Nel mondo dell’iperconnessione, i ragazzi della Gen Z si sentono sempre più soli. Così soli che per molti di loro solo il mondo online può comprenderli e aiutarli a esprimere se stessi: quasi la metà dei ragazzi ritiene più facile raccontarsi lì, ma soprattutto rappresentare la versione migliore di sé. Per questo, quando la vita reale irrompe e richiama presenza, confronto, complessità, criticità, i ragazzi si sentono in difficoltà.
La Gen Z si esprime meglio online
A indagare il difficile equilibrio tra vita online e offline è un’indagine BVA Doxa su mille persone tra i 18 e i 64 anni commissionata da Lenovo in occasione del Safer Internet Day, la giornata dedicata alla sicurezza online, dove per sicurezza si intende anche la possibilità di sentirsi a proprio agio nel mondo virtuale. E lì molti ragazzi della Gen Z pare ci si sentano appieno, almeno in base a questo sondaggio. Tra gli intervistati della Gen Z, infatti, più di un terzo (38%) ritiene sia più facile esprimersi online piuttosto che offline, ma allo stesso tempo quasi un giovane su due (45%) tra i 18 e i 28 anni, dichiara di percepire almeno ogni tanto una disconnessione tra la vita online e quella offline, e che a causa di questa disconnessione prova solitudine, frustrazione e ansia. E questo accade perché la tecnologia, se da un lato aiuta i ragazzi a esprimersi, dall’altro rischia di rinchiuderli sempre più nella loro bolla, un mondo governato dagli algoritmi dove il consenso è artificiale e dove non esiste contraddittorio, quello che invece irrompe nella vita reale, fitta di complessità.
L’esperimento con gli avatar
Per dimostrare quanto invece la tecnologia possa anche aiutare i ragazzi nella vita concreta, quella offline, Lenovo lancia la nuova campagna Meet Your Digital Self, uno step del progetto più ampio Work For Humankind con cui la società tecnologica globale vuole raccontare l’impatto positivo della tecnologia in tutto il mondo nello sviluppo del bene comune. Grazie all’intelligenza artificiale, vediamo così due avatar interattivi in 3D, cioè la rappresentazione digitale di due giovani, che intrattengono conversazioni reali con le loro famiglie. Si tratta di Oscar, una persona non binary, amante della moda, per la quale il mondo online è l’ultima forma di libertà.
E poi c’è Chinatsu, una modella giapponese plus-size che ha nascosto la sua vita online alla famiglia.
Come la vita online può aiutare quella offline
Gli avatar sono stati realizzati raccogliendo i dati lasciati dai due giovani online, mescolando quindi tutte le informazioni che loro stessi hanno scelto di mettere a disposizione: l’obiettivo era quello di costruire una versione di sé che superasse le fragilità, le incertezze e le difficoltà che incontrano nella vita reale. E così l’avatar di Chinatsu racconta la bellezza di essere una modella curvy alla mamma, che scopre in quell’occasione il lavoro che la figlia svolge con grande soddisfazione online, mentre l’avatar di Oscar confida alla nonna le difficoltà di trovare e comunicare la propria identità sessuale.
Vita online e offline della Gen Z
Difficoltà tra le tante che i nostri ragazzi vivono a livello mondiale: una recente ricerca dell’American Psychological Association infatti rivela che il 17 per cento dei giovani adulti sperimenta una forma grave di solitudine. Per i ragazzi della Gen Z, i primi nativi digitali, i primi cresciuti e diventati grandi a pane e smartphone, la vita online è strettamente intrecciata a quella offline, più che per le altre generazioni, in un abbraccio che dà conforto e sicurezza, ma che fa anche sentire profondamente soli. Sempre l’indagine Doxa per Lenovo, racconta che il 75 per cento dei ragazzi vorrebbe poter avere conversazioni delicate e profonde con la famiglia e i propri cari nella vita reale. Possibile?
Gen Z: boom di richieste a Telefono Amico Italia
Possibile che i ragazzi ci cerchino, e noi non ce ne rendiamo conto? Per questo quindi trovano più conforto nella vita online? Lo chiediamo alla presidente di Telefono Amico Italia, Cristina Rigon: «Dopo la pandemia, vista la sofferenza dei ragazzi, abbiamo fatto un primo esperimento di ascolto e supporto via Skype, ma non ha funzionato. Quando nel 2024 abbiamo aperto il canale whatsapp e la mail, abbiamo registrato un boom di richieste da parte dei ragazzi: su 120mila contatti al telefono, 12mila sono stati via chat e, di questi, l’80 per cento è rappresentato dai giovani under 26. I ragazzi quindi, se non amano chiedere aiuto a voce, lo fanno con gli strumenti che sono loro più congeniali. Nelle chat, le emozioni sono attutite, come l’eventuale imbarazzo o la vergogna».
Online e offline: perché la Gen Z si sente sola
Lo stesso imbarazzo che possono provare con noi genitori, e che noi a nostra volta provavamo alla loro età. Oggi quindi la difficoltà a comunicare con la famiglia non è molto diversa da un tempo. «Le barriere sono le stesse – risponde la presidente Rigon – la differenza è che i giovani di 30-40 anni fa avevano altri adulti di riferimento: c’erano i nonni, gli zii, una rete fisica di persone che potevano ascoltarli. Oggi in effetti i ragazzi sono più soli, vedono e immaginano di avere un riferimento nei genitori ma i genitori a loro volta sono sottoposti a mille sollecitazioni, obbligati da una società estremamente complessa a essere più distratti, ingaggiati su troppi fronti. E questa distrazione la pagano loro, più fragili».
Anche noi genitori sempre online
Noi genitori quindi siamo sempre più disconnessi dai ragazzi, e i ragazzi a loro volta sempre più connessi all’online, e per questo in difficoltà nella vita offline. «Quello che i ragazzi introiettano è il mondo della connessione h24, dove gli adulti per primi non sanno rinunciare allo smartphone» prosegue la presidente di Telefono Amico Italia. «Occorre comprendere invece che ci sono confini e spazi in cui si può stare senza social, mail e wi fi: oggi in famiglia è difficile anche stare insieme semplicemente in silenzio, senza guardare o ascoltare qualcosa. Il silenzio crea frustrazione, e questa è pesante da sopportare, per noi adulti prima di tutto».
La Gen Z chiede ascolto
Se quindi lo smartphone divora molto del nostro tempo, si mangia anche quello dell’ascolto. «I ragazzi cercano soprattutto questo: l’ascolto, senza giudizio. Molto spesso chi ci contatta ha già un supporto psicologico. Chi non ce l’ha, ci cerca anche perché il servizio è gratuito. Se i nostri volontari però intercettano un disagio profondo, il loro compito è quello di stimolare consapevolezza nei ragazzi, spingendoli a parlarne in famiglia. Oppure, se come spesso accade, la famiglia non è disponibile a farli seguire da un professionista, li spingiamo a parlarne a scuola: anche lì ci sono gli psicologi».
Telefono Amico Italia è raggiungibile attraverso il numero 02 2327 2327 e risponde 365 giorni all’anno grazie a 500 volontari. Il servizio è gratuito e attivo in tutta Italia dalle 09.00 alle 24.00
È possibile accedere al servizio anche via chat, attraverso il numero WhatsApp 324 011 7252, e via mail, attraverso la compilazione di un form anonimo sul sito www.telefonoamico.it.