Dipendenza affettiva

Una storia d’amore caratterizzata da una dipendenza affettiva non è un amore sano e reciproco, ma un’ossessione. Lei si annulla per lui, sperando che lui possa risolvere tutti i suoi problemi. Di affetto, di stima, di fiducia, di felicità… ma uscirne si può. Basta imparare a riconoscerla prima che sia troppo tardi.

Ne parliamo con lo psicoterapeuta Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna.

Uno dei modi con cui si manifesta la dipendenza affettiva è quello di stimare l’altro più di se stesse: una strada che porta a dimenticarsi dei propri desideri, per piegarsi sempre alla volontà dell’altro.

“Sono felice solo se ho un uomo accanto, anzi esisto solo se c’è lui” – è questo il pensiero (ridotto all’osso) di chi rischia la dipendenza affettiva. Dimenticarsi cioè che una donna è già una persona “degna”, a prescindere dal fatto che abbia o meno una relazione.

Cos’è la dipendenza affettiva

Essere dipendenti affettive significa essere vittima e prigioniere psicologicamente dell’altro al punto da avere la sensazione di non poter fare nulla da sole.

Il senso di indipendenza e libertà viene meno, lasciando posto ad un impoverimento che sfocia nella paura di non poterci staccare dall’altro.

Negli anni ’70 il libro “Donne che amano troppo” della psicoterapeuta americana Robin Norwood mise per primo in luce il tema della dipendenza affettiva, scuotendo le donne da una pericolosa illusione. Quella di sacrificarsi per amore con lo scopo – più o meno conscio – di ottenere tutto da una relazione: felicità, realizzazione di sé, comprensione assoluta e altri aspetti totalizzanti della vita.

«In questi rapporti l’amore c’entra pochissimo, anzi è spesso sostituito da un’ossessione dell’altro e da un disamore verso se stesse – spiega il dott. Pani. Le dipendenti affettive da un lato hanno una scarsa fiducia in se stesse, al punto da maturare una concezione fragile di sé; dall’altro lato fanno dipendere dall’altro (l’uomo) la loro esistenza in termini psicologici, prima ancora della felicità».

In pratica, si sentono perse se lui non c’è, temono l’abbandono e la solitudine, scambiano per affetto qualsiasi gesto provenga dall’altro, lo assecondano pur di non farlo scappare. In una parola, perdono l’autonomia offrendo il posto alla dipendenza.

L’origine della dipendenza affettiva

Anche se in psicologia non valgono i discorsi deterministici di causa ed effetto, alla base della dipendenza affettiva c’è una storia deludente di incontri emotivi ed esperienze affettive, che affonda le radici nel passato più remoto, cioè quando si era bambine e adolescenti.

«È probabile che i primi incontri della bambina con le figure affettive importanti (i familiari) siano stati vissuti come non soddisfacenti: ad esempio, un padre freddo, una madre evitante, un ambiente socio-familiare in genere poco coerente tra i modelli educativi trasmessi a voce e i comportamenti messi in pratica» – spiega lo psicologo.
A ciò si possono aggiungere le prime promesse non mantenute dal fidanzatino dei tempi di scuola, i primi scherni colpevolizzanti e così via.

«In questi casi, il normale bisogno di essere amato – che nell’infanzia è vitale – è come se restasse ‘congelato’, per manifestarsi da adulti in tutta la sua urgenza: è lì pronto ad essere soddisfatto, senza troppi ragionamenti o valutazioni di chi si ha di fronte» – spiega il Dottor Pani.

Succede quindi che la dipendente affettiva, spinta dal bisogno di compensare un’antica ferita d’amore, proietti nell’altro un’immagine spesso non corrispondente alla realtà. «Lei vede un principe salvatore dove c’è una persona normalissima che inevitabilmente la deluderà, ma che lei stessa non riuscirà a lasciare per paura di restare sola».

Come si manifesta la dipendenza affettiva

Inseguire l’altro che non ci vuole, temere che senza di lui non valiamo nulla, accettare tutto anche i soprusi, assecondarlo in ogni comportamento, senza mai dire ciò che desideriamo: questi sono i tipici comportamenti di chi soffre di dipendenza affettiva. Sì, perché la questione dei desideri contrapposta ai bisogni è centrale nell’ossessione d’amore.

