Sentirsi soli… oppure avere il coraggio di consegnarsi alla solitudine come scelta consapevole, per ritrovare il contatto con se stessi, per affrontare la paura. E scoprire che dopo tutto ce l’abbiamo fatta: sappiamo stare a galla e nella tempesta, diventiamo persino più forti.
Reese Witherspoon, candidata agli Oscar 2015 come miglior attrice protagonista, è Cheryl Strayed nel film Wild, diretto da Jean-Marc Vallée. Ancora deliziosamente attuale, il film è stato costruito a partire da una sceneggiatura dello scrittore Nick Hornby, ma si basa sul libro di memorie Wild: From Lost to Found on the Pacific Crest Trail, scritto dalla stessa Cheryl, che decide di partire per un viaggio attraverso i sentieri del Pacific Crest Trail, tra le catene montuose della Sierra Nevada e le cascate.
Perdersi e ritrovarsi. Lasciare casa, caricarsi sulle spalle uno zaino e partire da sola, affrontare la fatica, ritrovare un nuovo sguardo nello stupore davanti alla meraviglia immensa e talvolta densa di paure della natura.
Di fronte a un senso della vita che appare sfuggente, il viaggio in questo caso diventa un modo per affrontare la solitudine, liberare la mente, sentire l’angoscia che esce, passo dopo passo, per tornare a respirare a pieni polmoni.
Chi non si sente mai solo?
La solitudine è un problema di oggi. Nel corso del XX secolo sono cambiate abitudini, lavoro e modalità con cui vivere il concetto di casa, che ieri faceva riferimento a uno spazio, fisico e virtuale, tale da comprendere tutte le persone che erano considerate parte di una famiglia. I legami erano stretti, persino troppo in certi casi, perché la gerarchia e la vicinanza imponevano convivenze non facili. Tuttavia, in quelle relazioni di estrema vicinanza non c’era tempo né modo di percepire l’isolamento, che, anzi, a volte era persino auspicato e desiderato.
Essere soli e sentirsi soli è molto differente. «La solitudine può essere una tremenda condanna o una meravigliosa conquista» ha scritto Bernardo Bertolucci.
Difendiamo lo spazio di casa nostra, che sia il monolocale da single o la villetta conquistata per tutta la famiglia. Sentiamo parenti e amici lontani grazie a un telefono che ci rende sempre reperibili… e senza accorgercene ci muoviamo nell’esistenza come viaggiatori solitari.
“Non ho tempo”, ecco una delle frasi che pronunciamo più spesso. Non abbiamo più tempo per coltivare le relazioni che riteniamo importanti, per le nostre passioni e gli hobby. O siamo convinti di non averne?
Ore, intere settimane si bruciano avanti e indietro dal lavoro, sulla nostra auto o seduti sul treno, immersi nello smartphone, dove spesso finiamo per vivere nella bolla di un piccolo mondo in cui i rapporti con gli altri sono sempre più lontani, ridotti all’uscita in pizzeria o i compleanni dei bambini.
Un conto è coltivare rapporti per “fare insieme”, un altro è “essere insieme” e costruire relazioni autentiche basate su fiducia, condivisione, presenza. Questi tre valori spesso si rivelano qualcosa che… manca anche nel rapporto con noi stessi. Quanto sei presente, fiducioso e in grado di condividere con te, nel profondo?
Abitare la solitudine
Kristin Neff, ricercatrice, insegnante e autrice, si occupa di self-compassion presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università del Texas, Austin. Durante The Resilience Summit, il summit sulla resilienza organizzato dal Greater Good Science Center dell’Università di Berkeley, in California, ha proposto una riflessione interessante: «Chiediti: tratterei i miei buoni amici nello stesso modo in cui adesso sto trattando me stesso?».
Il valore che diamo a ciò che facciamo e a ciò che siamo, spesso siamo noi stessi a inquinarlo: ci trattiamo male; giudichiamo i nostri errori con più arroganza e durezza di quanto facciamo con gli altri, oppure, all’opposto non vogliamo sentir parlare dei nostri sbagli. Ci anneghiamo con una lamentela continua, non tanto verso gli altri quanto verso di noi.
Nel frattempo crolla la fiducia e il senso autentico della compassione, che è sentire-con, come indica la sua origine in lingua latina: l’atteggiamento di sostegno, apertura e umanità verso chi fa parte del nostro affetto. Noi stessi. È da qui che possiamo partire per sercitarci in una consapevolezza più amorevole verso se stessi: quanto non ci amiamo?
In cerca di un posto per noi
Charles Baudelaire ha scritto: “Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa esser solo in mezzo alla folla affaccendata”. Tuttavia, non esiste una meta finale: abitare la propria solitudine è un viaggio da imparare giorno per giorno. Ci saranno i momenti di tristezza e quelli di allegria, perché siamo fatti di entrambi, come ci ricorda la lezione del film Inside Out.
Del resto una giornata di pioggia può apparire di un’infinita malinconia oppure come un attimo di meravigliosa, pacata concentrazione: spesso non riflettiamo abbastanza su quanto ogni situazione possa essere vissuta diversamente a seconda dei punti di vista con cui la guardiamo.
Avere la giusta prospettiva significa imparare anche dalla distanza che ci separa verso ciò che desideriamo, che sia un incontro, una passione, un attimo per sé. Significa prendersi cura di se stessi, poco a poco, lasciando briciole da seguire come Pollicino, per ritrovare le tracce di ciò che ci fa stare bene nelle piccole azioni quotidiane.
L’artista giapponese Seiko Kato, che oggi vive a Brighton, crea collage fatti da immagini naturalistiche, disegni in cui mescola lo stile delle antiche enciclopedie vittoriane allo sguardo sul mondo, ironico e venato di black humor, che esercita dall’età di sette anni nei suoi taccuini. «Penso che ogni cosa abbia la sua bellezza, anche le cose che gli altri definiscono come macabre e oscure» scrive nel suo libro Collage d’arte (Quarto Publishing). Tu che cosa fai quando hai tempo?
Il potere terapeutico della bellezza ci guida verso le cose che amiamo, che ci aiutano ad abitare lo spazio, fisico e mentale, di noi stessi. Un viaggio che ogni giorno ci porta attraverso orizzonti nuovi, mari talvolta in tempesta, difficoltà e raggi di luce improvvisa. Capita di sentirsi immensamente soli e senza scopo, ma l’allenamento è vedere che la persona nello specchio è quella che spesso trascuriamo di più: la differenza fra sentirsi soli e abitare la propria solitudine, in fondo, è iniziare a passare del tempo in compagnia noi stessi… e iniziare a chiederci che cosa vogliamo fare insieme a noi, che cosa porta ispirazione nella nostra giornata e nella vita.