Un lutto, un licenziamento, una diagnosi, legata a problemi di salute. A spingere una coppia in terapia può essere il malessere che deriva da un evento forte. Se invece prevalgono noia e stanchezza, si tende ad andare avanti così. Per questo gli specialisti parlano di “coppia in stallo”.

Terapia di coppia: quando serve chiedere aiuto

«Ma non chiedere aiuto significa condannarsi inutilmente all’insoddisfazione, a un progressivo allontanamento che mina il quotidiano» spiega Vincenza Bonsignore, psicoterapeuta di coppia e famiglia.

«Anche perché con il passare degli anni, quando un cambiamento rompe questo fragile status quo, la crisi arriva. Può succedere quando i figli escono di casa o se lui vuole trasferirsi nel luogo d’origine e lei oppone un no irremovibile». L’atteggiamento giusto per cominciare una terapia? «Non funziona se si considera il rapporto già finito o se si va dal terapeuta con l’intento di dimostrare che è il partner che sbaglia e crea problemi. Certo, non è detto che l’esito del percorso sia sempre positivo, ma anche nel caso che si concluda con una separazione, ci si arriva più preparati nel condividerla e accettarla».

Il ruolo della famiglia

«La psicoterapia lavora sulla relazione della coppia» spiega Vincenza Bonsignore. «Quando uno dei due si sente più fragile o è in crisi perché è avvenuto un cambiamento che lo riguarda, dovrebbe sentire di avere nel partner qualcuno che lo sostiene, in nome del legame di attaccamento che li lega, un legame simile a quello che unisce genitori e figli. Ed è questo un punto critico fondamentale nella relazione. Può succedere che le coppie discutano e litighino molto o si allontanino e si chiudano proteggendosi dal dolore». Nel percorso della terapia si ricostruisce questo filo interrotto e si parla anche della storia di ognuno: la famiglia d’origine, come si sono conosciuti e hanno iniziato a stare insieme.

Come funziona

I terapeuti in genere sono due e possono essere sempre presenti entrambi oppure uno dei due resta all’esterno e osserva la coppia attraverso un vetro dopo aver loro chiesto il consenso. La seduta dura circa un’ora e mezza, iI percorso è breve, circa un anno in media, con incontri dilatati nel tempo per dare modo alla coppia di lavorare su di sé in base a quello che si è manifestato in seduta.

Alla radice

La scelta del partner è legata ai bisogni insoddisfatti della famiglia di origine. Dipende da come siamo stati figli, dall’immagine di noi, che abbiamo costruito. E la, coppia stessa può diventare terapeutica per superare dinamiche che non giovano né a noi né alla relazione.

Terapia di famiglia: per il benessere di tutti

La terapia famigliare si basa sull’idea che la famiglia sia una risorsa e che, modificando dei comportamenti, possa essere d’aiuto a chi sta vivendo il disagio. La richiede spesso un genitore per un figlio in difficoltà. «A volte la terapia individuale non basta» spiega Vincenza Bonsignore. «Anche se il ragazzo o la ragazza ha lavorato su di sé, le difficoltà si ripresenterebbero di nuovo nella quotidianità della vita famigliare». I casi da sottoporre all’esperto possono essere diversi: oltre all’anoressia, alla tossicodipendenza, alle psicosi, ne beneficiano ragazzi bloccati nello studio, nel lavoro o nelle relazioni famigliari. «C’è la madre, che non riesce a comunicare più con la figlia e nelle sedute emerge come la seconda non si sia mai sentita difesa da un padre severo. O il caso del figlio che oppone a un genitore iper critico una chiusura totale».

Come funziona

In genere ci sono sempre un terapeuta che partecipa, un altro che osserva dall’esterno e ci si vede in media una volta al mese. In questa terapia si allarga lo sguardo sulle relazioni, sciogliendo i nodi. Non tutti i ragazzi aderiscono, ma in genere si chiede al figlio di partecipare almeno al primo incontro, nella speranza di “agganciarlo” e intraprendere il percorso.