L’alba di un Capodanno, Chiara e Luca rientrano a casa. Hanno ballato tutta notte, sono alticci, lei si sente libera d’azzardare una domanda, di quelle che s’era ripromessa di non fare. Saltellando verso l’androne, gli chiede, a bruciapelo: «Mi ami anche tu come ti amo io?». La risposta arriva alle spalle, come una fucilata: «No». Quel giorno, Chiara e Luca si lasciano, chiudendo una storia durata molti mesi, di cui tre di convivenza. Un epilogo evitabile, forse, se l’assillante vocina, a lungo repressa, non fosse evaporata insieme all’alcol. Chissà. «Le nostre menti sono condomini pluriabitati» sostiene Paolo Genovese che, ispirandosi a quel consesso di sabotatori insediato nella torre di controllo della nostra psiche, ha contribuito a scrivere e diretto FolleMente, nelle sale dal 20 febbraio, una commedia corale sull’amore brillantemente congegnata come Perfetti sconosciuti, il suo grande successo del 2016.

La trama di FolleMente

FolleMente si consuma su tre piani: nella realtà di un primo appuntamento tra un uomo e una donna e in un altro paio di stanze idealmente dislocate nelle menti dei protagonisti, tra personaggi immaginari che incarnano i molteplici aspetti dei caratteri dei due malcapitati. «Come sceneggiatori, abbiamo pensato che una cena romantica fosse il momento ideale per raccontare come sono cambiati i rapporti, soprattutto tra uomo e donna, e come le trasformazioni rapide e burrascose che stiamo attraversando mandino spesso in tilt il nostro cervello» dice Genovese. «Abbiamo scelto di affrontare il tema con il linguaggio della commedia, rappresentando il primo appuntamento come una specie di escape room, disseminata di indizi che bisogna saper cogliere. Se sbagli, parte l’allarme e sei fuori».

La nostra “famiglia interna”

L’idea di una tribù accampata nel cervello messa in scena da FolleMente non è peregrina. «C’è uno psicologo, Richard Schwartz, che ha teorizzato un modello di lettura del nostro funzionamento interiore, definendolo Internal family system, sistema familiare interno» spiega Mattia Cis, psicologo e psicoterapeuta. «Molti terapeuti lavorano con le varie parti per restituire una rappresentazione comprensibile dei movimenti che avvengono in noi. Di fronte agli eventi della vita, in particolare a ciò che desideriamo e magari ci fa un po’ paura – un appuntamento, il lavoro – si attivano istanze interne complesse e ambivalenti. Non si può parlare di vere e proprie personalità, in quel caso entreremmo nel campo delle psicopatologie, dove le personalità multiple, dissociate, non si riconoscono tra loro, non si parlano. Al contrario, tutti noi sperimentiamo questa specie di famiglia interna che si deve un po’ mettere d’accordo rispetto alle cose».

Come si sviluppa? «Durante il corso dell’esistenza facciamo esperienze diverse che in qualche modo ci impediscono di vivere liberamente alcuni nostri aspetti» continua il dottor Cis. «Per tenerli a bada, in un certo senso ci dividiamo, ospitando in noi quelle parti separate. Il lavoro che dobbiamo fare coi pazienti è dare loro voce, perché tutte hanno diritto di parola, e riconoscere da dove vengano. Identificare una parte che definiamo adulta, la più saggia tra tutte, che, come fosse il genitore della famiglia interna, le ascolti in maniera accogliente e, avendo dalla sua informazioni più complete sulla vita, prenda una decisione in cooperazione, evitando il boicottaggio delle diverse subpersonalità».

