Donne e depressione
Il caso
“Quarant’anni di matrimonio, adesso basta. Non lo sopporto più, non lo voglio più vedere, quarant’anni di soprusi e violenza, non mi hai mai trattata come una moglie, voglio andare via, lontano da lui”.
Antonia ha sessant’anni, leggo nei suoi occhi la disperazione di chi prende coscienza di una dura realtà, di chi si risveglia dopo un lungo – tormentoso – letargo. Cerco di spostare il discorso sui figli ma alimento ulteriormente la disperazione: “Dei miei cinque figli solo uno sta bene, ha un figlio, vive vicino casa mia e viene spesso a trovarmi. Gli altri un vero disastro, non so come fare a non pensarci, uno è tossicodipendente, un altro è andato via da casa dall’età di 20 anni e forse vive in Olanda.” Comincia a piangere, mi guarda e si scusa, poi aggiunge: “non so perché vivo e perché desidero ancora vivere, vorrei tanto essere un pò più serena” .
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Antonia era venuta per un disturbo d’ansia, aveva la sensazione di soffocare, di avere il cuore in gola, e tanta stanchezza. Feci diagnosi di depressione, le prescrissi una terapia con antidepressivi e ansiolitici e le consigliai un ciclo di terapia infusiva, quale placebo. Antonia da circa 3 anni assume farmaci grazie ai quali riesce ad ottenere periodi più o meno lunghi di compenso clinico e relativo benessere.
La depressione
L’esperienza depressiva è devastante ed ha profonde radici nella vita di una persona, nella sua storia, nelle sue relazioni familiari e sociali; colpisce più le donne, forse per motivi biologici, psicologici e culturali. Biologicamente la donna appare più sensibile a variazioni ormonali, dal menarca alla menopausa; queste variazioni si accompagnano ad una maggiore vulnerabilità nei confronti dell’esperienza depressiva: nelle fasi premestruali può avere sintomi del tutto sovrapponibili a veri quadri depressivi, talvolta sufficientemente gravi da richiedere un trattamento farmacologico, così come nella menopausa. Lo stesso avviene nel post-partum, dove possono insorgere quadri depressivi estremamente gravi. Non conosciamo bene i rapporti tra depressione e biologia femminile, possiamo immaginarne la complessità e ritenere che nella pratica clinica questi rapporti devono essere sempre considerati. Anche psicologicamente la donna appare più vulnerabile alla depressione, tende ad essere emotivamente più labile, più “sensibile agli eventi esterni”, più dipendente, più bisognosa di protezione e affetto; presenta una maggiore estroversione rispetto agli uomini: vuole essere rassicurata, tende a progettare la vita mettendo in primo piano le esigenze degli altri, ha minore stima di sé. Tali aspetti, uniti a fattori sociali, rendono necessarie altre riflessioni.
Considerazioni
Spesso per la donna l’uomo diventa la massima fonte di prestigio, un Io vicario che talvolta rischia di soppiantare il vero Io compromettendo, in maniera talvolta seria, l’autonomia del soggetto. Al contrario l’orgoglio di un uomo più spesso si basa sulla carriera professionale e sulle conquiste personali. Secondo alcune statistiche sono più gli uomini che si suicidano per la perdita di un affare (o del potere politico) che per la perdita della moglie o di un figlio. Non perché l’amore per i figli o il coniuge sia minore, ma perché perdendo l’affare perdono la sicurezza, il prestigio, la fiducia in sé, l’autostima che la donna invece ripone negli affetti più cari.
Naturalmente oggi stiamo assistendo ad una inversione di rotta; la cultura è in continua trasformazione ed evoluzione e la donna occupa sempre di più ruoli di prestigio e posizioni da manager. Sorgono così le problematiche del doppio ruolo, la donna che lavora e che provvede alle esigenze della famiglia; uno stress aggiuntivo non sempre di facile gestione, anche per l’insufficiente aiuto che il coniuge e la società forniscono alla donna.
Le domande
Chi è la donna che soffre? In che modo la sua depressione si manifesta sul versante clinico? Come reagisce alla sofferenza dell’esperienza depressiva?
