Come imparare a dire di no

Crescere richiede un impegno che non tutti sono in grado di sostenere, almeno non nelle fasi di vita convenzionalmente deputate a farlo. Nei casi più seri la mente è in grado di costruire alibi o tendere trappole pur di rimanere ancorata a un’età dell’oro e, allo stesso tempo, soddisfare il bisogno primario più importante di ogni essere umano sulla faccia della terra: sentirsi amato. Un bisogno analogo anima spasmodicamente Ruben anche nel momento di fragilità estremo in cui, sprofondato in una buca nell’asfalto, sta subendo un aggressivo benservito da parte di Francesca, la sua compagna. Tra le altre cose Ruben viene accusato di sciatteria, di aver sprecato i suoi talenti e di incapacità a vivere una relazione vera e propria. Che da una parte tali accuse siano vere è indiscutibile, perché Ruben a quasi quarant’anni non ha realizzato ancora nulla.

Fa il giornalista precario in una testata sportiva, segue un’alimentazione scorretta ed è fin troppo accondiscendente con il prossimo. Mentre rimugina queste cose esce dalla buca, si sistema gli abiti e si incammina verso le strisce pedonali. Proprio in quell’istante davanti ai suoi occhi accade qualcosa che gli cambierà la vita: una ragazza viene investita da un suv e muore.  Le immagini di quell’incidente tornano a trovarlo spesso nei giorni successivi. Ruben capisce che la vita è appesa a un filo ed è giunto il momento di chiudere alcuni conti in sospeso. Inizia così “Non fate come me” (Rizzoli) esordio narrativo di Massimiliano Bruno, classe 1970, attore, regista e sceneggiatore pluripremiato, che fa riflettere senza mai spegnere il sorriso sul significato dell’esistenza e delle relazioni con le figure più importanti madri, padri, sorelle, fidanzati e amici.

 
Massimiliano Bruno
L’autore del libro Non fate come me
Ufficio Stampa

Crescere, un gioco da grandi! Intervista a Massimiliano Bruno

Tra le tante caratteristiche, Ruben ne ha una che lo identifica più delle altre e imprime ritmo a tutto il
romanzo: non saper dire di no.
“Ruben è un Peter Pan che si rifiuta di crescere e accondiscendere la volontà degli altri è un modo per non
prendersi responsabilità, finché succede qualcosa che gli apre gli occhi. Solamente che rispetto a un romanzo di formazione classico in cui è un adolescente a capire certe cose, lui ha quasi quarant’anni anni e rappresenta uno dei tanti adolescenti prolungati italiani che crescono un po’ troppo tardi. Il vantaggio di dire sempre di si, li per li, è non entrare in conflitto, ma in realtà quello che fa crescere è proprio l’esatto opposto”.
 
Adolescente prolungato è chi cresce troppo tardi, ma è mai troppo tardi per crescere?
 
“No, però sarebbe molto meglio crescere prima. Anch’io conosco tantissime persone che a cinquant’anni
ancora sono indecisi sulla strada da prendere e infatti sono tutti depressi! Non sanno se mettere su
famiglia oppure, quando sono sposati, si sentono incastrati in uno schema di vita di cui avvertono il peso,
costretti a fare cose che non gli va di fare”.
 
Nel corso della storia Ruben scioglierà dei nodi con alcune relazioni significative della sua vita. Riuscirà così a uscire da questo limbo?
 
“Riesce, perché affrontare i propri fantasmi è sempre meglio che non affrontarli. La vita è giocare una partita ma non per forza vincerla, si può perdere o vincere, l’importante è affrontare la cosa che non ci piace. Come ci insegna la grande letteratura anche gli eroi possono perdere ma l’importante è che accettino la sfida e in qualche modo si mettano in gioco”.
 
Dopo tanti anni di scrittura cinematografica e televisiva, come ti sei trovato a scrivere un romanzo?
 
“Ho capito che è la mia cifra giusta. Mi trovo molto più a mio agio a scrivere romanzi che a scrivere per il
cinema, senza confrontarmi con nessuno e tirando fuori tutta farina del mio sacco. Mi sono sentito molto
realizzato e credo che lo rifarò al più presto”.

Il parere dell’esperta

Per sentirsi accettati e amati non è detto che bisogna essere sempre disponibili e diventare lo zerbino di qualcuno. In questa intervista la dott.ssa Maria Cristina Strocchi spiega cosa si cela dietro alla difficoltà a dire no e dà qualche consiglio per rinforzare l’autostima e l’assertività.
 
Cosa si nasconde dietro all’incapacità a dire no?
“La bassa autostima in cui la persona si sottovaluta e antepone i bisogni degli altri ai suoi, nella speranza
di essere amata. L’incapacità di dire no è legata anche alla paura della solitudine e quindi di essere rifiutata/o o
abbandonata/o.
Inoltre, sotto sotto, c’è la paura dell’aggressività dell’altro o il senso di colpa nel deluderlo o nel farlo
soffrire, soprattutto nei legami affettivi profondi.
 
Cosa comporta questa incapacità?
 
“Un’insoddisfazione crescente e la creazione di un circolo vizioso: più non si reagisce, più si perde la stima di sé che porta a continuare per la stessa strada sbagliata. A livello psichico si creano: ansia, frustrazione, spesso riversata nel cibo, nell’alcol e nelle dipendenze in genere, depressione, autolesionismo. A livello fisico somatizzazioni a livello gastro-intestinale, in particolar modo”
 
Quali sono i vantaggi nel non saper dire di no?
 
I vantaggi secondari esistono sempre. La persona evita i conflitti, non si assume responsabilità in prima persona e può sempre, in caso di fallimento, scaricare la colpa sugli altri. In altre parole, nasconde la testa sotto la sabbia e non affronta il cambiamento che le fa paura.

Consigli pratici per superare la difficoltà a dire no

  1. Invece di dire subito si, è consigliabile prendersi del tempo dicendo: ”Ci rifletto un po’e poi ti dico”.
  2. Utilizzare la tecnica del problem-solving ossia individuare i pro e i contro nell’accettare e nel rifiutare e, infine, scegliere la soluzione più vantaggiosa.
  3. Imparare a esprimere la propria volontà, anche contraria a quella altrui, con gentilezza. Nel rifiutare un invito o una proposta si potrebbe, ad esempio, formulare la frase nel modo seguente: “In questo caso non me la sento, magari sarà per la prossima volta”.
  4. Tenere un diario dei propri progressi.