FolleMente e i dilemmi di un invito a cena

Ad alimentare il caos nell’immaginaria sala di controllo contribuiscono le interferenze che agitano il presente, come la progressiva emancipazione dei generi da aspettative e stereotipi. «Oggi un invito a cena dà la stura a una sequela di dilemmi» scherza il regista di FolleMente Paolo Genovese. «Chi sceglie il ristorante? Il vino chi lo indica, chi lo versa? Chi paga il conto? Se lo fai tu, sei antiquato; se lo paga lei, uno scroccone. Eppure c’è, in questo disorientamento, almeno un aspetto positivo: il fatto che prendiamo consapevolezza di un cambiamento necessario e giusto, che proviamo a far sentire meglio l’altro. Nelle intenzioni, è una forma di altruismo. Poi magari sbagliamo, perché è come montare un mobile Ikea senza istruzioni e la nostra attenzione a volte si perde, insieme alla spontaneità».

I protagonisti di FolleMente con il regista Paolo Genovese
Il cast di FolleMente con il regista Paolo Genovese (ph. Maria Marin)

Quella fretta di definire una relazione

Il rovescio della medaglia è che spesso siamo così impegnati a capire cosa fare che ci concentriamo poco su chi abbiamo davanti, sostiene infatti Cis. «Quando incontriamo una persona, proiettiamo su di lei desideri e paure. A volte tendiamo a idealizzarla, perché abbiamo bisogno di credere che andrà bene, in altre prevale il pessimismo e al primo gesto che non ci piace tagliamo i ponti». Anche il tempo gioca un ruolo fondamentale, ammonisce lo psicologo:

«Abbiamo spesso fretta di definire una relazione, ma accelerare l’investimento sull’altro è tipico delle relazioni tossiche. Il rischio è d’innamorarsi prima di sapere se quella persona va bene per noi, e una volta che siamo agganciati è troppo tardi: cominciamo a farci andare bene cose che ci fanno invece male».

L’amore telepatico non esiste

L’altra ossessione che FolleMente stigmatizza con ironia è una certa retorica dell’amore telepatico: ci fissiamo sull’idea di dover provare simultaneamente le stesse emozioni, convinti che stare costantemente sulla stessa lunghezza d’onda sia la prova del nove di una relazione sana. «Se ci pensiamo, è impossibile» reagisce Cis. «Come facciamo a sondare la soggettività dell’altro? Ciò che conta non è l’intenzione, ma quello che avviene davvero dentro una relazione. Se ci basiamo su ciò che si nasconde nella testa dell’altro, restiamo più in contatto con le nostre insicurezze che con la realtà». Per la stessa fantasia telepatica, ci aspettiamo dall’altro gesti e attenzioni particolari, convinti che chiederli esplicitamente ne vanifichi il valore, e quando non arrivano restiamo delusi. «E invece dovremmo imparare a rendere espliciti i nostri bisogni» continua Cis. «Liberarci dall’ossessione del pensare in simultanea: non è quello il vero amore».

FolleMente sdrammatizza il pensiero di coppia

«L’idea di FolleMente era proprio quella di sdrammatizzare il pensiero di coppia» conferma Genovese.

«A volte immaginiamo che l’altro sia immerso in chissà quali elucubrazioni e magari si sta solo chiedendo se il preservativo va buttato nell’umido o nella plastica. Ma non è una sconfitta, va bene così: forse la mente rimane l’ultimo posto dove possiamo rifugiarci e fare un po’ come ci pare. L’ho realizzato dopo, ma anche Perfetti sconosciuti indagava sulla coppia attraverso un punto di vista a cui nessuno dovrebbe aver accesso, il nostro smartphone. Sono passati gli anni e l’ultima retrovia in cui ci sentiamo davvero liberi è rimasta il cervello».

Dovremmo sentirci altrettanto liberi di lasciarlo, quel rifugio – e la morsa della famiglia interna – quando siamo con la persona amata. Non a caso, nel momento in cui i due protagonisti della storia trovano un’intesa, le varie voci restano finalmente in silenzio. «Succede ogni volta che surfiamo sereni nella vita, anziché chiuderci nel nostro dialogo interno» chiosa il dottor Cis. «Quando siamo occupati a vivere, tacciono anche i desideri e le paure».