Non esiste la “donna tipo” candidata alla depressione; si rivolge allo psichiatra la donna giovane, sola, che lavora e che è alla continua ricerca del suo ideale di uomo, oppure la donna sposata, più avanti negli anni, che lavora e che provvede alle necessità della famiglia, ma anche la casalinga che non ne può più del marito e dei figli.
Vi è poi la donna felicemente sposata (“risposerei di nuovo mio marito” ) che va in depressione perché le due figlie vanno a vivere in un’altra città per poter trovare lavoro (“Non posso accettare l’idea di rimanere da sola, dopo tutto quello che ho fatto per loro.”).
Vi sono poi le donne divorziate, che vanno alla ricerca di un altro uomo (ed iniziano relazioni spesso conflittuali e complesse) o che rinunciano completamente alla vita affettiva, e le donne che hanno superato i 55 anni e che arrivano ad essere veramente stanche della vita e delle relazioni familiari. Le loro storie hanno in comune un profondo vissuto di solitudine ed abbandono, una mancanza di autonomia e speranza, terreno fertile per la depressione.
Sul versante clinico i sintomi di più frequente osservazione sono:
– stanchezza e senso di affaticamento
– sintomi fisici come cefalea e disturbi gastroenterici
– disinteresse per l’ambiente circostante
– ansia
– depressione del tono dell’umore e perdita di speranza
– sentimenti di impotenza e sensi di colpa
– insonnia
– diminuzione della capacità di concentrazione e facile distraibilità
– preoccupazione eccessiva anche per piccoli problemi
– diminuzione della libido
Le conseguenze
Sul piano comportamentale è possibile osservare alcune conseguenze della depressione: aumento del consumo di analgesici, del fumo di sigaretta, di alcol o di cibi altamente calorici (in particolare cioccolata e dolci). E’ evidente inoltre una minore cura della persona e spesso viene riferita una irritabilità inusuale nei confronti dei familiari, in particolare dei figli. L’associazione di questi sintomi (variabili per numero e intensità) dà luogo ai diversi disturbi (dal disturbo dell’adattamento con umore depresso, alla depressione maggiore e alla distimia) che comportano, per definizione, una compromissione del funzionamento globale del soggetto. Negli ultimi tempi si assiste sempre più spesso (ma solo perché viene prestata più attenzione), – ed il fenomeno è di particolare rilevanza in medicina generale -, al manifestarsi della depressione in modo monosintomatico o sottosoglia; si tratta di quadri clinici sfumati (“piccole depressioni”, “depressioni con pochi sintomi”) che comprendono tutte quelle situazioni nelle quali la sintomatologia clinica, pur essendo presente e determinando un significativo grado di sofferenza e disabilità, non ha caratteristiche o intensità tali da soddisfare i criteri diagnostici dei singoli disturbi esaminati.
Il riconoscimento di questi quadri clinici comporta la possibilità di instaurare un adeguato trattamento, evitando una possibile evoluzione verso disturbi psicopatologici più severi e migliorando la qualità della vita del soggetto che potrà riprendere una vita normale. Allo stesso modo, molti sintomi somatici (“mal di testa” “vertigini”, “disturbi gastrici”.) privi di un substrato organico (la somatizzazione, i disturbi funzionali.) possono essere espressione di un quadro depressivo mascherato che va riconosciuto e trattato. Per tali motivi il medico di famiglia è oggi molto più sensibile a queste problematiche. La sua sensibilità, la sua capacità di ascolto, la possibilità di instaurare una valida comunicazione con il paziente, nonostante i tempi ristretti di cui il medico dispone, può infatti favorire l’accesso ai vissuti depressivi, non altrimenti evidenziabili.
Ulteriori riflessioni
L’altro aspetto da considerare è la reazione delle donne alla depressione; la mia esperienza mi insegna che reagiscono con estrema forza e tengono testa ai propri impegni familiari e sociali nonostante la sofferenza; ne parlano e sono disperate, cercano sostegno, si attengono alla terapia prescritta e seguono i consigli. Diversamente gli uomini sembrano reagire con una maggiore regressione verso aspetti infantili, fuggendo dalle responsabilità della vita quotidiana e compromettendo in molti casi l’attività lavorativa. In ogni caso vi è una diminuzione della qualità della vita ed una sofferenza interiore comprensibile a fondo solo attraverso l’esperienza della depressione.
