Conservo un chiaro ricordo di mio padre, scomparso 10 anni fa. Eravamo nella sala di aspetto dell’ospedale mentre mia mamma stava dando alla luce mia sorella più piccola. Lui, 40enne, giacca e cravatta, era emozionato e mi teneva la mano; io, ragazzina, lo guardavo e mi sembrava bellissimo. Bello lo era davvero: capelli castano chiaro, occhi verdi, colto, sensibile e curioso. È stato il mio primo fan, nonostante le litigate furiose durante la mia adolescenza, nonostante io volessi dimostrarmi indipendente e facessi a volte l’opposto di quello che mi consigliava. Però se ho scelto una professione “creativa”, se amo i libri, la musica e il cinema, lo devo a quel papà che negli ultimi anni, dopo una vita passata in mezzo ai computer, dipingeva e scriveva poesie nel suo salotto pieno di volumi, dischi e piante.
Papà-figlia: un rapporto speciale
I padri ti segnano la strada con la loro presenza, e a volte con la loro assenza. Ilaria Bernardini in Il dolore non esiste (Mondadori) racconta del suo che non le parla da oltre 7 anni e con cui prova a riallacciare un discorso amoroso con le parole e i pugni, dato che entrambi tirano di boxe. «Da tanti anni mi chiedevo, a volte con dolore a volte solo con un sincero interesse, il perché del suo silenzio» mi dice. «Più ci pensavo, più pensavo anche al concetto di silenzio in generale, a quello di colpa, di figlia, di padre. Una piccola cosa che è successa a me mi è sembrata piano piano diventare un tema universale, che c’entrava in generale con la vita e in assoluto con l’amore». Quando le chiedo cosa le è rimasto di questa relazione, risponde: «Tutto quello che è accaduto, tutta l’eco di quello che siamo stati. E mi rimane anche tutto quello che non è accaduto ma ho abitato con le domande, esplorando un vuoto che ho immaginato essere pieno, un silenzio che ho immaginato essere dialogo, parola. Mi ha insegnato l’abbandono e il silenzio, a provare a celebrare anche quello che fa male, a eliminare i giudizi e il concetto di colpa. Ho interrogato mio padre come figlio, e me stessa, sua figlia, come madre».
I papà idealizzati
A chiunque di noi è successo da bambina di idealizzare il proprio papà. Quello che ti porta sulle spalle, che ti fa giocare, che ti protegge. La figura maschile di riferimento. Lo ha fatto anche Violette d’Urso, figlia dell’icona dello charme francese Inès de la Fressange e dell’uomo d’affari e mercante d’arte Luigi D’Urso, che ha appena esordito con I ricordi degli altri (Mondadori), memoir dedicato al padre morto quando lei aveva 6 anni. «Mentre io crescevo lui non c’era» racconta. «Mi restavano solo immagini e storie che mi venivano raccontate, e che lo rendevano l’eroe dei miei sogni». A un certo punto, però, ha sentito l’esigenza di “ridimensionarlo”: ha ripescato testimonianze e ricordi per renderlo, come dice lei, un essere umano coi propri difetti, preferenze, interessi. «Scrivere il suo personaggio era un modo per entrare davvero in contatto con lui». Perché «le bambine crescono e a poco a poco si rendono conto che il papà forse non è l’uomo perfetto che immaginavano». Un distacco naturale durante l’adolescenza, e necessario «per avere una vita propria» dice.
