Alimenti coniuge separazione
L'assegno alimentare o alimenti, come vengno spesso chiamati, viene stabilito dal Tribunale al momento della separazione ed è una somma che il coniuge più abbiente deve versare al coniuge più "povero" per il suo mantenimento.
Sebbene venga spesso confuso con il concetto – decisamente più ampio – di mantenimento, il diritto all’assegno alimentare deve essere tenuto distinto da quest’ultimo poiché si basa su presupposti di natura diversa. Mentre gli alimenti mirano a soddisfare quei bisogni minimi e vitali di cui qualsiasi persona necessita (es. vitto, alloggio, vestiario, assistenza medica, etc.), il mantenimento è finalizzato a permettere al beneficiario di conservare il medesimo tenore di vita esistente in costanza di matrimonio e spetta al coniuge che non abbia avuto responsabilità nella separazione, in proporzione ai redditi e al patrimonio dell’altro.
Come si calcola l'assegno di mantenimento
Il diritto alla prestazione alimentare (ovvero agli alimenti) è sancito dagli articoli 433 e seguenti del Codice Civile e trova il proprio fondamento nel principio di solidarietà familiare. Si tratta, infatti, di un assegno periodico, generalmente mensile, disposto in favore del coniuge che, a seguito della separazione, non sia in grado di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento e ciò indipendentemente da un’eventuale pronuncia di addebito.
In altri termini, il diritto a ricevere l’assegno alimentare, diversamente dal mantenimento, spetterà a prescindere da qualsiasi responsabilità del beneficiario nella separazione coniugale.
I requisiti fondamentali per ottenere l’assegno sono principalmente due, vale a dire:
- lo stato di bisogno dell’avente diritto e dunque l’incapacità di provvedere al proprio mantenimento
- la capacità economica del coniuge obbligato al versamento di far fronte al relativo pagamento
Pertanto, colui che versi in uno stato di particolare indigenza, in mancanza di un accordo con il consorte, può rivolgersi al Giudice per chiedere la somministrazione in proprio favore dell’assegno alimentare nei limiti, beninteso, di quanto necessario al soddisfacimento dei propri bisogni primari. Ovviamente, sarà a carico del coniuge richiedente l’onere di dimostrare la disponibilità economica dell’obbligato al versamento (cioé dimostrare che chi è tenuto a versare gli alimenti abbia effettivamente le sostanze per farlo) e il proprio stato di bisogno.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, si è discusso in giurisprudenza se debba o meno considerarsi in stato di indigenza colui che risulti titolare di beni immobili che se venduti, possano contribuire a migliorare la condizione economica del beneficiario dell’assegno. Si tratterà in sostanza di verificare, caso per caso, se effettivamente la proprietà di determinati immobili, e dunque la concreta possibilità di venderli, possa davvero procurare al titolare un reddito sufficiente a garantire il proprio sostentamento.
Per ottenere l’assegno alimentare, il richiedente dovrà inoltre provare l’impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, ai propri bisogni vitali attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa, per incapacità fisica o per cause a lui non imputabili (sent. Cass. Civ. 06.10.2006 n. 21572).
Con riferimento alle condizioni economiche della persona tenuta al pagamento degli alimenti (che verranno valutate per determinare l’entità dell’assegno), si dovrà considerare la situazione esistente al momento della richiesta, senza tener conto di vicende future come una possibile riscossione di crediti o, al contrario, un’eventuale riduzione dei redditi.
Il coniuge obbligato al versamento, a fronte della richiesta di prestazione alimentare avanzata dall’altro, potrà decidere se corrispondere in via anticipata l’assegno periodico oppure se accogliere lo stesso nella propria abitazione. La forma più usuale è certamente quella della corresponsione dell’assegno mensile, visto che l’ospitalità nella casa dell’alimentando (ovvero colui che dovrebbe versare gli alimenti) può essere motivo di disturbo tra le parti, causando privazioni della libertà personale e delle abitudini di vita.
Alcune volte, inoltre, tale decisione potrebbe essere addirittura determinata da motivi di ripicca o di rancore. Per queste ragioni, in caso di disaccordo tra i coniugi o in mancanza di una scelta in tal senso, l’Autorità Giudiziaria potrà intervenire e stabilire, secondo le circostanze, il modo in cui gli alimenti andranno somministrati. Infine, va precisato che qualora, dopo l’assegnazione degli alimenti, si verifichi una modifica delle condizioni economiche di chi li somministra o di colui che li riceve, il Giudice, su richiesta della parte interessata, potrà disporre la cessazione, riduzione o aumento dell’assegno, a seconda del caso specifico.
A cura dell'a Avvocato Francesca Oriali