Psicologo a scuola: se ne parla da tempo
Dello psicologo a scuola si parla da tempo e qualche istituto ha previsto uno sportello, ma finora si è trattato di iniziative singole, a scelta di presidi e insegnanti, ma anche soggette alla disponibilità di fondi per attivare il servizio. Dopo l’ultimo caso di cronaca, invece, è stato lo stesso ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, a sollecitare la presenza di psicologi in tutte le scuole. L’episodio è avvenuto ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, dove un ragazzo di 16 anni ha aggredito con un coltello l’insegnante dopo aver preso un brutto voto. La donna, di 51 anni, non è in pericolo di vita, ma è stata sottoposta a intervento chirurgico e il giovane ha anche minacciato i compagni di classe con una pistola da softair. Un fatto inquietante, che arriva proprio mentre il Parlamento sta discutendo una proposta di legge per la salute mentale degli studenti.
Valditara: «Serve uno psicologo a scuola»
«Dopo l’esperienza del Covid gli episodi di bullismo si stanno moltiplicando, proprio perché si è interrotta quella relazione interpersonale che è fondamentale nello sviluppo educativo», ha commentato il ministro dell’Istruzione, aggiungendo: «Voglio che si colga l’occasione per riflettere sull’introduzione dello psicologo a scuola: è un momento particolarmente difficile, il disagio dei ragazzi, anche a seguito del Covid, è molto aumentato». Cosa è cambiato rispetto al periodo pre-pandemia e perché non è diminuito con la fine dell’emergenza sanitaria e il ritorno alla normalità? «I dati e le ricerche ci dicono che c’è stato un aumento del disagio degli adolescenti, a causa del lockdown, l’impossibilità alla socializzazione e un maggior ricorso ai dispositivi elettronici (di cui fanno spesso più uso rispetto alla vicinanza fisica)» osserva Roberta Rossi, psicologa e psicoterapeuta.
I disagi dei giovani non sono finiti dopo il Covid
Alcuni hanno anche vissuto alcune conflittualità familiari accresciute proprio durante l’emergenza sanitaria. Prosegue la dottoressa Rossi. «Purtroppo questi disagi spesso si radicano e non è con il cessare della causa che vengono meno i disagi: rimangono dei segni, che possono tradursi in situazioni di tristezza, rabbia, impotenza o solitudine vissute in pandemia e che in qualche modo faticano a scomparire. Sono condizioni che dovrebbero essere prese in considerazione sempre e non solo quando accadono episodi eclatanti». Spesso reagiamo solo in occasione di eventi complicati e difficili invece che pensare che c’è bisogno di un appoggio e di una comprensione continuativi
Salute mentale: i più a rischio
«I più colpiti sono quelli che hanno vissuto la pandemia a cavallo tra le medie e le superiori, per cui sono stati privati del necessario contatto con i coetanei, che passa dal confronto, ascolto e relazioni di gruppo con gli altri. Quel periodo non è recuperabile, oltretutto la fase dell’isolamento è stata acuita dal maggior ricorso ai social: i ragazzi erano in contatto con gli altri, ma da soli. In generale è per questo che i ragazzi tra i 14 e i 22 anni sono quelli maggiormente colpiti in termini di abbassamento dell’umore e dell’autostima, e di aumento dell’ansia», spiega Alessandro Calderoni, psicologo, psicoterapeuta, fondatore dei centri Psymind e Relief a Milano.
Psicologo a scuola: dallo sportello alla misura strutturale
Da tempo si parla dello sportello psicologico per studenti e universitari. Negli anni scolastici 2020-21 e 2021-22, durante la pandemia, «è stato siglato un protocollo con il ministero dell’Istruzione per l’attivazione di consulenze psicologiche nelle scuole ed il 70% delle scuole lo ha fatto, con risultati positivi. Nel 2022 il protocollo non è stato rinnovato. Ora, però, è necessario passare da una presenza emergenziale dello psicologo a scuola ad una sua presenza strutturale», ha ricordato all’Ansa il presidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, David Lazzari. Di recente è stato organizzato un sit-in davanti al ministero dell’Istruzione da parte dell’Unione degli Universitari che chiede «investimenti e soluzioni strutturali per permettere che la salute mentale possa essere considerata al pari di quella fisica».