Un rapporto cambiato nel tempo
Ma come è cambiato in questi ultimi anni il rapporto padre-figlia? Per rispondere lo psicoterapeuta Alberto Pellai, autore di Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani (DeAgostini), parla innanzitutto di cogenitorialità, dal momento che «crescere un cucciolo d’uomo durante lo sviluppo di competenze cognitive ed emotive che arrivano a maturazione solo a 18-20 anni è molto impegnativo. Nella coppia genitoriale la funzione materna ha dentro un codice affettivo e protettivo: mentre ama, nutre e protegge; la funzione paterna, invece, ha dentro un codice affettivo ed esplorativo: facilita lo sgancio dalla relazione simbiotica, spinge il cucciolo fuori nel mondo, permettendogli di rinunciare alla comfort zone della protezione materna e aumentando il suo desiderio di autonomia». Si spiegano forse anche così i padri severi e autoritari che per generazioni sono stati la norma, prima che i mutamenti sociali e culturali degli ultimi 30-40 anni spingessero «gli uomini a iniziare a occuparsi dell’educazione emotiva dei figli» continua Pellai. Un’evoluzione importante soprattutto nel rapporto con le figlie femmine perché, mi spiega lo psicoterapeuta, è dal padre che una ragazza impara come il maschile si relaziona col femminile, «dal modo in cui lui parla e si comporta con la madre e con le altre donne della famiglia».
I nuovi papà
«Sicuramente qualcosa si è modificato rispetto al passato» conferma Matteo Bussola, scrittore, che di figlie ne ha 3 di età diverse. «Oggi c’è una nuova generazione di uomini più presenti, accudenti, anche grazie a un modello maschile che sta mutando. È molto più facile vedere un papà che cucina, fa la spesa, partecipa alle attività quotidiane delle figlie. E questo fa cambiare anche il punto di vista di noi uomini e il nostro rapporto con il femminile. Guardare come una figlia cresce, ascoltare come parla dei maschi, seguire i suoi primi contatti con l’altro sesso ti aiuta a capire meglio anche gli errori che puoi avere commesso tu in passato». La cosa è reciproca, conferma Violette d’Urso: «Un padre può amare davvero teneramente una figlia, mostrarle un’ampia gamma di emozioni. Così facendo, le dà sicurezza e conforto nel rapporto con gli uomini, cose che sono essenziali per la crescita personale».
Il papà è un modello per la vita
Quindi è vero che il modello paterno influenza ciò che poi una ragazza cerca in un compagno di vita? «Per quel poco che mi pare di vedere con la mia figlia più grande e che mi capita di ascoltare quando ho a che fare con gli adolescenti nelle scuole o con la mia trasmissione in radio (Non mi capisci su Radio 24, ndr), mi sembra di capire che nel classico rapporto eterosessuale il gioco dei ruoli non sia poi così cambiato» risponde Bussola. «Siamo ancora fermi al maschio tenebroso, introverso, dal carattere difficile, e alla femmina dolce e sensibile. C’è ancora una sovrapposizione tra il maschile e una certa idea di machismo». Occorre lavorare affinché il maschile possa cambiare, dice, e va benissimo. «Ma lavoriamo anche perché dall’altra parte ci sia una “erotizzazione della tenerezza”: un desiderio e un trasporto verso gli uomini gentili e presenti». Se Matteo Bussola parla da papà, Violette D’Urso porta il punto di vista di una figlia: «Ho trovato molte figure paterne nella mia vita, ma sento che la sicurezza e l’amore incondizionato che un padre ti può dare sono insostituibili». Un amore incondizionato come quello che Ilaria Bernardini ha per suo padre. E quando le chiedo di descrivermelo in poche parole, mi risponde: «Non ne ho poche per descriverlo, non ci riesco, infatti ci ho messo un libro intero».
Tre libri sul rapporto figlie-padri
- Il dolore non esiste di Ilaria Bernardini (Mondadori): Achille è un padre carismatico con cui l’autrice ha condiviso passioni e un pezzo di vita. Poi, il silenzio, senza un motivo apparente. In questo libro la scrittrice cerca di dare un senso a quella distanza.
2. La regina del silenzio di Marie Nimier (Edizioni Clichy): Il titolo arriva dall’enigma che il padre dell’autrice, scrittore e intellettuale francese, faceva sempre alla sua bambina. In questo memoir lei ricostruisce la sua immagine attraverso testimonianze di familiari e amici.
3. I ricordi degli altri di Violette d’Urso (Mondadori): Con il suo alter ego Anna, la 24enne esordiente scrittrice francese ripercorre la storia di suo padre, morto quado lei era bambina, e della sua famiglia attraverso i taccuini e un viaggio in Italia.