Hai mai sperimentato una classe di bioenergetica? Grazie a tecniche di respirazione, esercizi e momenti di rilassamento, questo approccio, in grado di lavorare sull’equilibrio corpo-mente, intende superare i blocchi che ci condizionano a livello fisico e psicologico.
Ecco le cose utili da sapere sulla bioenergetica, disciplina elaborata grazie al lavoro di Alexander Lowen, allievo di Whilhelm Reich, neuropsichiatra austriaco allievo di Freud, noto per aver sviluppato l’approccio psicocorporeo.
Che cos’è la bioenergetica?
Lo psicoterapeuta e psichiatra Alexander Lowen naque a New York il 23 dicembre 1910, e morirà nel 2008, in Canada, dopo un’esistenza dedicata agli studi e alla diffusione dell’analisi bioenergetica, considerata un approccio psicoterapeutico a mediazione corporea basato sull’integrazione corpo-mente.
Dopo essersi laureato in medicina, Alexander Lowen fonda a New York l’International Institute for Bioenergetic Analysis, IIBA, in cui lavora come direttore durante i successivi quarant’anni.
Riguardo alle sue ricerche scriverà: «L’analisi bioenergetica è un approccio che integra il corpo nel processo analitico, perché il corpo è la persona. Qualunque problema presente nella personalità, quindi, si manifesta sia nell’espressione corporea che nell’espressione psicologica. Questi problemi posso essere individuati in modo accurato a partire proprio dalla motilità del corpo se si è in grado di leggerne il linguaggio. Il corpo inoltre contiene la memoria di ogni esperienza che la persona ha attraversato, pertanto è possibile leggere la biografia di una persona a partire dalla struttura dinamica del suo corpo. Da un punto di vista teorico possiamo affermare che ogni esperienza vissuta si struttura nel corpo delle persone così come nella loro mente».
Come funziona la pratica bioenergetica?
Se questo approccio ti incuriosisce, non saperne nulla… potrebbe aiutarti! L’assenza di aspettative, infatti, è in grado di giocare un ruolo positivo e lasciarci liberi di sperimentare senza avere schemi mentali rispetto a ciò che pensiamo dovrebbe succedere.
«All’inizio di una classe mi limito a spiegare che la bioenergetica ha a che fare con la respirazione e l’autoregolazione: questi due aspetti sono fondamentali perché costituiscono il cuore del lavoro» spiega Marica Artosi, Counselor somatorelazionale e Conduttore di classi di Bioenergetica.
Imparare ad ascoltarsi significa prendere consapevolezza su ciò che sta accadendo al mio corpo, sentire quali emozioni emergono e mettere un freno quando diventa necessario.
L’attrezzatura per una lezione di bioenergetica è lo stesso che porteresti in palestra: tuta e abbigliamento comodo. Gli esercizi da eseguire coinvolgono il livello fisico, ma qual è la particolarità? Si lavora su alcune tensioni corporee e di solito ogni lezione è studiata in modo da attivare aree specifiche del corpo.
«L’obiettivo, attraverso gli esercizi, è cercare di procurare una maggior tensione rispetto alla tensione che già c’è» chiarisce l’esperta «Non sempre è facile. Può capitare di incontrare anche il dolore, perché è necessario andare ad aumentare questa tensione».
I processi energetici del corpo sono fortemente in relazione con lo stato di vitalità in cui ci percepiamo. Le tensioni, a un livello cronico, tendono ad amplificare una condizione di rigidità, in grado di diminuire la nostra energia e peggiorare il benessere psicofisico: giorno dopo giorno ci sentiamo scarichi, contratti, incapaci di lasciarci andare alle emozioni e rilassarci.
Bioenergetica: come si lavora
È possibile partecipare ad una seduta individuale, soprattutto in presenza di problematiche specifiche, tuttavia il lavoro in gruppo aggiunge una componente fondamentale, data dall’esperienza relazionale.
