Pretendere troppo da noi stesse potrebbe essere il mantra della vita che conduciamo, consapevolmente o meno. Trascorriamo ore a incastrare un fittissimo programma di attività in una giornata di lavoro, cercando di mettere quante più cose possibili perché così abbiamo l’impressione di aver dato il giusto valore produttivo al tempo a nostra disposizione.

Nel corso della nostra vita, dalla tenera infanzia fino all’età adulta, ci viene inculcato che cosa vuol dire essere persone di successo. La definizione di quella parola sembra scritta nella pietra eppure, se ci fermiamo un attimo a pensare, ci rendiamo conto che è basata puramente su convenzioni sociali e aspettative che esistono anche da troppo tempo, ormai. Il successo dell’epoca moderna è legato all’individualismo che contraddistingue la nostra società.

Ci si aspetta che il concetto di successo possa essere applicato a tutti, e in maniera uguale e omogenea, ma sappiamo bene la verità che si cela dietro questo concetto solo in apparenza così democratico.

Misurare il successo per non pretendere troppo

Questa parola non è misurabile in alcun modo. Non possiamo misurare il nostro successo né possiamo paragonarlo a quello di un’altra persona che abbiamo vicino. Non dovremmo confrontarlo con quello di nostra madre, di nostro padre, di un amico, di un collega. A onore del vero, sarebbe meglio non confrontarlo neanche con quello che abbiamo avuto in passato. Il successo è misurabile solo quando lo paragoniamo alla nostra soddisfazione personale, frenando l’istinto di pretendere troppo da noi stesse.

La parola successo dovrebbe essere trasformata in un concetto più sano e raggiungibile. Personalizzato e cucito sulle nostre misure. Sospendere il giudizio degli altri e il proprio, al fine di ottenere una soddisfazione personale, è la base per smettere di pretendere troppo. Avere successo significa stare bene: se stare bene significa lavorare otto ore al giorno, ben venga. Se stare bene significa scegliere la casa e mettere davanti i figli, altrettanto bene. L’importante è essere soddisfatti di se stessi, e questa sensazione dev’essere incrollabile. Nessuno può dirci com’è fatta la vita di successo, perché semplicemente nessuno è come noi.

Eccellere o pretendere troppo?

Che cos’è il perfezionismo? Si tratta di un aspetto del nostro carattere che, in alcuni settori della nostra vita, può diventare patologico e clinico. È un’eccessiva dipendenza a puntare alla miglior valutazione possibile di sé, andando all’inseguimento e al raggiungimento di standard personali ultra esigenti e spesso autoimposti.

Voler far bene è fisiologico e anche sano. Sappiamo tutti, però, che valutarsi nell’interezza per un unico aspetto della nostra vita (sia esso il lavoro, lo studio, lo sport o un’attitudine ideale) è altamente rischioso e poco salutare. Qualora dovesse capitarci di fallire nel nostro campo d’eccellenza – e non è questione di se, ma di quando – la nostra percezione di noi stesse finirebbe inevitabilmente per andare in frantumi, provocandoci un senso di fallimento ben peggiore di quello che dovrebbe essere. Marginalizzare le altre aree della vita e pretendere troppo da un solo aspetto della stessa è la strada per l’autodistruzione. Non dobbiamo dimenticarcelo mai.

Tutti vogliamo eccellere. Troviamo il piacere nel far bene, nel raggiungere buoni risultati quando magari non ce li aspettavamo. Pretendiamo troppo quando permettiamo che un errore, per quanto piccolo e trascurabile, incrini la nostra percezione di noi stesse. Gli errori sono umani e capitano a tutti. Gli errori sono parte della nostra vita e non sono una colpa personale, un marchio d’infamia, un tatuaggio indelebile. Gli errori sono un momento passeggero da cui possiamo perfino imparare qualcosa. Se siamo mai andate da uno psicoterapeuta, questo ci avrà detto almeno una volta che ogni situazione di crisi si trasforma in un’opportunità. Anche se è difficile da vedere lì per lì, mentre siamo accecate dal fallimento, questa opportunità c’è davvero. Eccome se c’è!

Apprezza ciò che sei, perché vai bene così

Volersi migliorare è un concetto nobile e accettabile. L’importante è non farne una malattia o un’ossessione. Mettere in discussione i nostri standard personali e le convinzioni che abbiamo costruito in una vita di idee poco salubri potrebbe essere difficile, ma è il primo passo per apprezzare ciò che siamo davvero, rimuovendo la lente della perfezione che ci fa pretendere troppo da noi stesse.

Il primo passo per tollerare meglio quel senso di frustrazione che emerge quando non riusciamo a essere perfette come vorremmo è quello di modificare il linguaggio e le parole usate per dare forma a quegli stessi concetti. È necessario modellare il nostro modo di pensare, così da arrivare a concepire l’errore in maniera più flessibile, più tollerante e meno drammatica. Impariamo a mettere in prospettiva le cose e a farlo anche per quanto riguarda chi abbiamo vicino: di solito, siamo molto più severe con noi stesse di quanto non lo siamo con gli altri. Mostriamoci la stessa indulgenza, empatia e comprensione e impariamo che l’equilibrio sta nel correggere senza mai lasciarsi precipitare nel panico.