Perché è normale soffrire per un rifiuto
Ricevere un rifiuto fa male, non importa di che tipo sia. A dirlo sono gli esperti, come il professor Guy Winch, psicologo e autore di un libro di Primo soccorso emotivo (“Emotional First Aid: Healing Rejection, Guilt, Failure, and Other Everyday Hurts”), che ha spiegato: «anche un rifiuto molto lieve può colpire» perché «i nostri sentimenti vengono feriti, la nostra autostima subisce un duro colpo e sconvolge il nostro senso di appartenenza».
Ecco perché tutti temiamo di essere rifiutati. Anche Mark R. Leary, professore di psicologia e neuroscienze presso l’Interdisciplinary Behavioral Research Center della Duke University, afferma: «la preoccupazione per il rifiuto è perfettamente normale».
Il rifiuto accende una risposta nel cervello
Gli esperti definiscono il rifiuto come una «ferita emotiva» perché innesca una reazione cerebrale simile a quella del dolore fisico.
Alcuni studi hanno confrontato, tramite risonanza magnetica, l’attività cerebrale di persone che avevano sperimentato un rifiuto con l’attività cerebrale di persone che avevano sperimentato un dolore fisico. I test hanno rilevato che nel cervello si erano attivate le stesse aree, in seguito sia a dolore fisico sia a un rifiuto.
Il dolore del rifiuto è una molla per sopravvivere
Gli psicologi ritengono che il dolore che proviamo per il rifiuto è probabilmente un retaggio del nostro passato evolutivo, qualcosa che ha aiutato l’umanità a sopravvivere per millenni. Se afferri un oggetto bollente, il dolore fisico ti indica di lasciarlo andare per non bruciarti. Allo stesso modo, il dolore di un rifiuto è un segnale che qualcosa non va in termini di benessere sociale.
In effetti, nella preistoria, il rifiuto sociale avrebbe potuto avere conseguenze disastrose. Per questo, veniva aggirato. In che modo? Le persone che sapevano di avere maggiori probabilità di essere soggette a un rifiuto e, per questo, cambiavano atteggiamento prima di essere evitate, erano quelle avevano maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi. Quindi, secondo gli studiosi, l’umanità di oggi deve la propria esistenza alle persone preistoriche che hanno saputo reagire alla paura del rifiuto.
Anche oggi, dice il prof. Leary, «il rifiuto attira la nostra attenzione e ci costringe a considerare le nostre circostanze sociali». Secondo il prof. Winch, questo spiega perché, spesso, il rifiuto fa più male di un fallimento. Il fallimento, infatti, è molto specifico e riguarda un compito preciso (non completiamo un obiettivo o raggiungiamo qualcosa), mentre il rifiuto ha una dinamica interpersonale.
Disattiva la modalità automatica
Oggi tutti noi siamo più esposti a possibili rifiuti, a causa dei social e di Internet. Questo ha a che fare con la dinamica interpersonale, tuttavia la maggior parte dei rifiuti online e nella vita reale di oggi non minaccia la nostra sopravvivenza così come nella preistoria.
Secondo gli esperti, il problema è che siamo ancora programmati per reagire come se tutti i rifiuti attentassero alla nostra vita. «I nostri cervelli non distinguono facilmente la differenza tra i rifiuti che contano e quelli che non lo fanno, a meno che non ci pensiamo consapevolmente e ignoriamo le nostre reazioni automatiche»,dice Leary.
Ecco perché devi imparare a non mettere il pilota automatico di fronte al dolore di un rifiuto: imparerai a reagire meglio e sarai perfino più forte.
Coccola la tua autostima
Dopo un rifiuto, la prima reazione potrebbe essere quella di ritirarti in te stessa, ma questa non è una risposta adattativa. Anche se fa male, cerca di non lasciarti abbattere. Anzi, cerca di rafforzare la tua autostima, concentrati sulle tue qualità positive e le tue caratteristiche, che potrebbero invece essere apprezzate in un’altra situazione. In questo modo, costruisci la resilienza e ti prepari meglio a affrontare il futuro.
Chiediti se è davvero importante o ti interessa davvero
Come detto all’inizio, il rifiuto fa male e innesca una sorta di reazione automatica di dolore, a prescindere da quanto importante sia il rifiuto.
Sta a te, quindi, chiederti quanto quel rifiuto ti condizioni davvero, quanto davvero tenessi a quel progetto o alla persona che ti ha respinta. Impara a distinguere il tipo di rifiuto che conta per te, cioè differenzia quello di cui devi preoccuparti davvero da quello che, in realtà, è irrilevante, o quasi.
Pensa che il rifiuto non è sempre personale
Come parte di una reazione automatica, sei portata a considerare istintivamente che il rifiuto sia personale. Ma non è sempre così. Magari non hai ottenuto quel lavoro non perché non fossi abbastanza preparata, ma perché qualcuno era arrivato prima di te. Se un’amica ignora il tuo post sui social, non significa per forza che non le sia piaciuto, forse non l’ha visto.
Cerca di pensare positivo
Allenati a non pensare subito al peggio, allenati a concederti il beneficio del dubbio. Se lui non ti ha più chiamata per un secondo appuntamento, non cercare a tutti i costi una spiegazione che ti fa sentire rifiutata. Certo, forse non gli sei piaciuta – in questo caso, pensa che puoi piacere a qualcun altro – ma magari è rispuntata la ex o ci sono tanti altri motivi, che comunque non saprai mai. Per diventare più resiliente, devi imparare a scegliere il presupposto meno doloroso per te.
Rimonta in sella presto
Spesso ai bambini si insegna a non curarsi di quello che pensano gli altri. In realtà, secondo il prof. Winch, questo non fa poi così bene, perché «Ora non solo ti senti male, ma ti senti anche un grande perdente per esserti sentito male». Se subisci un rifiuto, non sentirti male perché ne soffri. Non richiuderti, rimettiti subito in gioco a partire dalla tua cerchia di amici e affetti.