Il caso Segre-Seymandi continua a tenere banco e probabilmente si continuerà a discuterne a lungo. Per ora lui, Massimo Segre, ha risposto ad alcune delle accuse che gli sono state mosse, tramite una lettera sul quotidiano La Stampa, nella quale spiega che non si è trattato di violenza nei confronti della ormai ex. Il commercialista, finanziere e banchiere spiega anche il suo concetto di libertà e fedeltà che – chiarisce – era condiviso da Cristina Seymandi, sua promessa sposa poi lasciata con un discorso davanti ad amici e parenti proprio nel giorno in cui, a Torino, avrebbero dovuto ufficializzare la data delle nozze imminenti. Invece il matrimonio, già rinviato a causa della pandemia Covid, non ci sarà, mentre ora lo scontro è sul piano legale. Aveva diritto, lui, ad accusare pubblicamente la fidanzata di averlo tradito ripetutamente? Oppure c’è stata diffamazione? Che dire, poi, del video dell’episodio, che ha fatto il giro del web? Ecco cosa ne pensa l’avvocata Claudia Rabellino Becce.

Diffamazione o ingiuria?

Da più parti si è ventilata l’ipotesi di una possibile denuncia per diffamazione nei confronti di Segre, ma secondo Rabellino Becce va fatta chiarezza: «La fattispecie di reato ipotizzabile, in linea teorica, è l’ingiuria (art. 594 del codice penale) e non la diffamazione». La differenza è chiarita dal Codice stesso: “Commette il reato di ingiuria chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a €516,46. Commette invece il reato di diffamazione chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa”.

Il possibile risarcimento danni

«Se si procedesse con l’ingiuria, però, non sarebbe un reato, in quanto depenalizzato nel 2016, ma di un illecito amministrativo, che può fondare una richiesta di risarcimento, ove venga provato un danno patrimoniale o non patrimoniale. Per esempio potrebbe trattarsi di un danno all’immagine con ripercussioni sociali e lavorative, o un danno alla salute, anche psicologica, della “vittima”, chiarisce l’avvocata». «L’ingiuria, dunque, è stata depenalizzata, mentre restano reati la calunnia, la minaccia e la diffamazione. Anche se non si incorre più in un processo penale, però, va ricordato che l’ingiuria rimane una condotta sanzionabile dal punto di vista civile, quindi può portare a una sanzione pecuniaria (da pagare allo Stato) e al risarcimento di un danno, se provato», chiarisce ancora la legale.

Quando si viola la privacy?

«Da non sottovalutare, poi, le possibili implicazioni relative alla violazione della normativa in tema di privacy derivanti dalla diffusione via social del video del discorso con cui Segre ha parlato dei (presunti) tradimenti della ex fidanzata. Il Garante della privacy, infatti, ha reso noto con una nota l’apertura di una istruttoria», prosegue Rabellino Becce. Lo scopo è «accertare il possesso da parte dei diversi soggetti che hanno proceduto, a diverso titolo, anche attraverso video, alla diffusione dei dati e dei contenuti in questione, di un’idonea base giuridica”, come chiarito dal Garante. «Infatti la diffusione di dati personali, anche relativi a relazioni sentimentali, può incidere in modo sensibile sulla vita delle persone coinvolte, con ripercussioni sulla reputazione e la sfera affettiva. In questo caso potrebbe essere accusato del reato di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis codice penale)», che punisce chiunque “mediante l’uso di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privati». In questo caso la pena va da sei mesi a quattro anni.

Caso Segre-Seymandi: lui si difende

Ma Segre, come anticipato, ha voluto difendersi: quanto al video ha chiarito: «Lasciarla pubblicamente è stato un gesto certamente forte, che mi è immensamente dispiaciuto fare nei suoi confronti e che mi è costato particolarmente tanto, perché totalmente lontano da quella mia maniacale riservatezza, comprovata dal fatto che le foto che mi ritraggono sono poche e quasi tutte non recenti. Riservatezza che – come potranno confermarle i suoi collaboratori – mi spinse, nel giorno precedente alla diffusione del video, a chiedere di non far uscire un articolo sulla vicenda, trattandosi di notizia vecchia e degna delle testate di gossip più che de La Stampa. Poi è uscito il video (non certo per mia volontà, come invece incredibilmente affermato dalla Signora Loewenthal) e il boom mediatico ferragostano».

Libertà e fedeltà erano condivise

Segre ha anche scritto che «raccontare che la Signora Seymandi prima ancora di sposarmi, intesseva altre relazioni sentimentali non è violenza: è un fatto che – se la relazione fosse stata quella di una coppia aperta – non sarebbe stato preclusivo al nostro matrimonio». Quanto alla libertà, della quale ha parlato la Seymandi, Segre risponde: «Da quando, esattamente 3 anni prima, il 28/7/2020 infilai al dito di Cristina lo zaffiro di mia madre, chiedendole di sposarmi e ottenendone l’assenso, io non sono più stato libero di amare altre e così avrebbe dovuto essere per lei. Così intendevamo entrambi impostare la nostra relazione e il nostro matrimonio. Questo era il patto suggellato indossando l’anello della mia famiglia. Cristina non solo ne era totalmente consapevole e consenziente, ma lo pretendeva».

«La nostra coppia si formò con questo vincolo – prosegue ancora Segre nella sua lettera aperta – Ma, se ci si ama, non lo si vive certo come una limitazione di un proprio diritto, ma come una gioia infinita. Una reciproca, splendida esclusiva. Non importa se sei uomo o donna: appartieni all’altro/a! E io sono stato totalmente ed esclusivamente di Cristina».

Caso Segre-Seymandi: la vittima è lei o lui?

Lontani dal voler affermare chi abbia ragione o toro, si è parlato molto di una presunta disparità di genere nel trattamento mediatico del caso. Segre afferma «che il problema della parità di genere non mi appartiene. Mia mamma fu la prima presidente donna di una banca quotata in Italia e mi ha insegnato che le persone si giudicano per le loro qualità, non per il loro sesso». Ma Rabelli Becce osserva: «Stupisce che nel 2023 una donna possa ancora essere messa alla gogna per una infedeltà (vera o presunta che sia). D’altra parte l’Italia è il Paese del doppio standard per eccellenza, se si pensa che il reato di adulterio (cancellato dalla Corte Costituzionale solo alla fine degli anni ‘60) puniva le donne che avessero commesso infedeltà, a prescindere dalla durata della loro relazione, mentre il reato di concubinato, attribuito agli uomini, prevedeva la punizione solo se l’uomo avesse ospitato la sua amante nella casa coniugale o altrove».