La storia di love bombing di Virginia
Virginia è nata e cresciuta a Milano, è ipovedente ma viaggia, studia ed è tremendamente curiosa. Qualche volta si abbatte, ma altrettante si rialza, vuole vivere come qualsiasi sua coetanea, continuare a girare il mondo, fare esperienze. Ha pochi amici, ma buoni. Per Virginia tutto è ancora esplorazione, sta imparando e si concede tempo. Quel tempo, quello che sembra finalmente consegnarle il primo grande amore corrisposto, arriva un’estate. Attraverso uno schermo.
Come ha conosciuto Matteo
È online, infatti, che conosce un ragazzo, Matteo. No, non è la storia che state immaginando. Matteo esiste veramente. Solo che abita lontano da Virginia, precisamente in un piccolo paese vicino a Mantova. Non è la prima conoscenza virtuale della ragazza, ma questa volta qualcosa è diverso: Matteo è simpatico, istruito, interessante e, soprattutto, sinceramente intenzionato ad approfondire questa conoscenza. I due si scambiano diverse mail e passano presto alle telefonate. La sintonia è talmente forte che in meno di un mese decidono di incontrarsi. Ovviamente Matteo, conoscendo le difficoltà che dovrebbe affrontare Virginia per raggiungerlo, decide di partire per Milano. Quando i due si incontrano, il ragazzo va subito al sodo: ha già avuto diverse relazioni, alcune anche lunghe, e non ha più voglia di storie senza futuro. Virginia si rende conto che Matteo caratterialmente è il suo opposto; ma in fondo, si dice, in qualche modo la compensa. Sono diversi, ma non per questo incompatibili. La relazione prosegue e Virginia inizia quindi a frequentare casa di Matteo. Sì, perché dopo quel primo incontro milanese, sarà lei a doversi spostare. D’altra parte lei non lavora, se non per gli articoli che scrive ogni tanto per una rivista online, mentre lui è impiegato in un’azienda.
Un inizio da favola
Non passano che pochi mesi e l’uomo chiede a Virginia di sposarlo. All’epoca lui ha trentaquattro anni e lei ventisette, l’idea di formare una famiglia è un sogno in cui non osava sperare. Matteo sembra la persona giusta, addirittura pare non preoccuparsi per le conseguenze che la disabilità di Virginia comportano. Ne parlano, ma a Matteo non importa. Vuole sposarla. In chiesa. Virginia è atea, ma accetta il rituale cattolico. La fretta che lui le mette però la fa sentire a disagio. La ragazza chiede un po’ di tempo per organizzare tutto, partecipare al corso prematrimoniale e decidere definitivamente dove andare a vivere. Milano o la provincia di Mantova? Nonostante sia un dolore, Virginia sa che è lei a doversi spostare. «E mi ritrovo catapultata nel bel mezzo del nulla e senza nessuna rete di supporto, perché la famiglia di lui è cordiale, ma poco ricettiva ai miei bisogni». Virginia non sa nulla del paese in cui si è trasferita, non è abbastanza piccolo da sentirsi a suo agio e non è abbastanza grande da garantirle la sicurezza di tutti i servizi di cui ha bisogno. Inoltre, non può muoversi da sola come a Milano.
Il cambiamento repentino tipico del love bombing
La ragazza si ritrova all’improvviso completamente dipendente dal fidanzato. I genitori scoprono con preoccupazione alcuni cambiamenti: Matteo ha cominciato a fare sgradevoli battute sull’handicap di Virginia. Lei non ci dà peso: non è «nulla di drammatico», in fondo ci è abituata. E poi Matteo la ama. La famiglia e gli amici, però, intuiscono che qualcosa non va e cercano di dissuaderla: non deve andare all’altare per forza. Lei rassicura tutti, e si sposa. La festa è bellissima, con tanti amici, musica e un banchetto da favola.
