Tantissimi gli ospiti del secondo tavolo di lavoro nell’ambito del progetto Libere e Uguali, giunto alla seconda edizione. Quest’anno il nostro progetto, che vede la collaborazione scientifica dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione Libellula, MyEdu e Valore D, vuole raggiungere l’obiettivo di rendere concrete alcune delle 25 proposte contenute nel Libro bianco che abbiamo consegnato alla Presidente del Consiglio.

Libere e Uguali: ripartire dalle emozioni

Il secondo tavolo, che si è tenuto l’8 aprile nell’Università degli Studi di Milano, aveva come scopo trovare iniziative che possano aiutare ragazzi e ragazze, ma anche noi adulti, a vivere in modo più consapevole le emozioni, per provare a sradicare i semi della violenza potenzialmente presenti in ciascuno di noi. Le conclusioni a cui siamo arrivati puntano tutte alla necessità di un’educazione all’affettività rivolta a bambini e ragazzi ma anche agli adulti attraverso una comunità educante che ascolti i ragazzi, che riconosca cosa provano, chiedendoglielo e lasciando che le emozioni fluiscano.

Serve un modello alternativo di mascolinità

Una comunità inclusiva e non divisiva, con un modello alternativo di mascolinità, perché uomini disposti a fare i padri e a educare con dolcezza al rispetto esistono. Occorre però ripartire dal corpo e da quella fisicità che i device hanno annullato: le emozioni passano infatti attraverso la fisicità, e sapere cosa accade al nostro corpo ci aiuta a capire meglio cosa sta provando l’altro e come lo facciamo sentire, quando agiamo violenza e non lo rispettiamo. Sottotraccia, in ogni intervento, lo shock per i femminicidi di questi ultimi giorni, due giovanissime donne uccise da un fidanzato quasi ex, e da un pretendente respinto.

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La frustrazione del rifiuto nasce da emozioni non riconosciute

Tutti gli ospiti sono d’accordo sulla necessità di educare bambini, ragazzi e adulti alla consapevolezza di sé e delle proprie emozioni perché il requisito per sentire il dolore degli altri, è capire il proprio. La dottoressa Chiara Gregori, ginecologa e sessuologa, sottolinea come la cultura occidentale cataloghi le emozioni e trasmetta messaggi di riconoscimento positivo ai bambini solo se le emozioni sono positive. Le negative non trovano facilmente spazio. Lo psicoterapeuta Alberto Penna, autore del libro Maschi che piangono poco (Garzanti ed.), sottolinea l’importanza dell’educazione emotiva nelle relazioni primarie, cioè fin dai primissimi anni di vita. Se spingiamo i maschi a tenere lontane le emozioni, l’unica cosa che resta loro è la rabbia, che può diventare violenza, contro le donne ma anche contro di sé. L’incapacità di chiedere conforto e accettare la frustrazione del rifiuto, può spingere a certi gesti estremi che, riporta lo psicoterapeuta, si rivolgono anche contro se stessi: infatti il tasso di suicidi è più alto nei maschi in tutte le culture, proprio come altra grave conseguenza del nostro sistema educativo e di una vera e propria “potatura delle emozioni”.

Libere e Uguali: tra le emozioni represse, la rabbia

Come tiene lontana la frustrazione, la nostra cultura respinge anche l’idea della rabbia e che possiamo essere arrabbiate, soprattuto noi donne, come sottolinea la scrittrice Camilla Ronzullo, autrice del libro Io sono Rabbia, per imparare ad amare la più odiata delle emozioni (Salani ed.). Il fatto è che più conosciamo cosa ci abita dentro, più siamo disposti ad accettare gli altri: importante sarebbe a tutti i livelli, riconoscere le nostre emozioni e poterle comunicare, sottolineano Marzia Scuderi, responsabile sviluppo e gestione dei progetti di cura di Fondazione Libellula, e Ariel Mafai, press officer advisor di Valore D, che rileva come il mancato riconoscimento delle emozioni abbia ripercussioni anche nei team di lavoro.

Chi dovrebbe educare alle emozioni?

Ma quindi, nel caso dei ragazzi, chi può prendersi cura delle loro emozioni? La scuola ha un ruolo centrale, come sottolineano la professoressa Silvia Romani, professoressa ordinaria di Storia delle Religioni dell’Università degli Studi di Milano, e Carolina de’ Castiglioni, attrice e regista, che propone incontri tra docenti e ragazzi in cui i professori, invece che spiegare, chiedano agli studenti cosa vogliano loro dagli adulti. Anche se poi la scuola, per cambiare, dovrebbe partire dai dirigenti, come sostiene Alice Donati, docente di matematica e fisica in una scuola superiore di Milano. Per evitare che i progetti di educazione alle emozioni e al benessere restino iniziative isolate dei singoli professori, occorre che i primi crederci siano i dirigenti. I primi a dover capire che la scuola è una comunità, prima che un luogo del sapere.

