L’amore nelle canzoni
Giorni fa, mentre ascoltavo la radio facendo le lavatrici per il cambio di stagione, mi sono soffermata sul testo di un pezzo storico, bellissimo, che canto da quando ho 13 anni, ma sulle cui parole non avevo mai riflettuto: Baby come back dei Players, che in soldoni recita “Tesoro ritorna, dammi pure la colpa di tutto, ho sbagliato, ma non posso vivere senza di te”. Facile così, ho pensato, dopo che ti sei fatto gli affari tuoi hai scoperto che non puoi vivere senza di lei. «Speriamo non se lo riprenda!» ho esclamato, in un afflato di sorellanza, versando l’ammorbidente nella vaschetta. Poco dopo è stata la volta di Hard to say I am sorry dei Chicago (sono una boomer doc, ascolto solo roba dei miei tempi): “È difficile per me chiedere scusa, sai sono fatto così, ma ti giuro, giurissimo, che rimedierò a tutto e farò il bravo, se ritorni”. Mmh… Già sentita questa. Bryan Adams non è da meno: Please forgive me, “Ti prego, perdonami”. Non credo che il motivo della lite sia stato l’aver lasciato la tavoletta del water alzata… Più onesti di tutti, i Pooh: “Mi dispiace devo andare, il mio posto è là”. Severi ma giusti. Naturalmente non mancano le voci femminili che narrano storie impossibili con uomini altrettanto impossibili, come Mia Martini (“Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi”) e Amy Winehouse (“Tu torni da lei e io torno nel buio”).
Cuori spezzati
Il 90% delle canzoni sembra quindi che parli di cuori spezzati, amori tossici, tradimenti, abbandoni e lacrime, che tutti noi abbiamo ascoltato in loop da quando siamo ragazzini. Un’amica arrivò ad appiccicare nel diario il chewing-gum masticato di quello che le piaceva. Ricordo ancora i pianti che mi sono fatta ascoltando Nothing compares to you (“Niente è paragonabile a te”) che, se ripenso a chi la stavo dedicando, posso solo dire: ma menomale!
Perché ci piacciono le storie d’amore dannate
Tutte le storie dannate, però, hanno un denominatore comune: hanno lasciato uno strascico di dolore sproporzionato rispetto al tempo che si era passato insieme. Se si sommano i giorni fra una rottura e l’altra, difficilmente si raggiunge l’anno. Quello che ci tortura quindi, è lo sbiadito ma potente ricordo dei rari momenti piacevoli ed esaltanti fra una litigata feroce e una porta sbattuta che noi cataloghiamo come “vero amore”, “unico amore della mia vita” e “non amerò mai più nessuno così”. Quello che ci intrappola è l’inizio, il corteggiamento, l’attesa, il primo appuntamento, tutta quella frenesia delle continue chiamate, i messaggi, il sesso, e i “faremo”. Quando però calano sia l’adrenalina sia la nostra maschera da partner perfetto che abbiamo indossato dal minuto uno (no, non siamo gelosi degli ex, non siamo maniaci dell’ordine, non abbiamo dipendenze, manie e un carattere di merda), ecco incrinata irrimediabilmente l’immagine idilliaca che tutti e due avevamo proiettato sull’altro. Da quel primo litigio in poi, il resto non è altro che il disperato tentativo di tornare agli albori della relazione, quando portavamo sugli occhi quei begli occhiali di salame stagionato.
In amore viviamo gli psicodrammi
Questo perché, quando si vive una storia sana, costruita sulla fiducia, il rispetto e la stima reciproca, non c’è spazio per gli psicodrammi. In una storia stabile non si tradisce, non si sparisce e non si torna in ginocchio pregando l’altro di passare sopra a una serie di mancanze che verranno calpestate di nuovo alla prima occasione. Vero è che, se tutti noi sapessimo amare in modo sano, non ci sarebbero mai stati romanzi, film, poesie e canzoni. Il mondo sarebbe stato molto più noioso, ma certamente con meno guerre e violenza.