Il matrimonio
Virginia è felice e lo è anche Matteo, che però non si accontenta. E presto avanza richieste. Accade per gli arredi della nuova casa: lui chiede, chiede, chiede. Ma non paga quasi nulla. La famiglia di Virginia lo osserva sempre con maggior sospetto, ma non condivide più i dubbi con la figlia. Lei è felice. «Però non è mai contento: o si fa come dice lui, o sono litigate infinite. E quando litiga, diventa cattivo, accusatorio, offensivo. Dice che sono io quella che non sa vivere». I genitori di Virginia sono molto preoccupati, sentono che quell’uomo sta cercando di isolarla. Così decidono di trasferirsi proprio nel paesino vicino a Mantova, per stare più vicini alla ragazza. Questa cosa fa imbestialire Matteo e le critiche aumentano. Virginia è spesso sola e per non discutere si concentra ancora di più sul lavoro, isolandosi. È affranta. Demoralizzata. Umiliata. Prova a farlo ragionare, ma appena si lamenta o apre bocca viene prontamente redarguita: “Siete arrivati da Milano a dettar legge?!”. «È crudele, sa esattamente dove pungere, perché io, a Milano, ci tornerei subito; ho lasciato ogni cosa per lui. Non me ne pento, ma l’ho fatto e lui lo sa».
Le umiliazioni continuano
Virginia non è in grado di fare nulla, questo continua a ripeterle il marito. È capace solo di cucinare, ovviamente non bene quanto lui. È migliore di lei in tutto, anche nelle attività più stupide, come in una partita a un gioco in scatola o a carte. A Virginia non è concesso di vincere neanche lì. Sa che non ama più quell’uomo, ma resta. Qualcosa di buono c’è, c’era. Si può ritrovare. «Resto, perché non sono una persona che scappa. Resto, perché in quegli occhi scuri, quando lo guardo di profilo, io vedo ancora qualcosa di buono». In cuor suo Virginia vorrebbe poter abbracciare la sua migliore amica, sfogarsi e raccontare tutto, ma abita troppo lontano e lei non è autonoma. Chiede a Matteo più volte di accompagnarla, ma non è mai il momento.
Arrivano anche le botte
Una sera, inaspettatamente, lui la picchia. «Mi tira un paio di cazzotti furenti e io ho davvero paura». Virginia urla, grida così forte che lui per un attimo si allontana. L’istinto le dice di fuggire, ma non lo fa. E se lui avesse ragione? E se davvero fosse stata lei a esasperarlo? Forse è colpa sua. In fondo, lui la ama. Virginia tace. Per anni. Ma una sera di inizio settembre percepisce di nuovo quella rabbia aggressiva e questa volta scappa. Lo fa senza nulla, in pantaloncini e infradito. Sono passati dieci anni dal loro primo incontro. «Nella manciata di minuti in cui sotto casa ho aspettato la macchina dei miei ho pensato: “Se scende e mi chiede scusa, ci riproviamo”». Virginia, single e divorziata, va a vivere da sola, nonostante per anni si fosse convinta di dover dipendere dagli altri a causa della sua disabilità. Oggi si sente libera.
Questa storia è tratta dal libro Love Bombing Il codice segreto della manipolazione di Roberta Lippi (Rizzoli).
Il love bombing non c’è solo nelle relazioni
Se pensi che il manipolatore si possa nascondere solo dietro un compagno narcisista, sbagli. Nei paragrafi precedenti abbiamo raccontato una storia d’amore, ma il “love bombing” può essere messo in atto da chiunque, che sia il fondatore di una setta religiosa, un superiore carismatico, un istruttore di yoga, un allenatore o anche un presunto amico: tutti, nonostante appartengano a mondi lontani e diversi, mettono in atto gli stessi meccanismi ammaliatori. Una consapevolezza, questa, che prende forma leggendo le storie raccontate da Roberta Lippi, autrice e podcaster, nel suo libro appena uscito Love Bombing. Il codice segreto della manipolazione (Rizzoli) e che si accompagna a un’altra importante certezza. Tutti, uomini e donne, possiamo essere manipolati e rimanere incastrati in questo diabolico meccanismo: pensare che le vittime siano solo le persone più deboli o più fragili è un pregiudizio che rischia di portarci fuori strada.
