Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono sempre di più le persone ad avvertire problemi di depressione e disturbi d’ansia.

«Oggi il passato, o meglio la mancanza di un vero passato, mi sta presentando il conto. Impantanato nello stesso luogo da troppi anni, perso in abitudini e ricordi, sono invischiato, soffocato dalle mie stesse radici. Mi sono ammalato. Ho esaurito la mia scorta di parole» scrive Richard Mabey, naturalista inglese, raccontando il suo lento precipitare nel vortice di una depressione che lo porterà ad affrontare un viaggio attraverso nuovi territori, geografici ed emotivi, per riscoprire se stesso e ritrovare il senso.

Vedere tutto nero: il dramma della depressione, una sfida

Il fotografo Christian Hopkins, a cui diagnosticano la depressione all’età di sedici anni, guarda il male con un obiettivo e lo sceglie come tema di ricerca: le sue sono immagini che si perdono nella nebbia, in un mondo fatto di colori spenti. La questione cromatica, fra l’altro, secondo alcuni esperti potrebbe giocare un ruolo tutt’altro che casuale. Dai risultati di un’indagine effettuata in Germania, infatti, è emerso che la visione dei colori potrebbe risultare differente nei soggetti depressi.

Durante il test è stato chiesto a 80 soggetti, di cui 40 malati di depressione, di sedere davanti a uno schermo in una stanza scarsamente illuminata. Una serie di elettrodi sugli occhi registrava l’attività cerebrale durante la visione di un video in cui scacchi bianchi e neri cambiavano gradualmente sfumatura fino ad assumere il colore grigio. Condotto da un team di ricerca di Friburgo, l’esperimento ha rilevato che il nervo ottico mostrava una minor attività in presenza della depressione.

Depressione: i sintomi

Vedere tutto nero, in fondo, costituisce un’espressione che ben rispecchia la sensazione di avere un buco dentro, un’immagine frequente in chi racconta i problemi di depressione.

Niente ha più senso: tra i sintomi di depressione troviamo la sensazione di una profonda tristezza, mancanza di interesse o piacere verso ciò che in precedenza risultava gratificante e a questo possono aggiungersi calo del desiderio, apatia, cambiamenti repentini nel peso corporeo (inappetenza, ma anche il suo contrario).

«Oppressione toracica, alterazioni dell’alvo, stipsi, ritmo cardiaco accelerato, mal di schiena. Gli uomini, più che le donne, hanno difficoltà a leggere gli stati d’animo, sono alessitimici (alessitimia o analfabetismo emotivo, dal greco a “mancanza”, lexis “parola” e thymos “emozione”) e tendono così ad attribuire la causa del malessere al disturbo organico, invece che emozionale» spiega il dottor Gianluigi Mansi, Responsabile dell’Unità di Psichiatria e Riabilitazione Psichiatrica presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza.

«I sintomi a livello fisico possono essere segnali di depressione. Questa casistica comprende la riduzione delle capacità  lavorative, l’abuso di sostanze stupefacenti e alcolici: sintomi che esiste una difficoltà e sotto i quali può nascondersi la depressione. È importante sapere che si tratta di un disagio emotivo non riconosciuto» afferma l’esperto.

Il compito di un bravo specialista in fondo consiste  proprio in questo: accompagnare la persona a ritrovare le emozioni, andare sulle tracce di ciò che si è perso e recuperare il contatto con se stessi.

«Non c’è niente di male nella facilità al pianto: sentirsi una nullità può succedere» ricorda l’esperto che avverte: «Il mito del maschio insensibile è ormai andato perduto, ma questo stereotipo è ancora presente  a livello sociale. Non è un caso, in fondo, se sulla carta d’identità di una donna sia possibile scrivere “casalinga”, mentre un uomo che si occupa della casa e della cura dei figli ancora oggi viene classificato come “disoccupato”».

La depressione maschile

«Esiste una differenza nell’espressione del disagio psichico da parte dell’uomo e della donna ed è importante parlarne» spiega il dottor Gianluigi Mansi.

