Fino a qualche tempo fa io, per uscire, mi truccavo sempre. Non lo facevo soltanto per le occasioni professionali o mondane. Mi truccavo anche per andare in panetteria, a lezione di yoga, a gonfiare le gomme della bicicletta in cortile. Niente di vistoso, sia chiaro. Il minimo sindacale del make up – correttore, fondotinta, blush, mascara, talvolta ombretto – ma comunque irrinunciabile. Pensavo spesso che fosse una seccatura iniqua poiché ai maschi, salvo eccezioni volontarie, viene risparmiata.
No make up: via il trucco!
Ma perché mi ostinavo a farlo? Me lo sono domandato a lungo ultimamente. In principio mi sono detta che era una questione di decoro e di ordine personale. Ma non era una risposta onesta. Perché mai un viso senza fondotinta o blush dovrebbe essere indecoroso? La verità era un’altra, non particolarmente edificante: mi truccavo per essere desiderabile. Perché ogni situazione, anche la più innocua, richiedeva obbligatoriamente un potenziale seduttivo. Per chi? Non certo per la fornaia, per quegli sciamannati dei miei compagni di yoga né tantomeno per l’anziano e bizzoso vicino di casa. E allora? Per nessuno e per tutti, per la malsana convinzione che le donne debbano essere seducenti. Per l’insensata vergogna di essere smascherata pubblicamente nel mio naturale pallore verdognolo.
Ma perché noi donne non possiamo mostrarci nella esangue onestà delle nostre occhiaie mentre il pingue signore del piano di sopra può esibirsi in ciabatte e canottiera, impunito nella sua antiestetica sciatteria?
La libertà di non piacere per forza
Un giorno un’amica coetanea mi ha chiesto se anche io, come lei, percepissi la menopausa come una gigantesca liberazione. «Be’ sì, una liberazione dal ciclo mestruale» ho risposto. «No, non solo!». «Una liberazione dal rischio di gravidanze indesiderate?». No. C’era altro, per lei ben più rilevante: «Io con la menopausa mi sono affrancata da quell’assurda idea di perfezione. Mi sento libera di vestirmi come voglio, di avere il corpo che piace a me, di disinteressarmi a quello che pensano gli altri. Per te non è così?». Non ho osato ammettere che io, scema, ero ancora schiava del mito della desiderabilità. Tuttavia nei giorni, nelle settimane e nei mesi dopo, quella dichiarazione di indipendenza dai canoni ha scavato nella mia coscienza, come un piccolo seme ribelle.
E ho cominciato a sperimentare l’ebbrezza: sono andata al supermercato senza fondotinta e con la felpa di Marracash ereditata da mio figlio. Sono andata a prendere un caffè con un’amica senza mascara e con i capelli pazzi. Ho persino fatto una storia su Instagram appena sveglia, senza alcuna vergogna.
Nessuno se ne è accorto perché, in realtà, agli altri non importa nulla del nostro aspetto. E, soprattutto, invece di sentirmi sciatta o colpevole, mi sono sentita come una diva di Hollywood in incognito: libera e fichissima.