Lo psicologo a scuola serve, ma anche la famiglia conta
Ma com’è al momento la situazione? «L’impressione è che oggi lo sportello psicologico sia soprattutto presente nelle scuole che hanno più soldi da poter spendere e che vogliono maggiormente investire sul dialogo con gli alunni. Ma ciò che mi ha colpito nel caso di Abbiategrasso non è tanto che un ragazzo abbia avuto quel comportamento, che fa parte di una fragilità e non gestione dell’impulsività (rara, ma non assente in adolescenza), quanto che non ci fosse alcun tipo di comunicazione reale tra famiglia e scuola. Sembra che il padre non sapesse neppure che il figlio avesse 6 note: mi chiedo come sia possibile nel 2023 quando ci sono i registri elettronici. Significa non avere contatti con la scuola», commenta Calderoni. «In diverse scuole ci sono già gli sportelli psicologici, che però non forniscono un servizio continuativo. I ragazzi possono eventualmente accedervi per parlare delle proprie problematiche, ma l’inserimento dello psicologo scolastico sarebbe diverso e fondamentale: i ragazzi potrebbero avere un punto di riferimento», spiega Rossi.
A cosa serve lo psicologo a scuola
Ma in che modo la presenza di uno psicologo in una scuola potrebbe essere d’aiuto? «Mi immagino che possa essere gestito da uno psicologo, magari piuttosto giovane e non psicoterapeuta perché in genere queste figure lavorano in studi esterni. Non avrebbe un approccio ‘curativo’, ma di ascolto attivo, delle esigenze dei ragazzi e di segnalazione eventualmente di fragilità a insegnanti e famiglie – osserva Calderoni – La psicoterapia, invece, non può essere fatta a scuola, ma può essere un servizio utile in chiave preventiva». «Con lo psicologo scolastico i ragazzi potrebbero contare su una figura riconosciuta, che conosce tra l’altro il contesto e può conoscere meglio anche le situazioni degli studenti. Garantirebbe continuità a chi ne ha bisogno e una certa libertà di accesso anche a chi vi si rivolgesse in modo più saltuario», chiarisce Rossi. Va detto, infatti, che i ragazzi possono avere una certa diffidenza nei confronti dello psicologo, «ma se imparano a conoscerlo e sanno di non essere gli unici a rivolgersi a questa figura, dalla quale magari vanno anche altri compagni, imparano ad aprirsi», osserva l’esperta.
Le azioni concrete a partire da bonus psicologo
Nella proposta di legge firmata, tra gli altri, da Elisa Pirro (M5s) e dai dem Filippo Sensi, Nicola Zingaretti e Rachele Scarpa, si prevede in 4 articoli di istituire nelle scuole e nelle università servizi di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counselling. Ogni sportello dovrebbe essere gestito da una squadra multidisciplinare che segua linea guida specifiche e uniformi per assicurare servizi omogenei sul territorio, prevedendo una spesa di 30 milioni di euro per il 2023 e 60 milioni ogni anno a partire dal 2024. Ma anche Maurizio Lupi e Ilaria Cavo (Noi Moderati) hanno presentato nei giorni scorsi un testo che parte da una considerazione: «Il bonus psicologo ha avuto 340mila domande, di cui molte per gli under 30». Nel 2020, invece, era stata Laura Boldrini a proporre che in ogni Asl si istituisse il servizio di psicologia di cure primarie.
Chi potrebbe essere lo psicologo a scuola
«In generale lo sportello psicologico a scuola avrebbe come vantaggi la maggiore attività di ascolto e prevenzione, di sensibilizzazione alla discussione sulle proprie emozioni, di uscita dall’isolamento. Sarebbe anche molto utile che la figura dello psicologo entrasse anche in altre iniziative della scuola non solo psicologiche, per ottenere maggiore fiducia dei ragazzi. Il contro è che gli studenti devono appunto poter considerare questa persona come punto di riferimento, non troppo ‘vecchia’ e dunque percepita come lontana dal loro mondo; devono poter essere sicuri che ciò che gli raccontano non sia riferito ad altri, come i genitori e la scuola, e devono potersi non vergognare di rivolgersi allo psicologo, in modo normale e ordinario, come se si chiedesse una spiegazione a un insegnante o materiale alla bidella. Altrimenti, come già accade nei servizi psicologici delle aziende, diventerebbe stigmatizzante. Insomma, si dovrebbe trovare la chiave giusta, con una figura che sia una sorta di ‘professionalissimo fratello maggiore’, a cui rivolgersi per diverse esigenze: problemi di cuore, di compiti, di orientamento sessuale o bullismo, come persona che manca a metà tra il professore, il nonno, l’amico, ecc.», conclude Calderoni.