Le differenze di genere nei disturbi dell’umore costituiscono un ambito su cui abbiamo ancora bisogno di educare le coscienze e sensibilizzare tutte le parti interessate. È tempo di diventare coscienti del fatto che il rapporto con la malattia, e con la sua espressione, non è unisex: al contrario la modalità per esprimere il disagio può essere molto differente nel maschio e nella femmina.

«Se circa due terzi dei quadri depressivi interessano la donna, il rischio suicidario, tuttavia, è maggiore nell’uomo» aggiunge l’esperto.

Rabbia e depressione

La sintomatologia nell’uomo si maschera in quadri che apparentemente sono lontani rispetto alla depressione per come la si intende abitualmente. Difficoltà di erezione, impotenza e calo del desiderio costituiscono spie importanti: problematiche a livello sessuale e relazionale possono, infatti, nascondere una depressione mascherata.

Il comportamento rabbioso-irritato rappresenta un ulteriore aspetto, a cui fare attenzione; scatti d’ira, istabilità emotiva e tendenza a un comportamento aggressivo non vengono visti, né considerati a sufficienza. Il dottor Mansi ricorda: «La rabbia è la sorella cattiva della depressione». 

Il poeta inglese William Blake scrisse: “Ero arrabbiato con il mio amico. Glielo dissi e la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico. Non ne parlai, e la rabbia aumentò”. È così: la rabbia può essere uno stimolo potente e quando sappiamo ascoltarla è capace di rivelare la presenza di frustrazioni e tristezza.

Il problema è che per alzarsi in piedi, scardinare ciò che vacilla e prendere coscienza di quello che dentro fa male e non si accetta, è necessario ascoltare la propria rabbia e imparare a esprimerla. «Gli uomini faticano a manifestare la propria fragilità e questo succede anche per motivi di natura culturale» spiega l’esperto.

“Un vero uomo non piange”, quant’è difficile sfatare questo falso mito! Ancora oggi, involontariamente, viene insegnato ai più piccoli, magari senza riflettere troppo sulle conseguenze delle nostre parole quando diciamo a un bambino: “i bambini grandi non piangono”, “ormai sei un ometto”, “se tu piangi, anche mamma piange”. Esprimere le proprie emozioni è un diritto e dovrebbe essere pienamente parte del processo educativo.

Nella vita pratica quali sono i comportamenti che favoriscono un atteggiamento benefico per il fisico e per la mente? «La depressione ha un ritmo circadiano: migliora nel tardo pomeriggio, inizio serata» spiega il dott. Gianluigi Mansi: «Suggerisco di mettere in quelle ore gli impegni inderogabili. Una piccola attività quotidiana: “vada a prendereun caffè in un bar a un paio di km da casa”» 

Ascoltare il corpo: i messaggi non letti

Il disagio a livello fisico può partire da una sensazione, o meglio da un’assenza di sensazioni: sono i messaggi del corpo che non leggiamo, i quali nel tempo possono accumularsi, uno sull’altro. Accade quando siamo sordi rispetto ai nostri bisogni autentici e come in una casella di posta troppo piena il rischio è che piano piano i messaggi trascurati siano così tanti che a un certo punto non possiamo più ignorarli, o superarli all’interno della solita vita. È il corpo a chiedercelo, o nei casi più gravi a imporlo: diventa necessario un cambiamento.

«Non sento la depressione, ovvero non sono in grado di leggerla come un disturbo patologico, è la situazione di chi si oppone al sintomo di un organismo che sta disperatamente cercando di avvertire che qualcosa non va. Cefalea, dolori diffusi e a livello articolare, costituiscono problematiche a livello fisico, ma possono diventare un campanello d’allarme in grado di segnalare un disturbo più profondo» spiega il dott. Mansi.

«Capita di frequente di ricevere pazienti con problematiche fisiche, come disturbi gastrici di cui non si capisce l’origine. La persona entra nel panico; ha paura della possibilità di una malattia grave, dunque si sottopone a tutta una serie di accertamenti, salvo scoprire che non sembra esserci nulla di anomalo. Tuttavia, a un’indagine più accurata, qualche domanda durante un colloquio conoscitivo è sufficiente per scoprire che c’è dell’altro… Talvolta è il lavoro a non andare bene, o ci sono problemi con i figli, o di tipo economico» illustra l’esperto.

