Dopo aver contratto la sindrome di Stendhal ad Atene, al cospetto del Partenone, mi chiedevo cosa mi sarebbe accaduto posando gli occhi sulla Città Santa. Dove pare che i viaggiatori raramente restino immuni alla cosiddetta sindrome di Gerusalemme. Effettivamente non si riesce a rimanere insensibili davanti a certi luoghi sacri e anch’io ho vissuto qualche momento di commozione, soprattutto davanti al Muro del Pianto e in cima al Monte degli Ulivi. Poi però ho deciso di partire alla ricerca dell’altra Gerusalemme. Dopo aver snobbato la bicicletta (troppi su e giù!), la neonata metropolitana leggera e il segway, molto cool tra i turisti più indolenti, scelgo di curiosare a piedi tra i quartieri periferici.
Primo stop, un’imperdibile lezione di cucina a casa Yudekovitz. Con il suo caschetto biondo e un sorriso materno che rivela una grande confidenza con i fornelli, la chef Ruth mi aspetta all’ingresso del mercato ottomano di Mahane Yehuda, per gli amici “The Shuk”. Questo storico punto di ritrovo, stracolmo di frutta e verdura di stagione, spezie, ma anche di caffè, ristoranti e persino una minuscola sinagoga, non sembra avere segreti per la mia guida. Tra uno sketch dal pescivendolo e due chiacchiere con il macellaio, nel trolley della spesa griffato Shuk and Cook (www.shukandcook.com) collezioniamo gli ingredienti per la lezione di oggi. E nell’accogliente casa con orto biologico, nel quartiere residenziale di Abu-Tor, imparo a dare la giusta consistenza all’hummus (non serve esagerare con l’olio, il segreto è l’aggiunta di tahina!), a tagliare per bene le verdure per l’insalata Fatush e altri deliziosi must della cucina kosher, quella preparata in rigoroso accordo alle regole alimentari stabilite nella Torah.
Con la pancia piena e prima che lo Shabbat, il sabato ebraico annunciato dal suono del corno, chiuda le serrande al giorno, mi concedo una passeggiata pomeridiana lungo l’animata Emek Refaim Street. Il cuore vibrante dell’emergente Colonia Tedesca, un quar tiere verde punteggiato di localini, boutique e ville arabe, mi catapulta in un microcosmo bohémienne fatto di piccole gallerie d’arte e bancarelle vintage. Non resisto alla tentazione di accodarmi alla degustazione di vino locale da Shahar Wines (29 Emek Refaim Street), curioso tra gli scaffali straripanti di prodotti beauty di Anise (32 Emek Refaim Street) e mi lascio rapire dall’aroma dei falafel del ristorante Roza (31 Jaffa Street). Solo quando il sole inizia a impallidire, riprendo la strada verso la città vecchia e mi arrampico sulla ripida scala di metallo che spunta all’angolo tra Habad Street e St Mark’s Road.
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Camminare sui tetti delle case, in compagnia dei bambini e degli onnipresenti gatti di Gerusalemme, lasciandomi sotto i piedi i brulicanti mercati di Al-Wad Road e David Street, è un’esperienza unica e surreale, gratuita 24 ore su 24! Mentre il tramonto e migliaia di flash incendiano i profili dorati della fotogenica Cupola della Roccia, aspetto che la luna illumini d’argento le pietre dell’intricato quartiere ebraico. Quando cala la notte, mi avvio verso la Porta di Giaffa, dove mi sono assicurata un posto in prima fila per assistere allo show proiettato sulle mura dell’antica cittadella medievale, detta Torre di Davide (www.towerofdavid.org.il). Qui non sono le parole, ma i tecnologici trompe l’oeil di suoni e luci, le proiezioni in 3D e le animazioni virtuali a raccontarmi la vita e i miracoli di una delle città più affascinanti del mondo. A pochi passi, l’avveniristico Mamilla Mall mi ricorda la doppia anima di Gerusalemme: da un lato le preghiere degli ortodossi e i fedeli che percorrono in silenzio la Via Crucis e, dall’altra, le vie dello shopping alla moda e i pub per nottambuli di Rivlin Street. Sì, perché, a sorpresa, questa città lascia spazio a una discreta nightlife.
Io, dopo una soddisfacente cena al bistrot mediterraneo Olive & Fish (2 Zabotinski Street), opto per due boccali di birra (alternando l’israeliana Goldstar alla palestinese Taybeh) al piccolo ma trendy Uganda (www.uganda.co.il) e concludo la serata con due salti all’Haoman 17 (17 Hauman Street), un’af follata discoteca ricavata in un’ex magazzino dove si esibiscono deejay di fama internazionale. Non sarà Tel Aviv, o forse Gerusalemme è anche di più, visto che in un solo weekend mi sono svegliata al canto del muezzin e addormentata al suono delle campane, dividendo il giorno con i pellegrini e la notte con gli studenti e i tiratardi locali. Nessuna sindrome, quindi, piuttosto la curiosità di tornare per scoprire, ogni volta, un’altra Gerusalemme!