Emma fa il verso a Livia, la vocetta cantilenante che prende in giro il suo accento. Le tira calci sotto il tavolo, fingendo sia sbadataggine. Si rifiuta di camminare al suo fianco, scoppia in lacrime ogni volta che non le viene concesso all’istante ciò che vuole. Emma è una bambina di 5 anni, viziata come tante, mentre Livia, la nuova compagna del papà Arno, è la protagonista del potente romanzo di Chiara Marchelli La figlia di lui (Feltrinelli). Una 40enne indipendente che ha scelto di non diventare madre per ritrovarsi poi alla prese con una bimba ostile. «Questa storia è frutto della mia immaginazione» racconta l’autrice «ma è germogliata da un’esperienza personale e ispirata ai racconti delle tante amiche che hanno alle spalle un vissuto simile». Un mare di donne coinvolte in una “famiglia ricostituita”, come ce ne sono sempre di più, che può rivelarsi una miscela esplosiva di gelosie, insicurezze e sensi di colpa.
Quando non vuoi essere madre, ma ti ritrovi nel ruolo
«Sento Emma pervadere ovunque, anche quando non c’è. E quando arriva tutto si ferma, si altera, si spreca» dice Livia. Ogni incontro con Emma ha il peso specifico dell’osmio. «Emma fa di tutto per provocare Livia, perché la rifiuta, la vuole fuori dal suo universo» spiega Marchelli. «E Livia la vive in modo simile: avverte un’irritazione “territoriale” mai provata prima. Intrappolata in un ruolo che aveva deciso di non sperimentare, arriva a sentirsi mostruosa per l’incapacità di stabilire un rapporto con la bambina, ma non può rivoluzionare la sua natura. Impara a volerle bene, però non basta. Sono due intruse, l’una nella vita dell’altra». Nonostante i continui tentativi di rattoppare l’intesa, le vacanze e i weekend insieme, si scivola in un impasse. «Siamo stanchi di tornare sempre sulle stesse cose. Emma insopportabile, io intollerante, Arno inerme» dice Livia nel libro, che segue i tre per oltre 15 anni. Tra momenti di buio, schiarite e nuovi inciampi.
Perché gestire i figli del partner può mettere in crisi la coppia
«È comprensibile che una donna che ha deciso di non diventare madre si senta invasa dalla figlia del compagno, specie se il proposito è saldo, ben motivato, come nel caso della protagonista del libro, che dichiara che i bambini non le interessano» sostiene Ilaria Consolo, psicoterapeuta. «La presenza di un figlio rischia di essere davvero difficile da gestire, sia a livello personale sia a livello di coppia: per amore del nuovo partner, lei può provare a mettersi in discussione, ma non è detto che sia possibile rivedere la decisione di non accogliere bambini nella propria vita. Uscire da abitudini ben radicate, come quelle di una donna che ha scelto l’indipendenza, non è affatto facile. A volte, la buona volontà non basta». E infatti la relazione rischia di entrare pericolosamente in crisi. Anche perché, come racconta Chiara Marchelli, «i bambini agiscono come rilevatori delle impronte digitali: tirano fuori il meglio ma anche il peggio di noi. Nel libro, per causa di Emma, Arno e Livia scoprono punti deboli l’uno dell’altra che non sospettavano prima: lui si accorge di quanto lei possa essere intollerante e talvolta anche infantile, mentre Livia scorge il lato più arrendevole e insicuro del compagno».
Non vice-mamma, non amica, non poliziotto: chi può essere?
Quando la nuova compagna del papà ha già figli, o ne vuole, la situazione tende a essere un po’ meno ingarbugliata. «Ovviamente l’esperienza coi bambini aiuta: chi è abituata e predisposta a occuparsene riuscirà a evitare di percepire la figlia del partner come una rivale affettiva» sostiene Consolo. «Un sentimento simile alla gelosia, specie agli inizi, capita, ma attente a non trasformarlo in competizione. Figlia e compagna hanno ruoli diversi, sono amori diversi». La soluzione, quindi, è sopportare l’ostilità della bambina? «Non proprio, ma bisogna lasciare che sia il padre a intervenire» suggerisce Consolo. «Spetta a lui rassicurare la figlia che il proprio affetto nei suoi confronti è immutato e, al tempo stesso, fare chiarezza sui limiti che lei non può permettersi di superare. Alla donna tocca invece ricordare che la bambina si sente confusa, insicura. Con i capricci esprime un disagio che non è in grado di mettere a fuoco».
L’ombra della madre, il nodo da sciogliere
La mamma della figlia di lui è il quarto personaggio chiave di queste vicende. «Anche se i genitori si sono lasciati da anni, è facile che la bambina abbia continuato a sperare in una riconciliazione» osserva la psicoterapeuta. «Un miraggio che la fidanzata del papà manda in fumo. Mai mettere la madre in discussione davanti alla figlia, nemmeno nel caso in cui la presenza della donna fosse ingombrante o astiosa». Altrettanto importante una gestione attenta dei momenti di condivisione. «Il padre dovrebbe passare del tempo da solo con la bambina, per convincerla che nessuno sta minacciando il posto che lei occupa nel suo cuore. Allo stesso modo, la coppia non deve rinunciare alla privacy: ogni tanto, un fine settimana e una serata a due sono necessari per rinsaldare quel legame che le delicate dinamiche familiari stanno mettendo alla prova».
