Io sono infinito. Dovremmo ripetercelo tutti i giorni davanti allo specchio. Soprattutto in quelli no, quando ci sentiamo inconcludenti e sbagliate. Siamo un’infinità di risorse, ambizioni, possibilità. Che spesso rimangono imbottigliate e inespresse. Per mancanza di fiducia o di coraggio. Capacità di pensare e di volare alto. O semplicemente guardare oltre la siepe. Qualsiasi sia la barriera che ci si para davanti. I muri e i paletti con cui restringiamo i perimetri dei nostri sogni.
Giusy Buscemi nella serie dedicata al poeta dell’infinito
I sottintesi richiami a Leopardi non sono casuali. A suscitarmi queste riflessioni non tanto è lui, passato alla storia per il pessimismo cosmico ma forse, in fondo, ottimista incompreso, bensì Giusy Buscemi, che presto vedremo nella miniserie dedicata al “poeta dell’infinito”, nei panni di Fanny Targioni Tozzetti, nobildonna fiorentina nota per la bellezza e i salotti letterari. Ha solo 31 anni e ha già al suo attivo un titolo di Miss Italia, svariate fiction e film di successo, tra cui Don Matteo e Smetto quando voglio, un marito, tre figli, un piano B precoce tra gli ulivi di Menfi. Poteva essere solo “la più carina della scuola”, invece ha saputo spostare il limite dell’orizzonte, guardare più in là. Se andate a leggere la sua intervista, scoprirete che niente le è stato regalato. E che non basta un “dono” per sfondare – un aspetto gradevole, una voce incredibile, un talento nello sport o in qualsiasi altro campo – ma bisogna pure faticare. E crederci, crederci tanto. Puntando sul supporto di chi ci vuole bene. Familiari, amici, parenti. Oppure solo su se stessi.
Donne dietro le sbarre: chi sono?
Lo dico essendo reduce dall’incontro con alcune detenute del carcere di San Vittore. Donne con storie di malamore, fragilità, dipendenza affettiva e solitudine. Ragazze spente dai troppi errori in cui sono inciampate, vittime di amori sbagliati e uomini violenti, diventate con la lunga detenzione inadatte alla vita. Oppure troppo sveglie per restare dietro le sbarre, così affamate di libertà e rivincita da avere fretta di ricominciare, ma non abbastanza autostima per credere che possa durare. Perdenti o vincenti, tutte accomunate da un buco profondo, un vuoto di attenzione, che le ha rese vittime di loro stesse, prede incurabili di demoni che tornano a bussare.
Deviare dal corso di un destino segnato
«Sei una ragazza piena di qualità, non ti buttare» ho detto a una di loro al termine di una lunga chiacchierata, dopo che mi aveva letto una pagina del suo diario intrisa di quel distillato di speranza tragica che a volte si trova nei versi di Alda Merini. Le si è acceso lo sguardo. «Nessuno mi aveva detto mai così, mi fai felice». E lo era davvero. Il cuore gonfio di orgoglio le usciva dalle fossette e dai capelli tirati su con una pinza e aggiustati con zelo dietro le orecchie, come volesse raccogliere quel complimento in veste di brava ragazza. Una che non finisce in carcere, che non cade per star dietro a un maschio tossico e troglodita che la picchia e la priva dell’unica cosa bella che le è riuscita di fare, i figli, mandati a vivere in comunità.
Cercare l’infinito dentro di sé è un lavoro difficile, soprattutto se dentro c’è un secchio rovesciato di cartacce e spazzatura e tocca prima pulire. Aprire le finestre e cambiare aria
«Scrivere mi aiuta a mettere ordine» mi ha detto lei. Trovare un senso, ho capito io. Una strada su cui rimettersi in carreggiata senza sbandare. Se non per deviare dal corso di un destino segnato, che solo se ci metti impegno può cambiare.
Srotolare l’infinito, che non può stare al chiuso
Per qualcuno quel destino è la prigione. Per qualcun altro è l’incapacità di prendere in mano la propria vita a causa di un fato che gioca a sfavore: un problema di salute, una difficoltà economica, una calamità, una guerra. Non è generosa con tutti allo stesso modo la sorte, notoriamente cinica e bara, oltre che cieca. Ma a tutti è dato di srotolare la matassa di quell’infinito che abbiamo in dote e dargli uno scopo, senza lasciarsi prendere dalla rassegnazione. Ai più fortunati il compito di tendere una mano a chi da solo non ce la fa. Non girare lo sguardo. Penso a noi, privilegiati inconsapevoli e distratti. Pronti a brindare nelle nostre case calde, piene di facce e di lucine, chiudendo il cuore agli altri. Invece spalanchiamolo come una finestra, questo cuore. Non solo a Natale, ma tutti i giorni. L’infinito non può stare al chiuso. Per fare del bene, deve circolare.