«Chi ha troppo bisogno d’amore, al punto da esserne dipendente, spesso non ha la capacità di riconoscere ciò che desidera da ciò di cui ha bisogno – chiarisce il prof. Pani – anzi, spesso è prigioniero dei bisogni, tanto che proietta nell’altro aspettative d’amore che inevitabilmente saranno deluse».

Con l’andare nel tempo e con la quotidianità del rapporto, ci accorgiamo che l’altro non è come ce l’aspettavamo. Questo equivoco trasforma l’amore in una situazione dolorosa, deludente e distruttiva: si instaura perciò un circolo perverso in cui la donna che ama troppo stabilisce una dipendenza, dalla quale le sembra di non poter uscire.

«Da un lato, la dipendente affettiva si sente in colpa perché non riesce ad accontentare l’altro in tutto e per tutto, dato che le sembra una figura importante da venerare; dall’altro lato, si sente infelice perché sente di non aver esaudito i suoi sogni d’amore di bambina. Nello stesso tempo non sta arricchendo la donna che è in lei, e le sembra di non potersi liberare da un rapporto che le fa male».

Qual è l’identikit delle donne più colpite?

«Quelle che hanno avuto delle esperienze primarie (a cominciare dalla famiglia e scuola) che non sono state in grado di dargli convincimenti e chiarezze sulla propria fiducia di base; quelle che non si sono sentite amate, sono state ingannate e tradite» – risponde lo psicoterapeuta.

Va specificato che non tutte le delusioni portano alla dipendenza affettiva: «questa è il risultato di un complesso di fattori esperienziali e strutturali che si intrecciano tra loro, e ai quali non si può risalire in modo frettoloso».

Insomma, tra l‘essere poco amate da piccole ed essere bisognose d’amore da adulte in modo ossessivo non c’è sempre un meccanismo di causa-effetto. «Non dimentichiamo che le delusioni sono inevitabili per tutti e che spesso danno l’impulso a conoscerci e a capire cosa è giusto per noi in futuro – chiarisce l’esperto. Superare una delusione, capendo l’insegnamento che ci ha fornito, rafforza la fiducia in se stesse e instaura un circuito positivo, per il quale si comincia a darsi valore, e ad andare verso amori sani, anche attraverso la strada dei tentativi ed errori».

Come riconoscere la dipendenza affettiva

Finché sono invischiate in una coppia dalla quale non riescono ad uscire, malgrado faccia male, le donne non si accorgono di soffrire di dipendenza affettiva.

«Tra i segnali che devono metterla in guardia c’è innanzi tutto la violenza – tuona il Prof. Pani – prima di tutto psicologica, che è il primo campanello di allarme, poi c’è quella “modale”, cioè di comportamenti; quando si manifesta la violenza fisica la situazione è arrivata al limite».

Nella storia d’amore ci si dovrebbe sentire sufficientemente autonoma da poter fare quello che si vuole, senza essere costretta ad “obbedire” all’altro, pena la paura di essere lasciata.

L‘arricchimento è un altro aspetto da considerare: sentirsi arricchita e arricchente nello scambio con l’altro è la base di un rapporto sano.
Invece nella storia che va male ci si sente dipendente, impoverita, debole e infelice.

Come uscire dalla dipendenza affettiva

Il confronto con le altre donne aiuta a comprendere ciò che è sbagliato nel nostro modo di relazionarci all’altro, caratterizzato dall’assenza di reciprocità. Osservare che facciamo tutto per l’altro senza ascoltare i nostri reali desideri può essere un punto di partenza per riconoscere la nostra dipendenza affettiva.

Successivamente comprendere che la propria dignità viene al primo posto, per smettere di essere sopraffatta dall’altro.

Trovare delle alternative alla relazione, curando i propri interessi e le proprie amicizie.

Nei casi più severi di dipendenza affettiva, ci si può far aiutare da uno psicoterapeuta, che condurrà la donna a ritrovare la propria autonomia. «L’autonomia può essere definita come il fatto che si ascolta se stessi e non si fa solo quello che vuole l’altro per obbedienza.

Un invito da rivolgere a tutte le donne: Fai quello che vuole l’altro solo perché lo ami ma sapendo di poter scegliere di non farlo, e non perché sei costretta» – conclude il professore Roberto Pani.

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