di celebrities che non sfuggono al destino comune del nido vuoto» racconta, forte dell’avvenuto distacco dal primogenito che studia a New York e pronta all’uscita di casa del secondo in autunno.

Da madre apprensiva, se i figli sono vicini sto sveglia la sera ad aspettare il loro rientro. Ma nella distanza mi deresponsabilizzo e vivo meglio

Gli americani poi, ben più di noi, sono programmati per reinventarsi in ogni fase della vita e Francesca, immigrata negli Usa da oltre 20 anni, ha imparato il gusto della trasformazione. «Certo, bisogna ricostruirsi ma alla fine sono contenta di affrontare questa nuova avventura in cui la coppia si ritrova e si può partire per un viaggio con gli amici o organizzarsi una serata senza render conto a nessuno».

L’autonomia dei figli? È un successo!

Qualche consiglio per chi ancora si aggira con le babbucce al collo e rimpiange il tempo dell’accudimento e delle notti insonni? «Non fate mai sentire i figli in colpa! Non condividete con loro la vostra tristezza. Evitate il vittimismo e sorridete» sottolinea Francesca. E se le mamme d’America sono professioniste del distacco, anche in Italia stiamo imparando. «A parte ansie e malinconia, una madre deve essere contenta quando i figli lasciano il nido perché è un segno che, dal punto di vista evolutivo, le cose sono andate bene. L’autonomia dei figli è un successo» rassicura Loredana Cirillo, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro a Milano.

Nel nido vuoto si riscopre lo spirito di coppia

Certo, è faticoso non avere più nessuno da governare tuttavia tra le madri contemporanee, anche da noi, prevalgono il bisogno di libertà e la possibilità di pensare a sé. Nella maggior parte dei casi incontrati dalla dottoressa Cirillo «genitori 50-60enni, una volta rimasti soli, ritrovano lo spirito di coppia in una relazione liberata da una fonte di conflitto e tensione e quindi più pacificata». Fuori i figli, quindi, non bisogna dimostrare più niente a nessuno e ci si può finalmente dedicare l’uno all’altra nella complicità.

La testimonianza (doppia) di Rossana

«Qualche mese dopo il trasferimento a Roma per studiare, mio figlio ha smesso di portare i panni da lavare a casa. È stata la cosa che ho preso peggio» ammette Rossana De Michele, fondatrice della piattaforma storielibere.fm e madre di Giovanni, 23 anni, e di Emma, 22, entrambi fuori dal nido. «Ho avuto l’impressione, in quel momento, che non gli servissi più». Tuttavia, una volta appurata la superiorità del pargolo in fatto di bucato («i miei panni fanno schifo mentre i suoi sono sempre splendenti»), ha cominciato a chiedergli consigli su detersivi e ammorbidenti e a costruire con lui una relazione adulta, anche fuori dalla lavatrice. «Mi chiama spesso per raccontarmi cose buffe o che lo colpiscono».

Emma invece è più riservata. «Non condivide nulla della sua vita e delle sue emozioni e, se è triste, vengo a saperlo da TikTok. Ma è sempre stata così, anche quando viveva con noi e, paradossalmente, adesso che è lontana siamo più vicine». Rossana si sente fortunata e oggi, dopo un bel pezzo di vita dedicato alla prole, si è rimessa in gioco anche dal punto di vista professionale, consapevole che dedicandosi al lavoro «non faccio più torti a nessuno». E nella coppia? «Abbiamo ripreso dove avevamo lasciato: ci siamo ritrovati. È divertente recuperare aspetti della nostra vita di un tempo».

Per gestire il nido vuoto: abitudine e fiducia

Quando Olimpia, a 17 anni, è partita per la Nuova Zelanda per un semestre, «è stato chiesto a noi genitori quante volte avremmo desiderato sentirla» dice Marianna Corte, giornalista. «Tutti i giorni» ha risposto il papà. «Tutte le volte che vorrà» ha detto la mamma. «Il risultato è stato che Olimpia voleva sentirci molto poco. Ma non ci è mancata». Le due parole chiave per gestire l’assenza dei figli sono, per Marianna, «abituarsi e fidarsi. La cosa più difficile è accettare che, dopo che si è lasciato il nido una prima volta, succederà ancora e ancora e occorre fare pace con la perdita del controllo».

Del resto, sappiamo sin da quando sono piccoli che il nostro lavoro è renderli indipendenti

In assenza di Olimpia, i genitori hanno rinnovato la sua stanza di bambina per adeguarla alla ragazza che è diventata, hanno smesso di programmare la loro quotidianità e hanno scoperto che senza figlia «la testa è più leggera e il tempo si dilata».

Ritrovare il coraggio di spiccare il volo

Un mio amico aveva due canarini. Li aveva chiamati Cassandra e Martino e aveva stabilito che fossero una coppia. Un giorno aprì la gabbia deciso a lasciarli liberi. I primi tempi loro restarono lì, perplessi e timorosi, di fronte al vuoto di una porta spalancata. Poi presero coraggio e una mattina volarono via felici. I figli se ne vanno e, all’improvviso, ci ritroviamo liberi, come Olimpia e Martino. Come loro, dobbiamo soltanto ritrovare il coraggio di spiccare il volo, magari evitando di restare impigliate in un paio di scarpine da neonato.