Gli alimenti e l'importo dell'assegno alimentare possono essere modificati se mutano le condizioni economiche fra i coniugi rispetto al momento della separazione o del divorzio. Ma quando è possibile chiedere la modifica della somma da versare all'ex coniuge per gli alimenti?
L’obbligazione alimentare svolge la funzione di assicurare al coniuge che si trovi in stato di indigenza e povertà i mezzi necessari al proprio sostentamento, di regola mediante il versamento di un assegno, il cui ammontare viene determinato tenendo conto dei bisogni del richiedente e delle condizioni economiche dell’obbligato.
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Si tratta quindi di circostanze che, per loro stessa natura, sono passibili di continui cambiamenti – in senso migliorativo o peggiorativo – i quali necessariamente non potranno che incidere sull’entità dell’assegno. Se, ad esempio, l’alimentando (ossia il coniuge beneficiario degli alimenti), un tempo privo di redditi propri, ottiene successivamente un’occupazione lavorativa che gli consenta di trarre uno stipendio fisso, anche se insufficiente a coprire del tutto le proprie esigenze, è chiaro che la misura dell’assegno potrà essere ridotta.
E lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui il soggetto tenuto al versamento dovesse venire a trovarsi in una situazione economica deteriore (si pensi al caso del titolare di un’impresa, in precedenza florida, che in un secondo momento fallisce). Pertanto, a seconda del tipo di modifica intervenuta, l’interessato potrà rivolgersi alla competente Autorità Giudiziaria per chiedere la riduzione, l’aumento, e in ipotesi limite, anche la cessazione dell’obbligo alimentare (ai sensi dell’art. 440 comma I^ del Codice Civile).
Più in generale, quest’ultima situazione si verifica quando viene meno lo stato di indigenza del coniuge “bisognoso” per un miglioramento delle proprie capacità economiche, oppure, al contrario, qualora le condizioni dell’obbligato al versamento peggiorino al punto tale da non consentirgli ulteriormente di provvedere all’onere alimentare in favore dell’altro.
A volte, accade, peraltro, che cambiamenti significativi si realizzino proprio a seguito del comportamento volontario di una delle parti, sia essa l’avente diritto oppure la persona tenuta al pagamento. Nel primo caso, il fatto che il coniuge abbia colpevolmente causato il proprio stato di bisogno, non esclude comunque la possibilità per lo stesso di richiedere gli alimenti a carico dell’altro.
Tuttavia, una volta ottenuti, un’eventuale e successiva condotta disordinata, irresponsabile o riprovevole del beneficiario potrà legittimare colui che paga il versamento a rivolgersi al Giudice per ottenere la riduzione dell’assegno alimentare. E ciò, ad esempio, potrà verificarsi quando l’avente diritto impieghi l’assegno ricevuto per procurarsi alcool o sostanze stupefacenti, per fare scommesse e comunque per fini futili, dannosi o diversi dal proprio sostentamento.
Per quanto concerne invece il comportamento del coniuge obbligato, quest’ultimo, in linea di massima, non potrebbe essere tenuto agli alimenti, se privo di capacità economica, anche nell’ipotesi in cui tale condizione sia dovuta a una propria condotta colpevole. In presenza di un vuoto normativo, è dunque possibile che il debitore sperperi il suo patrimonio con il preciso scopo di sottrarsi all’obbligo di versare gli alimenti.
Per ovviare a questo inconveniente, una parte della dottrina ritiene che, in simili situazioni, il soggetto obbligato, se da un lato potrebbe chiedere la riduzione o la cessazione dell’assegno alimentare, dall’altro potrebbe essere tenuto al risarcimento dei danni causati al creditore, nonché punito penalmente, ai sensi dell’art. 570 c.p., per aver fatto mancare al coniuge i mezzi di sussistenza.
In ogni caso, va rammentata la possibilità per il beneficiario dell’assegno di ricorrere agli ordinari strumenti di tutela previsti dal nostro ordinamento, quale ad esempio il sequestro conservativo, a garanzia del proprio credito alimentare.
A cura dell'Avvocato Francesca Oriali