Conto corrente cointestato restituzione somme prelevate coniuge
La restituzione e il rimborso dei prelievi effettuati sul conto corrente cointestato al momento della separazione è un discorso complesso. Chi ha prelevato somme dal conto corrente cointestato in alcune occasioni deve infatti restituirle. Con lo scioglimento della comunione legale tra coniugi – che si verifica con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione (o con l’omologa in caso di consensuale) – occorre innanzitutto procedere ai rimborsi e/o alle restituzioni delle somme prelevate dal patrimonio comune per finalità differenti dai bisogni della coppia.
A seguito di ciò, alle parti, viene assicurato il diritto alla ripartizione in uguale quota dell'attivo e del passivo. Questo perché, salva prova contraria, le somme depositate su un conto corrente cointestato si presumono di proprietà dei coniugi nella misura del 50% ciascuno.
Ma in caso di indebiti prelievi dal conto comune quali rimedi possono essere utilizzati dalla parte che si vede lesa?
Diritti successori in caso di separazione
In sede civile, potrà essere proposta un’azione diretta alla restituzione delle somme indebitamente prelevate dimostrando la proprietà esclusiva delle stesse. Sul punto, si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19115/12, la quale ha chiarito che il soggetto che affermi che le somme presenti sul conto non debbano essere assegnate in parti uguali potrà fornire prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, ad esempio con l’esibizione di ordini di accreditamento,di stipendi e pensioni, oppure di versamenti sul conto comune di assegni emessi a favore di uno dei cointestatari.
Il caso riguardava la vicenda di una moglie che aveva effettuato ripetuti prelievi dal conto corrente cointestato. Esaminata la documentazione bancaria dalla quale risultava che lo stesso era stato alimentato dal solo marito e che la donna, al contrario, aveva sottratto ingenti somme all’insaputa del partner, è stato affermato il diritto di quest’ultimo alla restituzione degli importi.
Per quanto riguarda, invece, il profilo penale, il nostro ordinamento non assicura una tutela nel caso in cui l’appropriazione indebita avvenga tra persone sposate. Infatti, a norma dell’art. 649 del codice penale, non è punibile chi ha commesso un reato contro il patrimonio in danno del coniuge non legalmente separato.
Cosicché, nel corso del matrimonio, ad una eventuale denuncia sporta dal coniuge che si dice danneggiato, non potrà seguire un processo penale perché il soggetto agente non sarebbe considerato punibile. Va aggiunto che l'articolo in questione è applicabile a prescindere dal fatto che le parti abbiano optato per la separazione dei beni oppure per il regime di comunione.
Il responsabile sarà, invece, punibile nel caso in cui i fatti-reato si siano verificati in epoca successiva all’emissione della sentenza di separazione giudiziale o dell’omologa in quella consensuale. Infine, è bene precisare che questa causa di esclusione della punibilità non opera in presenza di conviventi. Il legislatore, riferendosi nell’articolo 649 del codice penale unicamente ai coniugi, ha inteso così escludere dai soggetti che godono dell’impunità coloro che non sono legati da un vincolo matrimoniale e che, di conseguenza, potranno essere giudicati colpevoli, sempre che sussistano i necessari presupposti.
A cura dell'Avv. Francesca Maria Croci