Come costruire un legame autentico (senza forzature)
Presenti ma non invadenti, tolleranti ma non remissive. Per trovare il proprio posto in questi rapporti tellurici serve l’abilità del funambolo. «Le relazioni non evolvono per forza in una complicità, è anche una questione di carattere. Non bisogna viverla come un fallimento (vedi più in basso la storia di Carolina e Giulietta, ndr)» osserva Consolo. «La nuova compagna del papà non deve aspirare a diventare una vice mamma né un’amica a tutti i costi. Tanto meno un poliziotto cattivo, ruolo scomodo a cui ci si potrebbe sentire costrette nel caso in cui lui, schiacciato dai sensi di colpa, rinunciasse all’autorevolezza per darle tutte vinte alla bambina. L’ideale sarebbe diventare una figura di riferimento stabile e accogliente (come è capitato a Federica con Sofia, ndr). Per riuscirci, servono una certa sicurezza in se stesse e un pizzico di spirito di sacrificio, insieme a piccole e grandi esperienze da condividere nel tempo». E allora, stringere un legame con Emma la burlona, Giulietta dallo sguardo vorace e Sofia l’artista potrebbe essere non soltanto possibile. Potrebbe essere bello.
Ora ci rispettiamo, da donna a donna: la testimonianza di Carolina, 44 anni, giornalista
Del primo incontro con la figlia di Claudio, Giulietta, ricordo la mia agitazione e i suoi stivaletti tipo camperos. Li ho guardati e ho pensato a quella canzone che fa these boots are made for walkin’. «Ne farà di strada questa 17enne dallo sguardo vorace» ho pensato con un’allegria che, col senno del poi, mi fa sentire ancora scema. Io forse avevo parlato un po’ troppo, lei troppo poco, e il mio bambino, Martino, era stato più capriccioso del solito, ma mi pareva che fosse andata piuttosto bene. Invece non ho rivisto Giulietta per mesi. Ogni volta tirava fuori una scusa e poi diceva a Claudio che aveva bisogno di passare più tempo da sola con lui, che non se l’è sentita di forzare la mano. Io ho aspettato, con un pizzico di ansia… motivata: i tre anni successivi sono stati un macigno. Che si trattasse di una cena o di una settimana di vacanza, Giulietta mi rivolgeva la parola solo se strettamente necessario.
Non diceva niente di apertamente ostile, non faceva quasi mai nulla che valesse un rimprovero, uso eccessivo del telefonino a parte, però era sempre annoiata, distante, infastidita
Finito il liceo, è andata a fare l’università a Rotterdam. Ha maturato in quella città, progressivamente, un nuovo look, mille amici e una disponibilità nei miei confronti insperata. Nessun rapporto idilliaco, zero confidenze, io non sono diventata la sua bussola e lei non è la figlia che non ho partorito. In comune abbiamo “solo” suo padre, però siamo sempre gentili l’una con l’altra e ci rispettiamo. Da donna a donna.
Sono la sua compagna di giochi “grande”: la storia di Federica, 36 anni, architetta
Io e Sofia abbiamo i capelli dello stesso colore. Un biondo chiarissimo, con sfumature di oro bianco. Variazioni sul tema “lei e sua figlia siete due gocce d’acqua” ci piovono addosso con la frequenza dei temporali in primavera. Io arrossisco, lei aggiunge «Non è la mia mamma», svelta ma in fondo serena. Quando l’ho conosciuta aveva 4 anni. Io e suo padre Ettore ci frequentavamo da poco: un amore travolgente. Io ho lasciato mio marito, lui la mamma di Sofia. Erano separati in casa da anni, ma lei è stata comunque molto male. Temevo che la sofferenza della madre – per colpa nostra, colpa mia – avrebbe reso più faticoso il mio rapporto con la bambina, invece mi sbagliavo. Suona crudele, lo so, ma il fatto che Natalie fosse in crisi portava Sofia a vivere il tempo lieve trascorso assieme a me ed Ettore con sollievo, come una specie di regalo. A 3 anni dal primo incontro, quella bambina resta adorabile. Allegra, dolce. A me, che desidero molto dei figli, è venuto naturale accoglierla.
La creatività è il mastice della nostra intesa. Quando ci vediamo, disegniamo, cuciniamo, impastiamo, cuciamo… Io sono la sua complice, la compagna di giochi “grande”
A dettare regole e, quando necessario, ad alzare la voce, ci pensa il papà, che è un uomo fermo, risolto. Ci sono momenti di tensione, ovvio. Quando lei tiene il muso e io sogno di andare in vacanza con Ettore, da soli. Cosa succederà, poi, quando avremo un figlio nostro? Sofia si sentirà rimpiazzata? Cerco di non pensarci. La affronteremo tutti e tre insieme, come un grosso puzzle: un pezzetto alla volta.
