Non per tirarcela, ma voi lettrici lo sapete che lo diciamo da tempo: un’educazione sentimentale è fondamentale per sradicare quella cultura della violenza che è alla base anche degli ultimi atroci femminicidi. Di questa urgenza è convinta anche Maura Gancitano, adesso nelle librerie con il saggio Erotica dei sentimenti (Einaudi).

La filosofa parte da un’esperienza personale quanto mai comune. «Nella primavera dei miei 15 anni, gli ultimi giorni di scuola sembravano non finire mai. Non erano le lezioni il problema, ma un ragazzo. Ci eravamo visti qualche volta, andavo a casa sua oppure mi dava appuntamento fuori. Quando decisi di non vederlo più, però, iniziò a dire che avrebbe raccontato ai nostri compagni tutto quello che avevo fatto con lui. Era sufficiente uno sguardo durante le lezioni per lanciarmi il messaggio che faceva sul serio: gli sarebbe bastato un attimo per distruggere la mia reputazione da brava ragazza. Nessuno lo sapeva, mi mancavano le parole per dirlo e avevo paura che le mie amiche mi avrebbero rimproverata» racconta.

Perché l’educazione sentimentale è così importante?

Questa storia risale a più di vent’anni fa. Oggi Maura Gancitano può interpretarla con serenità e con quelli che di solito si chiamano “strumenti”, che noi nati negli anni ’70 e ’80 non abbiamo avuto e che abbiamo dovuto acquisire nel percorso di crescita, spesso andando a tentoni. «Ma cosa sarebbe successo se quel ragazzo avesse potuto intraprendere un percorso di educazione sentimentale? Cosa sarebbe accaduto se ne avessimo parlato a scuola? O a casa con i nostri genitori? Come sarebbe cambiato il suo comportamento? E il mio? Avrei smesso di vergognarmi del possibile giudizio delle amiche?» si interroga la filosofa. Che di una cosa è convinta: in una società segnata da continue violenze di genere, in cui i dati ci dicono che i ragazzi provano grande disagio psicologico, l’assenza di un’educazione sentimentale si paga cara. E a pagarla non sono solo i giovani, ma anche noi adulti. Insieme a lei, quindi proviamo a capire come dovrebbe essere questo percorso.

Cos’è l’educazione sentimentale

Ultimamente si sente parlare tanto di educazione sentimentale. Cos’è esattamente?

«Questa espressione viene usata spesso in modo vago e significa tutto e niente. L’educazione sentimentale non ha alcunché di oggettivo o di assoluto: è una domanda, più che una risposta incontrovertibile.

È qualcosa che costruiamo nel tentativo di descrivere il groviglio inestricabile delle nostre vite emotive, di migliorare il nostro stare al mondo e la convivenza con gli altri

È quella capacità che ci aiuta a trovare la strada giusta, a rispondere alla domanda: “Ok, sono arrabbiato. Ma con quella rabbia cosa posso farci?”».

Cosa significa educare ai sentimenti?

Se l’educazione sentimentale entrasse nelle nostre scuole, chi potrebbe insegnarla?

«L’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa a non insegnare questa “materia” o a farlo in maniera disomogenea. Anche perché i programmi proposti, non essendo integrati nelle ore di lezione obbligatorie, non costituiscono una vera educazione sentimentale pubblica. Per insegnarla servirebbero figure ad hoc, come psicologi e pedagogisti, che aiutino i ragazzi a sviluppare “competenze” emotive».

E in che modo?

«È importante che un programma di educazione sentimentale non intellettualizzi ancora di più le emozioni, non diventi una specie di manuale di istruzioni, rendendo le relazioni qualcosa di prevedibile e razionale. In altre parole, occorre evitare un approccio normativo e prescrittivo dei rapporti umani e preferirne uno narrativo, facendo raccontare ai ragazzi chi sono, cosa provano e dando loro le parole giuste per farlo».

La letteratura, i filosofi, i miti possono insegnarci i sentimenti?

«I libri sono educativi: non ci forniscono un manuale di istruzioni, non ci insegnano niente, ma ci offrono storie diversissime, ci fanno incontrare personaggi irripetibili e contribuiscono a creare un paesaggio emotivo più articolato, più ricco, evitando quello che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie chiama “il pericolo di un’unica storia”. Il vero alert, infatti, è che su un certo tema, una certa cultura, una certa vicenda venga raccontata una sola prospettiva.

La mancanza di varietà e diversità nelle rappresentazioni riduce la complessità, crea stereotipi e distorsioni

Qui sta la ragione per cui parliamo di educazione ai sentimenti e non di insegnamento: educare viene dal latino “educere” e significa proprio “tirare fuori”, “portare alla luce”».

Il ruolo della famiglia nell’educazione sentimentale

In questo percorso di consapevolezza di se stessi la famiglia quanto conta?

«È fondamentale, come la scuola. Ma per essere di aiuto ai figli dovremmo in primo luogo prenderci cura dei nostri sentimenti, capire quali sono le nostre fragilità e continuare ad aggiornare le “competenze” emotive. Perché l’educazione sentimentale non ha età e non finisce mai: non è come la patente che una volta presa ce l’hai per sempre».

E poi?

«Dovremmo insegnare pratiche di libertà, raccontare la varietà per permettere ai ragazzi di scoprire chi desiderano davvero essere e accompagnarli a riconoscere i propri sentimenti e ad avere con la propria vita emotiva un rapporto “erotico”, in cui la tensione esiste, non viene nascosta e, anzi, è un veicolo di consapevolezza. Ecco perché ho intitolato il libro Erotica dei sentimenti: si tratta di trasmettere il desiderio nei confronti della scoperta di sé e del mondo. Questo è importante soprattutto oggi, perché molti giovani rischiano di non sentirsi più coinvolti in niente, di non desiderare più, neanche di fare sesso, e di non percepire alcun eros nelle proprie vite».

Tutt’altro che facile da mettere in pratica.

«Se vogliamo davvero parlare di educazione sentimentale pubblica, dovremmo partire da questa condizione di vulnerabilità: riconoscere quanto profondo sia il bisogno di sentirsi amati, di amare secondo le proprie inclinazioni, di far fronte alle tempeste emotive e pulsionali, e quanto sia difficile trovare le parole per ciò che è, per natura, sfuggente e ineffabile».

Si pensa che le ragazze siano più brave con le emozioni. È davvero così?

«L’empatia non ha genere. Quello che vedo, però, è che i maschi sono messi molto peggio perché vivono un modello tossico di mascolinità che li ingabbia. E fanno ancora più fatica a entrare in contatto con le loro emozioni».