Assegno di mantenimento e perdita del lavoro
Va chiarito, sin da subito, che il genitore tenuto al contributo al mantenimento, anche se licenziato e privo di un reddito stabile, deve comunque provvedere al versamento dell’assegno in favore dei figli nella misura stabilita dal Giudice con sentenza, almeno sino a quando non intervenga un diverso provvedimento che lo autorizzi a ridurne l’entità.
Revisione e revoca dell'assegno di mantenimento
Del resto, qualora l’obbligato decidesse di interrompere, di propria iniziativa, il pagamento di quanto dovuto a titolo di concorso al mantenimento, andrebbe incontro a serie e concrete conseguenze, anche di natura penale, trattandosi di una violazione di un provvedimento giudiziale, e ciò a prescindere dalle proprie vicissitudini lavorative.
Purtroppo, in un periodo di profonda crisi economica come quello attuale, accade sempre più frequentemente che, per motivi di ristrettezza finanziaria anche dovuta alla perdita del posto di lavoro, il genitore separato non versi più nelle condizioni di provvedere al pagamento dell’importo statuito all’epoca della pronuncia di separazione. E come procedere in questi casi?
Innanzitutto, come precisato, in più occasioni, dalla giurisprudenza della Cassazione, anche nell’ipotesi del venir meno di un’entrata reddituale stabile, il coniuge deve far fronte ai propri doveri genitoriali, tra cui quello di occuparsi del sostentamento dei figli, eventualmente attingendo da tutte le risorse disponibili, quali t.f.r., indennità di disoccupazione nonché, se necessario, ricorrendo all’aiuto economico dei propri genitori (sentenza della Corte di Cassazione n. 48204 del 13.12.12).
Revoca dell'obbligo al mantenimento
Ciò detto, in caso di riduzione oggettiva e concreta delle proprie disponibilità economiche, al coniuge obbligato non resta che rivolgersi al Giudice civile per chiedere una riduzione dell’importo stabilito con il provvedimento di separazione, dando prova delle difficoltà finanziarie in atto, e potendo difficilmente auspicare, in quella sede, in una revoca dell’obbligo al mantenimento. Oltretutto, per giurisprudenza costante, non basta la sola perdita di un bene personale di rilevante valore o di un’attività produttiva di reddito per giustificare una modifica delle condizioni stabilite al tempo della separazione.
Ciò in quanto, permane a carico dell’interessato, l’onere di dimostrare che la perdita del rapporto di lavoro abbia determinato una riduzione complessiva delle proprie risorse economiche, venendo poi in considerazione anche la capacità effettiva di reperire un’ulteriore occupazione, anche saltuaria, oltre ad altre variabili, quale l’età dell’obbligato.
E così, ad esempio, in un recente caso, la Corte di Cassazione respingeva la domanda di modifica dell’assegno avanzata da un padre tenuto a versare il contributo al mantenimento del figlio, unicamente basata sul presupposto della perdita del posto di lavoro.
I Giudici, infatti, evidenziavano come il modesto contributo economico posto a carico del genitore non collocatario fosse comunque sostenibile sulla base delle capacità lavorative dello stesso, anche tenendo conto delle possibilità di procacciarsi altre attività (sentenza Cass. 24424/13). In altri casi, inoltre, sulla decisione di rigettare la richiesta di riduzione dell’assegno, hanno pure inciso le modalità della perdita del posto di lavoro, dovuta ad esempio dalla condotta irresponsabile del lavoratore dipendente, incapace, per motivi di negligenza, di conservare il posto di lavoro, tanto da determinare il proprio licenziamento.
In conclusione, la semplice perdita della propria occupazione non è automaticamente motivo di riduzione dell’assegno di mantenimento, essendo necessario che esista una reale e consistente diminuzione della condizione patrimoniale dell’obbligato rispetto a quella dichiarata nel giudizio di separazione, alla luce di tutte le circostanze del caso.