I figli non nascondono più il malessere

L’onda lunga della pandemia, l’incertezza per il futuro, la solitudine e l’ansia per il cambiamento climatico mettono a dura prova l’equilibrio psichico dei più giovani. Ma per i genitori spesso non è facile distinguere i normali alti e bassi dell’adolescenza da un malessere psicologico. Che cosa fare quando ci si accorge che l’umore e la quotidianità non sono più come al solito? «Bisogna cercare di cogliere i segnali: come sta il ragazzo o la ragazza quando esce di casa, va a scuola, vede gli amici e poi rientra?» consiglia Francesca Picozzi, psicologa clinica. «Siamo di fronte a una generazione che vive il malessere in una maniera diversa dalle precedenti. Lo stare male non viene più nascosto, né è una vergogna parlarne».

Come iniziare il percorso di psicoterapia

Questo non vuol dire che il ragazzo o la ragazza spontaneamente si rivolgano a mamma e papà. Se il disagio non viene espresso, ci si può rivolgere loro con delle domande del tipo: “Ho notato questo, ti va
di parlarne?” o anche: “Mi sembra che ultimamente tu sia giù di corda, dorma male: cosa c’è che non va?”. Se abbiamo dei dubbi chiediamoglielo». In genere chi rivela il suo malessere è disponibile anche a parlare con un esperto». Alle superiori c’è lo sportello di ascolto, che può essere un primo punto di riferimento per il ragazzo, ma poi come muoversi? «È normale non incrociare subito il professionista adatto. Mentre un medico può essere più semplice da trovare (l’importante è che sia ben preparato), per i professionisti della salute mentale questo non basta. L’incontro umano di vicinanza, simpatia e calore sono fondamentali. Ogni canale è buono per la ricerca. Dal passaparola al biglietto da visita nelle farmacie fino al professionista che si fa conoscere e si pubblicizza sui social».

Psicoterapia: le domande dei genitori

Se mio figlio ha bisogno d’aiuto, ho sbagliato io? «Farsi questa domanda è un segno positivo, significa che c’è attenzione verso il problema e che ci si mette in gioco. Provare un senso di colpa è normale» spiega Francesca Picozzi. «E mettersi in discussione porta ad attivarsi per trovare un rimedio».

Devo andare anche io in psicoterapia? In genere ci sono due modi di affrontare il disagio psicologico di un ragazzo: si inizia una terapia famigliare, che coinvolge tutti oppure solo lui va dallo psicoterapeuta. In questo caso i genitori partecipano a incontri iniziali oppure vengono coinvolti successivamente o su richiesta del figlio che chiede di parlare con loro in seduta. «Se si sceglie questo approccio, ben venga un percorso a parte di supporto genitoriale con un altro terapeuta» consiglia la psicologa cinica. «L’unione fa la forza e la messa in discussione di alcuni comportamenti può aiutare non solo il figlio che è in difficoltà ma l’intero nucleo familiare a migliorarsi».

L’esperienza di Marco con la psicoterapia

«Il suo atteggiamento ribelle rendeva impossibile tutto, anche mandarlo a scuola» racconta la mamma di Marco. «Alla fine delle medie era andato a un campus estivo. Sono stati loro ad avvertirci che le canne per lui erano già una consuetudine, ma i problemi sono arrivati più avanti, con le superiori. Ha manifestato sempre di più un rifiuto delle regole, accumulando note su note fino all’espulsione. Abbiamo iniziato, noi e lui, un percorso di psicoterapia con una psicologa ma non ha funzionato. Il suo atteggiamento era quello di chi, in realtà, non ha alcun problema. È complicato all’inizio trovare a chi affidarsi, un secondo tentativo è stato fatto con un centro che trattava le dipendenze, ma non specificatamente i disagi adolescenziali. Lui era disponibile ad andarci ma dopo qualche incontro ha detto che non si trovava bene.

Finalmente, grazie a un passaparola, abbiamo trovato il riferimento che serviva e seduta dopo seduta ci si è aperto un mondo. L’approccio si sta rivelando quello giusto, Marco non si sente giudicato, ha fatto incontri da solo, hanno visto noi genitori e incontrato i suoi fratelli. Abbiamo dei compiti e delle indicazioni pratiche. Come dare la paghetta usando una carta prepagata per responsabilizzarlo sulle sue richieste di denaro».