Avere paura dei ragazzi
Il relazionarsi con l’altro sesso non è sempre facile e scontato, soprattutto durante l’adolescenza. Ecco cosa ci ha scritto una nostra lettrice:
Buonasera, sono una quasi diciottenne e c’è un problema che mi affligge ogni giorno di più. Non riesco a relazionarmi, ad iniziare un discorso o a continuarlo con i maschi. Il tempo passa e vedo le mie amiche fidanzarsi e altro e ciò mi fa veramente male. Da cosa è dovuto? Dalla figura di mio padre sempre presente ma anche troppo severo?
Perché si ha paura dei ragazzi? Il rapporto con le figure di riferimento condiziona fortemente la modalità di approccio con le persone all’esterno della famiglia. Si tende ad interiorizzare la relazione strutturata con ogni singolo genitore, con la coppia genitoriale e degli adulti tra di loro. L’insieme di queste dinamiche diventa il modello a cui facciamo riferimento e a cui attingiamo quando ci si rapporta agli altri.
È facile quindi che confrontandosi con l’altro sesso, soprattutto le prime volte, si esterna quello che abbiamo dentro, il nostro prototipo familiare. Anche in amore avviene la stessa cosa. Le prime esperienze di approccio, legate al periodo dell’adolescenza, momento in cui si pone attenzione alle amicizie maschili, ai primi batticuori, al giudizio degli altri e al confronto con loro, sono fondamentali e importanti poiché l’idea di ‘coppia’, di ‘relazione’, di ‘attrazione’ e di ‘sessualità’ si sperimenta proprio in questi frangenti.
Crescendo e manifestando la propria fisicità, il proprio desiderio di intimità nell’approccio con l’altro sesso può insorgere un’inibizione. È possibile che un genitore particolarmente severo, attento, possessivo, punitivo o vigile funga da ostacolo alla eventualità di viversi i rapporti interpersonali in maniera libera e spontanea. Il ‘fantasma’ paterno funge da impedimento, da blocco alla propria immediatezza e espansività ed allora la sofferenza, il dubbio di essere diversi o la considerazione che non si avrà mai un fidanzato, prende il sopravvento.
Questo vissuto potrebbe essere consequenziale ad una fantasia di punizione da parte del genitore. È facile altresì che emerga un senso di pudore a fronte della manifestazione di un interesse e quindi per evitare l’imbarazzo che ne deriva, si rifugge. Relazionarsi, dialogare liberamente è come scoprirsi, mostrarsi per quello che si è anche con i propri difetti. Ciò che più fa paura non è quello che pensa l’altro di noi, ma ciò che noi pensiamo di noi stessi. E in definitiva non si può pretendere di conoscere tutto sin dall’inizio ma bisogna davvero mettersi alla prova, considerando che l’oggetto delle attenzioni non è ‘il genitore’ ma qualcuno di diverso sul quale si ‘riversa’ la propria paura.
Un adulto non chiederebbe mai a sua figlia di essere diversa da come è. Per ogni genitore il figlio rappresenta il fiore del proprio giardino che vorrebbe sempre vedere rigoglioso e solare. Dinanzi alle timidezze bisogna affrontare le cose per gradi partendo dalla più semplice per poi passare alla più complessa. ‘Esercitarsi’ nelle relazioni, cominciando con un’amica, con un compagno ‘neutro’, sfidarsi. Il confronto non è con gli altri ma con se stessi. L’amore verso di sé si costruisce e si fortifica sempre di più col tempo.
Se un genitore è autorevole o severo non necessariamente lo fa per creare ‘sofferenza’ ma perché probabilmente è spaventato da ciò che potrebbe accadere se non controllasse la crescita dei figli, se non ponesse delle regole e dei limiti ai loro comportamenti. Per cui, parlare in maniera più sincera anche con gli adulti potrebbe ‘agevolare’ le relazioni esterne e renderle più fluide e schiette.