Ogni farmaco assunto per bocca può interagire con il cibo ma, fortunatamente, nella stragrande maggioranza dei casi le interazioni non sono tali da rappresentare un pericolo.

Il foglietto illustrativo, sempre presente nelle confezioni, in genere riporta i cibi da evitare e la modalità di assunzione. Ma, purtroppo, non sempre è così. E a volte, anche quando le avvertenze sono riportate, risultano di difficile interpretazione per chi non ha studiato medicina.
Per queste ragioni, in caso di dubbio (anche il più banale), è necessario chiedere consiglio al farmacista o al medico.

Le prima cosa da dire è che le “interferenze” tra cibo e farmaci riguardano solo i medicinali assunti per via orale: compresse, capsule, polveri o sciroppi che devono essere deglutiti, arrivare allo stomaco ed essere assorbiti.

Ma la questione è complicata dal fatto che alcune interazioni possono crearsi nelle fasi successive all’assorbimento del farmaco; poi, in realtà esistono tante variabili individuali: ogni persona può rispondere in modo diverso quando assume un farmaco in concomitanza con il cibo. Ciò perché il patrimonio genetico di ognuno di noi è differente, anche in misura significativa, rispetto a quello degli altri.

La problematica è seria e complessa: ci limitiamo quindi a fare una panoramica generale, sottolineando l’importanza del problema e la necessità di valutare di caso in caso, assieme al medico o al farmacista.

I farmaci assunti per bocca, una volta superato il cavo orale, raggiungono lo stomaco. È qui che, in genere, compresse e capsule si disintegrano per liberare il principio attivo. Ovviamente arrivano già “pronte” le formulazioni liquide come gocce e sciroppi, oppure le compresse solubili o le bustine da sciogliere sulla lingua o nell’acqua prima di essere assunte.

Fanno eccezione le compresse cosiddette gastroresistenti, che arrivano integre al primo tratto dell’intestino, dove vengono disciolte per liberare il principio attivo. Sia che avvenga nello stomaco sia nell’intestino, una volta libero, il farmaco attraversa le pareti (gastriche o intestinali) e raggiunge il sangue per essere distribuito in tutto il corpo. Questo processo si chiama assorbimento. Ed è in questa fase che possono avvenire le prime interazioni tra farmaci e cibo.

Qualunque sia il pasto consumato, la presenza di cibo nello stomaco incrementa la produzione di succhi gastrici, che in alcuni casi possono facilitare l’assorbimento dei farmaci.

Tuttavia, per quei farmaci che vengono assorbiti nel piccolo intestino, la presenza di cibo nello stomaco comporta un ritardo nella comparsa dell’effetto, poiché il cibo rallenta lo svuotamento gastrico. E di conseguenza rallenta il passaggio del farmaco dallo stomaco all’intestino.

Questo fenomeno è più evidente quando si consumano pasti ricchi di grassi: sono loro infatti i principali responsabili delle digestioni lente. E in ogni caso possono “legarsi” ai farmaci cosiddetti lipofili, rallentandone l’assorbimento. Ma non sempre questo è un problema. Anzi, nel caso di alcuni farmaci, quelli appunto che vanno assunti a stomaco pieno, rallentare lo svuotamento gastrico può essere utile per ridurre gli effetti collaterali, poiché in genere un loro assorbimento rapido potrebbe comportare una concentrazione troppo elevata del farmaco nel sangue, con il conseguente rischio di effetti collaterali.

Al contrario, quando è necessario ottenere un effetto farmacologico rapido, come per esempio nel caso dei farmaci contro la febbre, può essere utile assumerli a stomaco vuoto.

Alcuni antibiotici devono invece essere assunti lontano dai pasti, vale a dire un’ora prima o almeno 2 ore dopo, perché l’acidità gastrica tipica del processo digestivo ne riduce di molto l’assorbimento. In altri casi ancora, i farmaci vanno assunti lontano dai pasti per evitare che alcuni alimenti possano ridurne l’efficacia.

Una volta che il farmaco ha raggiunto il sangue, le interazioni con gli alimenti sono di tutt’altro tipo. Uno degli alimenti più studiati in questo senso è il succo di pompelmo.

Contiene una sostanza, la naringina, che oltre a conferirgli il tipico gusto amare è in grado di modificare l’attività di alcuni farmaci interferendo con gli enzimi usati dal nostro organismo per metabolizzarli.

Le vittime predilette di questo frutto sono farmaci usati per malattie cardiache e ipertensione, come i calcio-antagonisti, la nifedipina, l’amlodipina e la felodipina. Interagisce anche con il triazolam, un farmaco sedativo appartenente alla classe delle benzodiazepine, e con la ciclosporina, una molecola usata spesso dopo un trapianto d’organo per prevenire il rigetto.

Bisogna porre la giusta attenzione agli alimenti cosiddetti eccitanti: caffè, tè, ma anche le bevande a base di cola e il cioccolato contengono molecole che possono interagire, per esempio, con farmaci che agiscono sul sistema nervoso, come sedativi e ansiolitici.

Pochi sanno inoltre che gli effetti della caffeina possono essere amplificati da farmaci che contengono ormoni estrogeni e progestinici, come le pillole anticoncezionali. Le donne che ne fanno uso dovrebbero fare attenzione al numero di tazzine che consumano.

Un discorso a parte merita il latte. Indubbiamente svolge un’azione protettiva nei confronti dello stomaco e quindi può essere consumato quando si devono assumere antinfiammatori che possono avere effetti dannosi sulla mucosa gastrica.

Tuttavia, il latte è controindicato quando si prendono certe classi di antibiotici, perché può ridurne la risposta farmacologica.

Inoltre alcune segnalazioni hanno messo in evidenza che può interagire in modo negativo con farmaci impiegati per prevenire e curare l’osteoporosi. Anche se può sembrare un paradosso, perché è noto che è un alimento essenziale per la crescita e il mantenimento delle ossa, sarebbe meglio evitare di assumere in contemporanea latte e farmaci contro l’osteoporosi, perché l’assorbimento di questi ultimi potrebbe essere ridotto.