Nel giro di poco più di 5 anni, quasi la metà delle donne nel mondo sarà single e senza figli. A dirlo è il risultato di indagine della banca d’affari Morgan Stanley, secondo cui esattamente il 45% di donne tra i 25 e i 44 anni entro il 2030 non solo non sarà sposata, ma non sarà neppure madre. Si tratta di una previsione che porta con una serie di riflessioni, soprattutto perché secondo i ricercatori questa nuova condizione non sarà accompagnata da frustrazione o scontentezza. Al contrario, le future donne “libere” si sentiranno anche “felici” per la nuova condizione.

Donne single e senza figli (ma felici)

Che sempre meno donne sentano il bisogno del matrimonio per sentirsi realizzate non è una novità: il numero di coloro che sceglie di rimanere single o di non sposare il compagno è in crescita già da tempo. Ma il fatto che si arrivi a rifiutare le nozze e anche i figli rappresenta un salto di qualità nei cambiamenti sociali e, soprattutto, nella scala delle priorità femminili che sempre più vede la carriera al primo posto. «Il rifiuto del matrimonio è un fenomeno sempre più diffuso tra le giovani generazioni, sia di quello classico, sognato e ambito da nonne e mamme, sia di quello civile, meno oneroso e molto più pratico», conferma Anna Maria Coramusi, vicepresidente della Società italiana sociologi.

Perché ci si sposa meno

«Viviamo in una società che si è liberata rapidamente dall’incombenza di un tipo di religiosità pervasiva, che seguiva passo-passo la vita della coppia e dell’individuo: il matrimonio era visto soprattutto come sacramento; la nascita di uno o più figli portava con sé nel tempo un ulteriore passaggio di sacramenti come battesimo, prima comunione, cresima, tutti eventi vissuti come pietre miliari di una vita di coppia, da condividere con il maggior numero di parenti e di amici», prosegue Coramusi. A spiegare il fenomeno, però, sono anche altre cause e concause «senza dubbio di tipo economico e pratico».

Più donne single per l’emancipazione femminile

«Credo che vada sottolineato che l’unione di fatto oggi è riconosciuta e offre garanzie dal punto di vista della tutela dei diritti, in particolare riguardo all’elemento più fragile della coppia e ai figli nati dall’unione, al pari del matrimonio religioso. Questo, invece, si è rivelato più dispendioso e complesso, anche considerando il matrimonio civile, perché entrambi possono richiedere mesi di preparazione e salassi familiari, e in caso di separazione prevedono un iter non sempre semplice – spiega ancora Coramusi – Va da sé che questa rivoluzione copernicana deriva dall’emancipazione femminile, dal punto di vista dell’ingresso nel mondo del lavoro, che rende la donna percettore di reddito in grado di mantenere se stessa e condividere, con il partner, il mantenimento degli eventuali figli».

Come è cambiata la società

A questi cambiamenti se ne aggiungono altri di tipo sociale: «Certamente stiamo andando verso un progressivo invecchiamento della popolazione mondiale e, specie nelle società occidentali, gli innalzati livelli di istruzione e di emancipazione delle donne le portano a cercare di affermarsi anche nella sfera pubblica, nel lavoro, oltre che nel privato come è stato per secoli», osserva Flaminia Saccà, Ordinaria di Sociologia dei fenomeni politici e Sociologia della Violenza di genere all’Università La Sapienza di Roma. «Inoltre, ci sono i fattori economici che pesano sulle scelte. Se il lavoro è precario, in nero e sottopagato, come tende ad essere più frequentemente per i giovani e per le donne, è chiaro che immaginare di fare progetti per il futuro diventa difficile: si rinviano in avanti in attesa di tempi migliori, di potersi permettere una casa, dei figli, se li si vuole».

Donne single: si diventa giovani e adulte più tardi

«I dati – prosegue Saccà – ci dicono che negli ultimi decenni c’è stato uno spostamento in avanti dell’uscita dalla condizione di “giovane” verso la condizione di “adulto”, perché questa convenzionalmente prevede il raggiungimento di una serie di tappe, come la conclusione del percorso formativo, l’entrata nel mondo del lavoro (ad un livello che consenta di raggiungere l’autosufficienza economica), l’uscita dalla casa della famiglia di origine per crearsi una propria casa e una propria rete di affetti che oggi richiedono più anni di istruzione e un lavoro stabile e decentemente pagato che è sempre più difficile ottenere», prosegue Saccà, che si pone una serie di interrogativi che riguardano, in particolare, le donne.

Le leggi garantiscono la parità uomo-donna?

«Le leggi vigenti, nel mondo, garantiscono la parità tra marito e moglie? Sappiamo che in molti paesi non è così e persino il nostro ci è arrivato quando persone ancora viventi e attive andavano già a scuola e ne hanno conservato memoria», sottolinea Saccà. «La cultura è una cultura paritaria che garantisce pari diritti, non solo a parole ma nelle prassi quotidiane, a uomini e donne? Sappiamo che la cultura patriarcale ancora così diffusa anche nei paesi occidentali non garantisce questa parità. Per cui le donne, nel matrimonio, rischiano di sentirsi meno libere e realizzate di quanto potrebbero, vivendo da sole», insiste l’esperta.

La carriera al primo posto (finché si è giovani)

Un altro fattore che influisce sui cambiamenti sociali è legato al fatto che le donne oggi non sono più relegate ai soli compiti di cura, come la gestione della famiglia e della casa. Ma le difficoltà nel coniugare queste attività con quelle professionali e le ancora troppe disuguaglianze nel trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro (gender gap, progressioni di carriera, ecc.) hanno anche spinto le giovani donne a postporre alcuni traguardi o desideri, come quello della maternità.

Niente più figli?