L’amore mal gestito è come un’arma nucleare
L’amore mal gestito è come un’arma nucleare: genera sempre morte e distruzione, fisica o spirituale, e porta con sé danni incalcolabili, ma l’essere umano pare non capirlo. L’essere umano, a differenza degli altri animali che non conoscono tradimento e crudeltà, sembra che provi piacere nello star male. C’è un qualcosa di puramente autolesionista nel continuare a riaprire i punti della ferita. Non lasciarla guarire. Evitare di provocarsene una identica. Quasi fosse una ferita sul campo da sfoggiare. Una mostrina.
Ricordo quando, a 16 anni, mi struggevo per il maledetto di turno e raccontavo delle mie pene d’amore a un’amica più grande e più saggia di me, che mi disse: «Io sono sempre dalla parte di chi se ne va, perché almeno ti lascia libera». Concetto che trovai oltraggioso: «In che senso libera? Io non voglio essere libera, io voglio rimanere prigioniera per sempre di questo amore non corrisposto, annegare nelle mie lacrime e sperare in un disperato ritorno sotto la pioggia con promessa di matrimonio».
Quello che ci lega è la nostalgia dei primi tempi
Alla fine, era la nostalgia che mi teneva ancorata a quella roccia fredda che non volevo lasciare andare, perché sparita quella non sarebbe rimasto più niente. Quella nostalgia generata dal dolore mi faceva sentire viva. Ed è stato così per molti anni a venire. Certo, la mia famiglia e le famiglie dei miei amici non brillavano per equilibrio e armonia. Anche nel caso del matrimonio dei miei, se metto insieme i giorni belli non arrivano a 2 anni su 23. Automatico, quindi, pensare che l’assistere a un pessimo esempio di relazione diventi poi lo specchio di quello che si cercherà in seguito: ossia tutto ciò che “puzza” di casa, nel bene e nel male. Più facile gestire le situazioni di quiete prima della tempesta che quelle di quiete tout court. Come immaginare un Navy Seal in vacanza alle Maldive, probabile che si senta scomodo.
Se fa male non è amore
Ho però potuto osservare persone provenienti da famiglie sane ed equilibrate infilarsi in una serie di relazioni tossiche da cui sono uscite devastate. Relazioni che si è insistito a portare avanti nonostante i continui litigi, i tradimenti, gli insulti e anche le botte. Relazioni che quasi sempre andranno ad arricchire le tasche degli avvocati divorzisti, quando non riempiranno le pagine di cronaca nera. Quando insegneremo ai bambini il semplice concetto che “Se fa male non è amore”, riusciremo a creare generazioni di individui che sanno riconoscere il buono dal cattivo e costruiranno relazioni su basi solide. E la nostalgia sarà solo quella “celeste” di Riccardo Cocciante.
L’autrice
Federica Bosco, autrice di questo articolo è ora in libreria con Volevamo prendere il cielo (Garzanti), la storia d’amore travagliata fra Linda e Leonardo.
Il batticuore è anche in tv
Che effetto fa tornare indietro nel tempo? Alle prime vacanze da soli in campeggio, alle serate in spiaggia attorno a un falò, ai primi amori? Quelli che ti rimangono dentro per una vita perché ti hanno fatto battere forte il cuore ma anche conoscere la sofferenza? La serie Un’estate fa, ora su Sky, racconta di Elio (lo interpreta da adulto Lino Guanciale, da ragazzo Filippo Scotti), un 50enne coinvolto nel mistero della scomparsa di una ragazza, Arianna, di cui era innamorato da adolescente. La trama thriller che si sviluppa tra gli anni ’90 e oggi è anche un modo per farci tornare indietro nel tempo, per farci rivivere la spensieratezza, le risate, i batticuore dell’adolescenza. Perché Arianna scompare e a Elio rimane per tutta la vita quel senso di incompiuto e irrealizzato che gli amori idealizzati portano con sé. C’è tanta nostalgia in questa serie che vanta un cast d’eccezione (ci sono anche Claudia Pandolfi, Nicole Grimaudo e Anna Ferzetti) e in cui tanti si ritroveranno.