Come riconoscere il love bombing
Ma per capire meglio come funziona questo tipo di manipolazione, partiamo dall’inizio, dal significato del termine “love bombing”. Utilizzato per la prima volta nel 1995 dalla psicologa americana Margaret Singer nel suo testo Cults in our midst, significa letteralmente bombardamento d’amore. «Indica la tecnica utilizzata da tutti i manipolatori mentali per irretire le loro vittime, investendole di un’ondata inaspettata di affetto e di attenzioni capace di creare una sorta di dipendenza» spiega Roberta Lippi. «Questo è il love bombing: avere la percezione di trovarci davanti a una persona o a un gruppo che più di chiunque altro sembra capirci. In quella sintonia, in quell’accogliente sensazione di essere compresi, sostenuti, accolti, visti e amati per quello che si è, risiede la più efficace tecnica di manipolazione della mente umana. Il “bombardamento d’amore” è così inatteso e piacevole che diventa frastornante. Se ne vuole ancora. Il problema è che pensiamo sia innocuo, in realtà non lo è».
Perché tutti noi siamo potenziali vittime
Cosa induce a “cascarci”? «Tutti abbiamo bisogno di amore, tutti abbiamo quel buchino da riempire, che sia autostima, gratificazione, bisogno di conferme» aggiunge l’autrice, che ha vissuto una storia lavorativa che in qualche modo le ricorda il love bombing. C’è anche una questione chimica che non va sottovalutata. «Come succede con la droga o il gioco d’azzardo, il “bombardamento” di complimenti e attenzioni funziona come un’inaspettata iniezione di autostima, ci fa stare bene e ci fa produrre endorfine, neurotrasmettitori che ci aiutano a ridurre lo stress e generare una sensazione di euforia e benessere» spiega l’autrice. «In questo modo ci concentriamo solo sul fatto che stiamo bene e non ci chiediamo perché il nostro “carnefice” si comporta così e che cosa vuole veramente da noi».
I campanelli d’allarme del love bombing
È un inizio da favola quello che regala il love bombing e fa leva su una promessa: l’idea di un futuro da sogno. È quell’emozione iniziale ciò che insegue la “vittima”, certa che prima o poi le cose andranno proprio così. Si crea una sorta di dipendenza emotiva da quel sentimento, ma quella promessa diventa una chimera perché in realtà il cambiamento è già avvenuto e non si può più tornare indietro. Se il primo campanello d’allarme è che quel bombardamento di attenzioni è decisamente troppo, che frasi del tipo «Ti voglio bene come a mia figlia», «Mi leggi nel pensiero», «Non ho mai conosciuto una persona come te» dette dopo il primo incontro non sono fighe, ma too much, il secondo è che presto arriva il momento in cui il love bomber distrugge il picco di autostima creata. Come? Con l’umiliazione, la denigrazione, l’alternanza estenuante di odio e amore. «Questo repentino cambiamento è uno degli atti di potere del manipolatore, perché la vittima cercherà di nuovo e continuamente la sua approvazione, quella iniziale, per sentirsi ancora bene» conferma Lippi.
Occhio all’isolamento
Ma c’è anche un terzo segnale da tenere ben presente. «Il manipolatore cerca di isolarti poco a poco e senza che tu te ne accorga, perché ha paura di chi è all’esterno che di solito vede cosa ti sta succedendo. La strategia che spesso mette in atto per farlo? Ti riempie così tanto la vita che non hai più tempo per le altre relazioni, che siano con le amiche, con i colleghi o con la tua famiglia» specifica l’autrice. Ma è proprio dall’isolamento che dovresti partire per spezzare il circolo vizioso della manipolazione. «Inizia ad allontanarti, staccati dalla persona o dal gruppo, non rispondere più al telefono, prenditi un weekend di pausa e vai al mare con un’amica. Non aver paura di risultare stupida quando racconti quello che stai vivendo, i segnali che hai percepito, le cose che fin dall’inizio non ti tornavano. Non minimizzare, riprenditi i tuoi spazi, saranno gli altri ad aiutarti a uscirne, passo dopo passo» dice Lippi.
E soprattutto renditi conto che sei stata vittima, una parola su cui oggi pesa ancora un grande giudizio che spesso ci blocca nel raccontare quello che stiamo passando. «Non dobbiamo dire: “Oddio, sono una vittima. Chissà cosa penseranno gli altri di me”. Ma: “Ok, sono una vittima. Adesso però faccio di tutto per liberarmi”» conclude l’autrice. Perché la parola vittima non ci deve far vergognare, non ci denigra né ci svilisce. Piuttosto ci deve dare coraggio per reagire.