«Il rifiuto della maternità o meglio, il procrastinare sempre più a lungo, tanto da raggiungere l’impossibilità della procreazione, è fenomeno evidente e, in effetti, destinato ad incrementarsi, in mancanza di interventi indispensabili da parte degli organi competenti – commenta Coramusi – D’altro canto anche le coppie che desiderano procreare scelgono per lo più il figlio unico, magari in età anche avanzata, spiegando loro stesse i motivi: prima di tutto economici, perché è troppo gravoso crescere un bambino in una società che offre innumerevoli possibilità di beni e consumi, che comportano rinunce personali (tempo libero nello sport, nella cultura, nei viaggi, ecc.); poi di gestione del tempo, per cui ci si affida ai nonni, se possibile».

I dubbi sulle previsioni

Eppure le previsioni di Morgan Stanley sollevano dubbi: «Che entro 6 anni la metà della popolazione femminile mondiale possa decidere di smettere di avere figli mi sembra francamente inverosimile. Certo dobbiamo tenere conto del fatto che, nonostante molto sia cambiato rispetto a un paio di generazioni fa, ancora oggi il lavoro in casa e di cura è ancora soprattutto responsabilità della donna. È un lavoro non valorizzato, faticoso, non riconosciuto – spiega Saccà – Se la donna, che è già in media più precaria e sottopagata degli uomini, rischia di vedersi licenziata o bloccata nella carriera per una gravidanza e lo Stato non riesce a tutelarla, si capisce bene come possa essere disincentivata ad avere figli».

Troppo lavoro (non pagato) per le donne

«A questo si aggiunga che quando lavora, se ha figli, quando torna a casa deve pensare anche ai lavori domestici e alla cura della prole: è chiaro che tenderà a procrastinare la scelta di avere figli o ad eliminarla dall’equazione», insiste Saccà, che è anche Presidente dell’Osservatorio STEP-Ricerca e informazione sulla rappresentazione della violenza maschile alle donne nel racconto della stampa. «Ad eccezione dei Paesi del nord Europa che non a caso ritroviamo stabilmente nella Top five della classifica mondiale della parità di genere, neanche nei paesi occidentali le società sembrano aver capito che, se non si investe in infrastrutture che favoriscono la natalità, come asili nido accessibili e diffusi sul territorio, sarà difficile invertire la tendenza».

Donne single: il modello di famiglia che cambia

La società, quindi, sta cambiando e occorre prenderne atto: «Sembra proprio di sì. Già durante la Conferenza ONU di Pechino, nel lontano 1995, si cominciò a distinguere tra il concetto di family e il concetto di household. La family era quella tradizionale composta da madre, padre, figli. La household invece estendeva il concetto anche alla convivenza tra persone che provavano affetto tra di loro che condividevano un pezzo di vita – spiega Saccà – Poteva trattarsi di una coppia omosessuale come anche di una nonna con il nipote che condividevano lo stesso tetto, e – perché no? – di amiche o amici per la pelle che avevano deciso di condividere un pezzo di vita. Quasi 30 anni dopo mi sembra che questo concetto si stia piano piano diffondendo. Certo, sempre che la società mantenga e presidi le conquiste raggiunte in termini di diritti».

L’impatto sociale ed economico delle donne single

Ma quali potrebbero essere gli effetti economici di questo nuovo modello familiare? Cosa potrebbe accadere alle madri single se, a una certa età, cambiassero idea sui figli? «Al momento mi sembra che gestazione per altri abbia subito una vera e propria battuta d’arresto. Non possiamo prevedere il futuro. Certo, si potrebbero liberare energie e possibilità di felicità rendendo più facile l’adozione, aumentando le infrastrutture per l’infanzia e garantendo maggiore parità», osserva Saccà, che però aggiunge una riflessione sulle conseguenze dei cambiamenti in atto: «Si potrebbe arrivare ad una società sempre più anziana e in difficoltà a pagare le pensioni. Al momento questo rischio sembra scongiurato dall’immigrazione».

La reazione degli uomini

Per ora gli uomini che hanno letto i risultati dell’indagine commentano su internet, in spazi come Reddit o Quora, che è ora che invece le donne tornino a stare di più a casa, a occuparsi del focolare e della famiglia. «Un ritorno al passato con la donna angelo del focolare è impensabile e non augurabile. Il mondo ha bisogno dell’impegno attivo di uomini e donne, in tutti gli aspetti della vita sociale, dalla politica, alla cultura, allo sport, all’ istruzione, all’industria, al commercio, nelle professioni attuali e future. Con riguardo agli uomini, ammiro piuttosto gli odierni papà, che offrono esempio di impegno e tenerezza paritetici, nella cura della prole. Questa è, a mio avviso, una conquista che ha aggiunto rilievo e rilievo positivo al concetto di paternità e affiatamento responsabile alla coppia genitoriale», sottolinea Coramusi.

Uomini ancora impreparati al cambiamento

«Certamente gli uomini stanno vivendo un cambiamento cui non sono preparati e stanno reagendo, a livello individuale come anche politico, cercando di riprendere il controllo, a volte anche con violenza. Lo vediamo anche a livello politico, persino nei paesi occidentali è in atto il tentativo di riporre il corpo e la vita delle donne sotto controllo», riflette Saccà. «La parità e la libertà rendono più felici le esistenze di tutte e di tutti. Rivolgendomi agli uomini, dico: se non credete alle donne, fatevelo dire da un uomo e leggete il bel libro di Gino Cecchettin che spiega con chiarezza l’infelicità (e le ristrettezze economiche) che prova una famiglia quando quello che un tempo si chiamava il pater familias pensa di dover tenere a casa e controllata una moglie che voleva solo lavorare», conclude Saccà.