Il peso di un periodo particolarmente difficile si aggiunge al carico quotidiano dell’esistenza e può avere l’effetto di un macigno invisibile che piano piano toglie ogni forza per rispondere in modo adeguato agli eventi. Siamo in presenza di un disagio e ci vuole tempo per vederlo: è necessario imparare le parole per esprimerlo.

Il peso del padre di famiglia

«Le donne pagano tributi importanti, ma per un maschio essere senza lavoro significa non poter provvedere alle necessità della famiglia e dei figli. La tensione legata alla perdita lavorativa e alla conseguente perdita di guadagno, può essere devastante per un uomo, che da secoli ha il peso di essere colui che “porta il pane a casa”» spiega il dott. Mansi.

«Siamo vittime della “sindrome del pescatore”: tutte le volte in cui usciamo nel mare della vita, dobbiamo portare a casa il pesce e viviamo costantemente con questa aspettativa. Per noi maschi questo periodo esistenziale è molto difficile. Probabilmente i nostri figli, le nuove generazioni, abituate a essere più precarie, ma anche ad avere meno e essere di più, non sentiranno questa tensione in modo così acuto» prosegue l’esperto.

In fondo, in un’ottica calvinista non del tutto scomparsa, il successo nel lavoro per un uomo è espressione del fatto che “Dio ti vuole”. Il rischio è anche che in famiglia di fronte a un periodo di difficoltà si formi il sospetto che in fondo l’uomo non si dia abbastanza da fare.

«La vita poteva andare in un altro modo, ecco questo pensiero non è solo disfattista ma spinge chi lo vive in una spirale negativa e senza fine fatta di risentimento, rimpianti, tendenza a rinfacciare». Quando pensiamo e ripensiamo al passato, a come poteva andare, rimaniamo bloccati lì, impantanati in una palude in cui rischiamo di perderci.

Io ci sono e ti accompagno: le cose da dire

«Quando incontriamo un paziente depresso dobbiamo anzitutto chiarirgli che ci troviamo di fronte a una patologia legittima. Essere depresso è legittimo. Sono arrabbiato, sono stanco, svogliato, mi trascuro non perché sono cattivo, lazzarone ma perché depresso: non è colpa mia, è mia responsabilità il curarmi. La cura è la mia unica responsabilità» conclude il dott. Mansi.

Le mogli, amiche e compagne di vita che cosa possono fare? Accompagnare significa dare al proprio compagno il tempo necessario per curarsi e sapere che le tempistiche sono lente: possono volerci mesi, o anni.

A volte significa mordersi la lingua quando verrebbe da dire frasi come: “tira fuori la grinta… puoi riuscirci… dai… puoi fare di più… quando ti ho conosciuto eri diverso”. Significa imparare ad attrezzare la famiglia.

«Esserci, semplicemente. Nella vita quotidiana e nelle esigenze della malattia, per esempio quando si tratta di aiutare a ricordare l’assunzione dei farmaci. Riguardo alle cure e alle medicine gli uomini si mostrano spesso inaffidabili, perché negano il bisogno in un senso errato di autonomia: il farmaco viene visto come espressione di fragilità».

Significa uscire a fare una passeggiata (del resto gli studi sottolineano i benefici del movimento), vivere il brutto tempo e le giornate di sole, creare nuove ispirazioni e sapere che per realizzare un nuovo modello culturale abbiamo bisogno di sentire di nuovo le emozioni.

«Noi maschi siamo stati allenati al valore del “devi farcela da solo”, ma il nome che rimane sulle labbra è “mamma”, persino in punto di morte: la persona che si è presa cura di noi quando eravamo piccoli esseri inermi, completamente in balia dell’altro».

Cambiare il vocabolario significa evitare di dare un carico di volontarietà a una patologia. La depressione va affrontata senza senso di colpa, né facendo riferimento alla volontà. Ti puoi curare senza vergogna, ecco il senso del ridare dignità alla malattia attraverso la presenza: io ti aiuterò e accompagnerò nella terapia, esco con te a fare due passi, ti ricorderò le visite e tu non sentirti in colpa quando sei confuso, stanco o sfiduciato perché può capitare. Affronteremo insieme i momenti in cui non avrai voglia di ridere.