C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui ero indispensabile, o almeno me lo facevano credere. Senza un mio cenno il mondo restava immobile. La mattina, in mia assenza, i bambini non si sarebbero svegliati né lavati e non avrebbero neppure fatto colazione. Sarebbero rimasti lì, stropicciati e svestiti, affacciati sul baratro del vuoto materno; non sarebbero andati a scuola o dalla pediatra o in piscina. Il frigorifero sarebbe rimasto vuoto e, insieme a lui, i piatti in tavola. In teoria, c’era un legittimo padre in grado di occupare eventuali spazi bianchi, ma si tratta di un cervello in fuga che da sempre lavora all’estero e che, in quel bislacco ménage che consensualmente ci siamo costruiti, ha garantito negli anni una presenza solo part-time.
Il carico mentale di una mamma
Nell’eventualità di un aiuto esterno – nonna, baby sitter, amica pietosa – si trattava, nel tempo della mia indispensabilità, di mera manovalanza che nulla toglieva al mio ruolo di mastermind. Il carico mentale faceva di me la direttrice d’orchestra, la comandante suprema, la chiave di volta. Una trappola? Certamente, ma anche un’inebriante illusione di onnipotenza. Modestamente, ero l’alfa e l’omega della vita dei miei figli, rispondevo ai loro interrogativi e provvedevo a ogni loro necessità. Ero fichissima. Ero: indicativo imperfetto.
Quando i figli crescono: l’adolescenza
Poi è arrivata l’adolescenza. Il giorno prima risolvevo problemi, quello successivo il problema ero io: ingombrante, inopportuna, interventista, mitomane, fastidiosa. Avrei potuto dichiarare guerra e difendere con le unghie e con i denti il mio territorio. Ma, pur nel delirio di onnipotenza che coglie almeno una volta ogni madre, ho sempre saputo che ogni supereroe ha una data di scadenza.
Quando i figli crescono e diventano più autonomi
Così, con gradualità e una certa mestizia, ho cominciato la mia ritirata. A ogni mio passo indietro, i miei figli guadagnano un pezzetto di autonomia e di emancipazione. È una cosa bella, mi ripeto. Crescono solo così, lasciandoli andare, mostrando, a loro ma soprattutto a me stessa, che l’assenza non è un baratro ma un orizzonte luminoso che li aspetta. E mentre loro imparano a cucinare, a scegliere da che parte stare, a ballare da soli, io li guardo, vacillo e imparo nuovi equilibri.
Mamma su richiesta
Perché l’indispensabilità è una vertigine a cui si prende gusto. Rinunciare a un superpotere fa sempre un po’ male. Mi capita però di guardare un film, leggere un libro, uscire con gli amici e rendermi conto che non sto facendo un torto a nessuno. Mi capita di sentirmi leggerissima, affrancata del senso di colpa che mi schiacciava un tempo. Sono molto meno indispensabile ma molto più libera. Forse anche la libertà è un superpotere. E mentre la assaporo, dalla stanza accanto una voce cavernosa che ancora stento a riconoscere mi chiama: «Mamma, mi aiuti?» «Certo, tesoro!». Mi rimetto la corona, impugno lo scettro. Su quest’altalena probabilmente perderò il senno ma certo non mi annoierò.