A marzo, sul palco di RootsTech a Salt Lake City, in un evento già definito “la più grande celebrazione mondiale della scoperta della famiglia”, Ndaba Mandela, la nipote del leader sudafricano, l’artista Dana Tanamachi e i campioni olimpici Tara Davis e Hunter Woodhall condivideranno le storie dei loro antenati. RootsTech è un appuntamento annuale promosso dal sito di genealogia familiare FamilyTree (creato da un gruppo religioso, ma gratuito per tutti), che nell’edizione del 2024 ha toccato i 16.000 spettatori dal vivo e i 4 milioni online. Ma questi numeri imponenti non sono l’unico segno di un interesse crescente verso i propri avi. Sono sempre più consultati siti come Ancestry.com e richiesti servizi come gli esami genetici della società 23andMe, che danno la possibilità di rintracciare i propri parenti. L’agenzia turistica scozzese Brendan Vacation organizza Ancestry Travel, veri e propri tour sulle tracce degli antenati. E in Francia e in Italia sono stati di recente pubblicati due “manuali biografici” che insegnano a indagare sulle generazioni che ci hanno preceduto a partire da un comò intarsiato, un abito antico o un libro di ricette abbandonato in un cassetto.
Libri sulla ricerca genealogica
Un anthropologue dans ma famille (Un’antropologa in famiglia, edizioni Buchet Castel) è un saggio per «riappropriarsi della propria storia personale e di quella familiare, che ci colloca in un arco temporale più lungo» spiega Elsa Ramos, l’autrice. Simile l’intento dell’italiana Giulia Depentor, autrice di Dinastia (Feltrinelli) e ricercatrice genealogica dall’età di 13 anni, quando Internet non era ancora così diffuso, «a dimostrazione che pur senza tecnologia tutti ce la possono fare» dice. Depentor conduce anche corsi di genealogia e ha notato una differenza anagrafica nei ricercatori. Alle presentazioni del suo libro partecipano «molti over 50 con domande precise, perché stanno già facendo i conti con il passato. I corsi invece sono seguiti soprattutto da 30enni, curiosi di capire da chi discendono, forse per definire meglio la propria identità e compiere le successive scelte di vita».
Ogni storia di famiglia ha delle zone buie
Esplorare il proprio passato, infatti, non lascia indifferenti: dalle generazioni precedenti emerge un «bagaglio di nodi, drammi e lutti irrisolti» che, scrive la psicologa francese Anne Ancelin Schützenberger nel saggio La sindrome degli antenati (Di Renzo Editore), si può ripercuotere per generazioni e la cui riemersione può destabilizzare. Depentor ha portato alla luce l’abbandono in orfanotrofio di una bisnonna, figlia illegittima. Un suo amico ha scoperto che la vantata parentela tra il bisnonno e un famoso attore della stessa città era una fandonia e si è interrogato se informarne i parenti che avevano sempre creduto all’avo mitomane. Altri genealogisti dilettanti hanno scoperto suicidi spacciati per incidenti, infedeltà, malattie ricorrenti o drammi dettati dalla follia: episodi segreti che hanno provocato dolore o vergogna, ma che hanno anche spiegato retrospettivamente reticenze o comportamenti fino a quel momento misteriosi.
Vale davvero la pena indagare sui nostri antenati?
E allora il punto è: vale comunque la pena di mettersi a indagare sugli antenati? Secondo Schützenberger, conoscere la verità è il presupposto dell’elaborazione del passato e dei suoi traumi, per vivere con maggiore libertà. Potremmo scoprire che il nonno distaccato e severo è stato un bambino infelice, costretto a un lavoro che non amava. E che, guarda caso, anche a noi va stretta l’attività di famiglia, e stiamo valutando se continuare così o no. Inoltre, risalire l’albero genealogico ci consente di chiarire meglio il set di valori e di regole introiettato, perché le storie di famiglia trasmettono molto più che semplici fatti: descrivono gli ideali, le priorità e i sogni di chi ci ha preceduto, che spesso si sono tramandati inconsciamente fino a noi. Per esempio, il racconto del bisnonno orgoglioso di provvedere a un’istruzione per i suoi figli suggerisce il ruolo che in un nucleo familiare hanno l’impegno, l’ascesa sociale e l’indipendenza. Insomma, le narrazioni del passato sono parte di un’eredità morale che definisce chi siamo ma anche chi, per una inconsapevole lealtà familiare, ci sforziamo di essere.
Risalire l’albero genealogico ci fa stare meglio
Non solo. Ascendere l’albero genealogico ci fa stare meglio. Secondo uno studio dell’università dell’Oregon, conoscere la storia familiare aiuta a creare un “sé intergenerazionale”, che «offre un contesto più ampio per capire le proprie esperienze e favorisce un legame tra generazioni che aumenta la resilienza nel corso degli anni». E mentre generalmente si tende a proteggere i bambini dalla verità, vari studi sostengono che più conoscono le loro radici, incluse le storie negative, maggiore è la loro solidità emotiva. «Ci sentiamo tutti più forti se facciamo parte di un arazzo» riassume Stefan Walters, terapista familiare. «Un filo da solo è debole, ma, intrecciato in qualcosa di più grande, circondato da altri fili, è molto più difficile da sbrogliare»
Parti dal “parente onnisciente”
Quindi, da dove iniziare? Sia Ramos sia Depentor suggeriscono di rivolgersi al “parente onnisciente”, ossia il depositario delle memorie familiari. Può essere la zia che si è sempre tenuta in contatto con i cugini lontani, la nonna con la memoria più in forma, ma anche un commilitone del nonno. Si può interrogarli a partire da un oggetto del passato, da una fotografia o da un gioiello, per poi allargare il campo (vedi paragrafo sotto). Ma una cosa è certa: «La genealogia fa riscoprire se stessi e crea nuovi legami, una nuova vicinanza agli altri» conclude Elsa Ramos. Chissà che le feste in famiglia, dove si chiacchiera con i parenti, non diventino un’occasione per iniziare a riannodare i fili del passato.
Albero genealogico: 3 consigli per iniziare a ricostruirlo
Fai le domande giuste. Per condurre un’intervista con un parente Elsa Ramos suggerisce di usare domande aperte (per esempio, «Raccontami della tua infanzia») e di chiedere descrizioni delle cose di cui si parla, perché le immagini suscitano altri ricordi. Registrare è fondamentale per riascoltare i racconti a distanza, quando si avranno altre informazioni.
Disegna l’albero. Con le notizie di base che si conoscono, cioè nomi, date di nascita, matrimoni e decessi, si crea il primo albero genealogico su carta o tramite i software di siti come Family Search, MyHeritage o Ancestry. Poi si aggiungono dati tratti dai documenti ufficiali dei registri parrocchiali e degli archivi di Stato. Per decifrare la scrittura antica esiste, per esempio, un programma di IA chiamato Transkribus.
Sfoglia gli album. Oltre a identificare chi è ritratto nelle vecchie foto, si può notare quali sono i membri più fotografati, quelli invisibili, chi c’è al centro dell’immagine in modo ricorrente. Tutto ciò suggerisce le alleanze non dette nelle famiglie. Un indizio è anche l’assenza di foto: perché la nascita o le nozze di qualcuno non sono state immortalate? Chi è stato escluso dalla memoria del nucleo familiare?