Libere e Uguali: ripartiamo dal corpo per connetterci alle emozioni

Anche perché è a scuola che si mettono in scena le ansie e le paure dei ragazzi. Francesca Zorzi, psicologa e coach degli studenti e studentesse di H farm, racconta come ai colloqui i ragazzi abbiano paura di sbagliare, temano il fallimento e, soprattuto i maschi, abbiano paura di mostrarsi deboli. Una fragilità estrema, come rileva Alessandra Gorini, professore associato in Psicologia generale all’Università degli Studi di Milano, che osserva un carico d’ansia nei ragazzi mai visto prima, con tanto di certificati per non affrontare gli esami orali. Il corpo, insomma, fa paura.

Occorre formazione per gli insegnanti

A scuola – sottolinea Marzia Scuderi – dovrebbero essere obbligatori dei momenti di condivisione di strategie ma anche di emozioni, come avviene nei team delle professioni sociali, senza dimenticare la formazione degli insegnanti a gestire le dinamiche del gruppo. Dinamiche che poi si ricreano nelle aziende, come dice Ariel Mafai. Anche in ufficio possono regnare i bulli, così come irrompono le conseguenze della violenza domestica, per esempio.

Ai ragazzi manca il senso della comunità

Ma chi deve prendersi cura prima di tutto delle emozioni dei bambini e dei ragazzi è la famiglia. Già, ma con quale linguaggio? La nostra direttrice Maria Elena Viola sottolinea come il linguaggio di noi adulti sia molto diverso, ma come le parole, al contempo, possano comunque liberare delle energie. Come sottolinea però la studentessa Michela Risi, ai ragazzi manca il senso della comunità. E non ha significato parlare di generazioni diverse: la scrittrice Giulia Muscatelli, autrice del libro Io di amore non so scrivere, racconta come, alla fine, molte volte in fatto d’amore i problemi d’amore dei 45enni siano gli stessi dei 16 enni.

Da dove nasce il malessere dei ragazzi

Solo che i 16enni non li raccontano. Come sottolinea Francesca Cavallo, autrice dei best seller Storie della buonanotte per bambine ribelli (Mondadori ed.) e Storie spaziali per maschi del futuro (Undercats ed.), i ragazzi restano nella comfort zone della loro bolla digitale perché le piattaforme proteggono da quel senso di disagio e scomodità che si prova nell’adolescenza. E più si resta nelle piattaforme, più si è portati a restarci, proprio per la logicità con cui sono strutturate. Il malessere dei nostri ragazzi viene anche dal fatto che sono portati a pensare di poter evitare tutta la vita i momenti di disagio e sofferenza, proprio come li illude la realtà virtuale, così gratificante.

I maschi sono più vulnerabili e bisognosi di coccole

Eppure, la sofferenza esiste, e i maschi sono anche più vulnerabili, come aggiunge il dottor Penna: solo che la loro fragilità viene negata. Per Francesca Cavallo, alla radice della violenza sulle donne c’è anche il gigantesco equivoco per cui ai maschi viene negata ogni complicità e conforto fisico, come baci e abbracci: in pre pubertà, arriva loro i messaggio che questi comportamenti sono leciti solo con la fidanzata e che il sesso diventa il tramite per comunicare. Così, quando la fidanzata di turno dice No, facile sentirsi rifiutati: perché a essere rifiutata è la propria parte di umanità, l’unica rimasta.

Libere e Uguali: educare alle emozioni prima di tutto gli adulti

Ed ecco allora l’urgenza di un’educazione all’affettività, come ribadisce anche Flavia Restivo, politologa, autrice del libro Gli svedesi lo fanno meglio (Rizzoli ed.) che racconta come in Svezia dal 2015 sia presente il pronome di genere neutro , con cui tutti possano esprimersi più liberamente fin dalla scuola materna ed elementare. È alle medie, però, che si gioca tutto come spiega Stefano Rossi, psicopedagogista, direttore scientifico di MyEdu Coaching e autore del libro Sentimenti maleducati (Feltrinelli ed.): a quell’età già i ragazzi individuano nella gelosia una forma d’amore. Solo che la gelosia ha due facce: c’è la custode, che bussa e ti richiama se ti allontani, e la killer, un buco nero che provoca solo sofferenza. Entrambe vanno riconosciute e affrontate. Ma gli adulti non hanno gli strumenti.

I padri ancora meno, come dice Stefano Rossi. Per questo, è urgente fornire ai ragazzi dei modelli di paternità alternativa, emotivamente intelligente. I padri infatti oggi non possiedono la grammatica delle emozioni: sempre più urgente, oggi, è la resurrezione del padre, un uomo che sappia piangere e per cui la gentilezza sia la sua forza. E gli psicologi, da parte loro, devono cominciare a dire ai genitori non cosa fare, ma insegnare loro a saper essere.

Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano, Fondazione Libellula, MyEdu e Valore D

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