La depressione può però diventare uno stile di vita, soprattutto se al successo ottenuto con la terapia farmacologica non corrisponde un reale cambiamento delle problematiche di fondo. Si possono così avere quadri cronici, come la distimia, che richiedono interventi e cure continue, senza possibilità di una risoluzione completa della sintomatologia. In alcuni casi tuttavia la depressione diventa l’occasione per riflettere sulla vita e sulla possibilità di attuare dei cambiamenti nella propria esistenza. La sofferenza diventa motivo di rinnovamento e le decisioni al riguardo aprono al paziente nuovi orizzonti di autonomia e di maggiore cura di se stessi.
“Devo ringraziare la depressione – mi racconta Katia – se ora sono felice”. I suoi problemi psichici erano insorti – apparentemente – all’improvviso con una profonda depressione del tono dell’umore e ansia; il suo medico chiese una consulenza psichiatrica d’urgenza. Katia ha 25 anni, lavorava come cameriera in un ristorante, un lavoro che la umiliava e che non aveva mai accettato; diplomata in ragioneria avrebbe voluto continuare gli studi, ma non le era stato possibile per motivi economici. Negli ultimi mesi si era rivolta con una frequenza inusuale al suo medico per disturbi gastroenterici, trattati con antispastici, fino all’insorgenza del quadro depressivo che ha richiesto l’intervento psichiatrico. Dopo due mesi di trattamento, Katia ha deciso di cambiare vita. Ha lasciato il lavoro e si è messa alla ricerca di un posto di lavoro come segretaria riuscendo nell’intento nel giro di qualche mese. La depressione così intesa esprime la ribellione della mente a situazioni non più sostenibili e l’invito a cambiare stile di vita; ma non sempre ciò è possibile.
In molti casi, infatti, il cambiamento non potrebbe essere gestito per concrete situazioni di vita, come ad esempio essere sposati ed essere completamente dipendenti da un marito con cui si è in costante conflitto ma avere anche dei figli a cui si vuole molto bene e credere nel sacramento del matrimonio. In tali circostanze non sono possibili – né consigliabili – scelte radicali e l’esperienza depressiva deve essere mediata da soluzioni che richiedono una negoziazione che consenta un riadattamento psicologico alla situazione.
La depressione si muove dunque lungo un continuum che parte dalla normalità fino ai quadri clinici della depressione maggiore; non sappiamo perché una persona si ammala e perché presenta un dato quadro clinico, probabilmente vi concorrono più cause – biologiche, individuali, familiari, sociali – e certamente è di primaria importanza il riconoscimento e il trattamento della depressione, così come auspica l’Organizzazione Mondiale della Sanità, soprattutto oggi che esistono gli strumenti per formulare idonei ed efficaci interventi terapeutici.
Approccio alla depressione
La recente pubblicazione di alcuni articoli sull’efficacia degli antidepressivi ha destato non poche perplessità tra gli specialisti ed alimentato nei pazienti depressi vissuti di incertezza, insicurezza e sfiducia nelle cure, che in molti casi hanno determinato l’interruzione della cura, improvvisa e senza consulto medico. Tali articoli evidenziano che alcune metanalisi sugli antidepressivi condotte su studi pubblicati hanno riportato soltanto modesti benefici del farmaco verso il placebo, che non raggiungono la soglia della significatività clinica quando le stesse includono anche dati non pubblicati e che l’efficacia degli antidepressivi può dipendere dalla severità iniziale del quadro depressivo.
Senza entrare nel merito di queste pubblicazioni e senza voler polemizzare sull’uso distorto delle informazioni da parte dei mass-media – la decodificazione al grande pubblico di articoli scientifici dovrebbe essere lasciata agli specialisti – è opportuno richiamare l’attenzione su dati e considerazioni più generali, basate su dati epidemiologici, sulla disamina della letteratura scientifica e sull’esperienza clinica quotidiana. L’articolo sull’approccio alla depressione – consultabile sul sito wkhealth.it/teb – si propone di fare il punto sullo stato dell’arte della terapia antidepressiva.
Per approfondire
Pellegrino F., Non esiste la pillola della felicità, Positive Press, Verona, 1998
Pellegrino F., Malinconicamente donna, Medici Oggi, 4, 2000