Paura di amare: come superarla
Il titolo richiama alla memoria un film degli anni ‘90 nel quale il protagonista cerca in tutti i modi di far innamorare la donna della quale si è invaghito e dopo tanta insistenza finalmente vivono assieme una notte di passione. Ma lei, già fortemente restia all’amore e a qualsiasi forma di legame, si ritrae ancora di più mostrando la sua reticenza a volersi impegnare in una storia seria.
È chiaro che la necessità di difendersi dinanzi a qualcosa che fa paura è assolutamente naturale. Ma in alcuni casi diventa eccessiva.
La capacità di innamorarsi esprime sicuramente un’evoluzione in termini psicologici, ma in soggetti con patologie caratteriali la relazione diviene espressione di difficoltà più profonde (Ameruoso, 2015, pp.33 in “Desiderare la genitorialità”)
La paura d’amare si manifesta proprio in questo modo: il senso di panico assale l’individuo che si avvicina ad un altro con la consapevolezza che possa provare un sentimento e quindi innamorarsi. Ansia, sudorazione, nervosismo prendono il sopravvento e la soluzione immediata è proprio la fuga. Si parla di philofobia che deriva dal greco philo (amore) e fobia (paura) ed ha presumibilmente origini infantili poiché risale alle prime relazioni genitoriali.
Il modello di attaccamento e le esperienze primarie condizionano fortemente l’affetto di ogni singolo individuo. È così che la difficoltà a instaurare un rapporto di fiducia e di amore si manifesta. Un rifiuto materno può determinare una paura incondizionata di essere nuovamente respinti o l’evitamento del contatto e dello scambio emotivo può indurre il bambino a sviluppare delle problematicità nel contesto di coppia una volta adulto.
E come?
Nella relazione stabilire i confini è ben difficile soprattutto tra due persone che stanno assieme da tempo. La fusione di alcuni aspetti di sé diventa indispensabile poiché qualsiasi tipo di rapporto è determinato da dinamiche di proiezione.
Quest’ultima è un meccanismo di difesa primario dell’Io che permette di “riversare” sull’altro aspetti di sé non accettati. È più facile “negarli” o non riconoscerli (molto spesso non ne si ha consapevolezza poiché il procedimento è inconscio) e dirigerli invece verso l’altro. In questo caso il partner diviene portatore di particolari aspetti proiettati su di lui e nei quali si identifica entrando in un processo definito collusione. In questo modo la coppia mantiene un equilibrio.
Entrambi hanno necessità l’uno dell’altra per “sopperire” a tali mancanze ed accettare quelle caratteristiche di sé e riversarle nella coppia. Definirne l’appartenenza è poi difficile poiché la fusione confonde ciò che prima era ben delineato.
Lo stesso avviene per la fobia specifica, ossia la paura irrazionale nei confronti di un evento, oggetto, circostanza o individuo. È quest’ultimo a rappresentare l’ostacolo più grande nella philofobia perché dallo stesso può nascere un’eventuale sofferenza amorosa. Ma su di lui si riversa qualcosa che nasce internamente e che trova espressione all’esterno. In definitiva non è l’altro a far paura ma ciò che su di lui viene proiettato (angoscia dell’abbandono, tradimenti, paure, etc.).
Le esperienze tendono a influenzare qualsiasi forma di comportamento che riguardi le relazioni. Nel caso dell’affettività, una separazione, un abbandono traumatico o un tradimento nella storia familiare tale da suscitare una risposta emotiva forte nel soggetto che la vive (o la subisce) porterà lo stesso ad avere gravi défaillance sul piano sentimentale.
Ma come fare?
La prima cosa è richiedere l’aiuto di un esperto per poter capire da dove insorge tale fobia e a quale evento nello specifico è connessa. Conoscere gradualmente una persona permette di comprendere quali aspetti del proprio carattere e della propria personalità possono spaventare ed eventualmente lavorarci su.
Il modo più diretto per poter allentare un forte tensione è liberarsi dell’emozione che la stessa suscita (“mi fa paura il potermi legare”, “con te mi sento agitato”, “quando siamo assieme mi capita di provare delle emozioni che qualche volta non riesco a gestire”) e quindi “comunicare” all’altro cosa provoca la sua persona. In questo modo ci si rende più vulnerabili al suo cospetto ma sicuramente si percepiscono in maniera più chiara le sue intenzioni.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona (Dante, Inferno canto V)