Nel tempo, il gruppo diventa un appuntamento ricorrente e se i partecipanti possono cambiare nel tempo, è altrettanto vero che la qualità del lavoro si evolve in un legame in grado di coinvolgere anche le dinamiche del lavoro. In alcuni esercizi si lavora in coppia e questo aiuta a migliorare aspetti legati all’empatia, il contatto, la vergogna e la capacità di lasciarsi andare.
Di solito il conduttore del gruppo sceglie un giorno alla settimana in cui ci si ritrova: in genere è consigliata una frequenza settimanale, ma fin dalla prima seduta è possibile avvertire i primi benefici e anche con due appuntamenti mensili è possibile percepire effetti positivi.
«Lavorare potenziando il blocco significa portarlo all’attenzione, farlo salire in superficie, così da creare un punto di rottura. Non puoi lasciarlo andare fino a quando non lo percepisci, perché solo quando emerge prendi consapevolezza di ciò che stai vivendo», spiega Marica Artosi.
Quando diamo a noi stessi la possibilità di fermarci e stare nelle sensazioni che proviamo, scopriamo che dietro a una tensione si nasconde un dolore a lungo inascoltato. Attraverso il dolore arriviamo a percepire anche il nostro bisogno di lasciarlo. Si apre una nuova prospettiva: la possibilità di comprendere un messaggio del corpo. Autoregolazione significa proprio questo, accettare i propri limiti… e accettare di comunicarli all’altro.
Percepire i propri limiti
C’è chi al momento dell’esercizio, pur sentendo un’enorme fatica, riesca a sopportare livelli anche elevati di dolore. Può accadere di entrare in prestazione e desiderare eseguire le indicazioni al meglio: spesso succede a persone con un senso del dovere molto sviluppato, in grado di attuare verso se stessi e gli altri una forte disciplina.
Altri, al contrario, rifuggono dal dolore e appena avvertono un fastidio tendono ad allontanarsene quasi immediatamente, mettendo a distanza di sicurezza le sensazioni spiacevoli.
L’esercizio consiste nel provare a essere presenti e abbandonarsi a ciò che stiamo sperimentando. «Quando il dolore risulta eccessivo è importante imparare a fermarsi, invece se ciò che percepisco ha un livello basso, allora posso prolungare di qualche istante e stare un po’ di più a contatto con queste sensazioni. Questo ci allena a una percezione più profonda e ci permette di fare un passo sostanziale nel nostro sentire il corpo» chiarisce l’esperta.
La disciplina diventa una gabbia quando si trasforma in tendenza al perfezionismo o rigidità; l’altro estremo, tuttavia, porta ad allontanarsi e fuggire da tutto ciò che risulta difficile. È in questa difficoltà che apprendiamo una lezione importante sullo spazio corporeo: qual è il confine sano di cui abbiamo bisogno per stare bene?
Lasciarsi andare alle emozioni
Autoregolarsi significa imparare a sentire dove realmente sta il mio bisogno profondo.
Il corpo è la nostra casa e per vivere bene è necessario rispettare questo spazio, proteggerlo grazie a un confine, come un cancello che possiamo scegliere di chiudere o aprire a seconda del contesto e dei momenti.
Nella vita quotidiana accade spesso di fare un’estrema fatica a dire no, eppure farlo vuol dire tracciare la linea di confine fra ciò che per noi è accettabile e quello che non possiamo accettare.
«Uno degli insegnamenti dell’approccio bioenergetico è l’apprendere la capacità di sentire i propri limiti, accorgersene e non avere paura, ma anzi, rispettarli e prima di tutto accettarli» conclude l’esperta.
Scrisse Alexander Lowen: “ogni parte del corpo contribuisce al nostro senso del sé, se siamo in contatto con essa. E possiamo avere questo contatto solo se è viva e mobile. Quando ogni parte del corpo è carica e vibrante, ci sentiamo vivi in modo vibrante e felici. Ma perché ciò accada dobbiamo arrenderci al corpo e ai suoi sentimenti“.
Imparare ad ascoltarsi è il primo atto di fiducia verso noi stessi.