Diritti: l’Italia è al 79esimo posto
Anche Zadie Smith, nel suo piccolo, si incazza. Colpa dei «boicottaggi quotidiani » di cui racconta anche nell’ultimo romanzo L’impostore (Mondadori): ovvero, tutte quelle discriminazioni che subiamo noi donne. La scrittrice parla della sua Inghilterra, ma ciò che dice vale per tutto il mondo, Italia compresa. Nel nostro Paese, sulla carta, abbiamo tutti i diritti fondamentali, molti dei quali conquistati con fatica. Eppure, secondo l’ultimo Global Gender Gap Index, il rapporto del World Economic Forum che definisce i livelli di parità nell’ambito dell’istruzione, della politica, dell’economia, siamo scivolati nel 2023 dalla 63esima alla 79esima posizione.
I diritti che ancora ci mancano
Che cosa vuol dire questo dato? Che, quanto a leggi che ci tutelino, sembra non mancarci niente, ma in realtà dobbiamo ancora conquistarci tutte quelle piccole, grandi libertà che fanno la differenza e di cui dovremmo godere senza se e senza ma. La libertà di tornare a casa la sera senza avere paura, la libertà di vestirci e comportarci come ci pare, la libertà di tirarci indietro o di lasciare chi non amiamo più, la libertà di avere o non avere figli, di essere valutate in base al merito, di non dover scegliere tra famiglia e carriera, di non essere sempre costrette ad abbozzare di fronte a frasi o comportamenti sessisti. Sembrano piccole cose, a volte, ma creano terreno fertile per una cultura che svaluta le donne, legittimando atteggiamenti poco rispettosi che spesso, troppo spesso, sfociano in violenza. Non bastano le leggi per disinnescare la miccia che è alla base di tanti brutti fatti di cronaca e di quotidiane ingiustizie e vessazioni ai danni delle donne: bisogna scardinare le cause a monte.
Il nostro progetto per i diritti delle donne: Libere e uguali. Per una nuova idea di parità
Con questo intento è nato Libere e uguali. Per una nuova idea di parità, il progetto di Donna Moderna che viene lanciato l’8 marzo all’Università degli Studi di Milano, in occasione delle celebrazioni della Giornata Internazionale della Donna, e che mira a smantellare stereotipi e pregiudizi che ancora ostacolano l’affermazione di una società realmente equa ed inclusiva. L’iniziativa, lunga un anno, si articola in più tappe.
Il primo step è l’Osservatorio sui diritti, un ampio programma di ricerca realizzato con l’Istituto Swg che attraverso quattro sondaggi mirati, rilasciati nel corso dei mesi, indaga la condizione femminile in vari ambiti – relazioni, lavoro, famiglia, spazio pubblico e linguaggio – raccogliendo esigenze, mancanze, desideri e obiettivi delle italiane.
I tavoli di lavoro con gli esperti
Il secondo step comprende quattro tavoli di lavoro che, da aprile all’autunno, proveranno a tradurre le istanze emerse dai vari sondaggi in proposte concrete, grazie all’impegno congiunto di esperti di giurisprudenza, istituzioni, forze dell’ordine, psicoterapeuti, attiviste, docenti, scrittori, studenti. Attraverso la condivisione di competenze, esperienze, idee, coordinata dai nostri responsabili di testata e con la supervisione scientifica dell’Università degli Studi di Milano, che da più di 10 anni si occupa di politiche di genere, si arriverà a stilare un Libro Bianco con una serie di proposte e azioni concrete da presentare al governo il 25 novembre 2024, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Così il cerchio si chiude. Ma è solo l’inizio di un cammino che ci vuole tutte protagoniste di un futuro più giusto e paritario.
Cosa ci dicono i dati del sondaggio sulle relazioni
Nella prima indagine dell’Osservatorio sui diritti siamo partiti dal “cuore” della vita di tutte noi, ovvero dalla sfera privata, quella delle emozioni e delle relazioni, la più inquinata da stereotipi e pregiudizi. «Questa ricerca, composta da 1.034 interviste a donne e uomini, si pone l’obiettivo di indagare quali sono le necessità, i bisogni e le aspettative delle italiane in merito alle relazioni, comprendere cosa viene percepito come abuso e identificare le principali priorità di intervento per contrastare la violenza di genere» spiega Alessandra Dragotto, Head of research di Swg.
Per strada o al lavoro sappiamo riconoscere cos’è violenza
I risultati ci dicono due cose importanti. La prima, positiva: «La consapevolezza su ciò che è violenza nella sfera “esterna”, ovvero per strada, quando siamo in un locale con le amiche, in discoteca, sul luogo di lavoro, è molto migliorata. Oggi le donne sanno riconoscere con chiarezza le forme di violenza, anche quelle più sottili e striscianti, e non le tollerano più. Nel sondaggio c’è una chiara condanna verso palpeggiamenti, rapporti sessuali con chi non è in controllo di sé, condivisione di immagini intime e perfino sguardi troppo intensi» spiega Dragotto.
Nelle relazioni non abbiamo affatto chiaro quali siano i nostri diritti
La seconda cosa che i risultati del sondaggio ci dice è decisamente meno positiva: «Nella sfera personale, quando parliamo di relazioni di coppia, di rapporti con un partner stabile, quando ci sono di mezzo i figli, facciamo più fatica a distinguere nitidamente gli stereotipi, cosa sia violenza, quali siano i limiti che non vanno superati» aggiunge Dragotto. Su questa dicotomia Silvia Romani, Professoressa associata di Storia delle Religioni all’Università degli Studi di Milano e Referente dipartimentale Rete Parità di Ateneo, riflette: «Nella cultura di oggi dove tutto è immediato, istantaneo, la dimensione del fuori, inteso anche come quello che noi mostriamo, ovvero il nostro corpo, è importantissima, soprattutto per i ragazzi. Facciamo invece più fatica a relazionarci e a stare con consapevolezza nella parte più profonda, intima, come per esempio quella delle relazioni, in cui la velocità non paga ma entrano in gioco altri fattori come la responsabilità e le fragilità». Per capire meglio come stanno le nostre relazioni, analizziamo i dati più significativi.
La coppia: che cos’è?
«Per uomini e donne la relazione è soprattutto condividere tempo ed esperienze. Non solo, è anche divisione di compiti e mansioni, ma per 4 donne su 10 rimane un esercizio di funambolismo» dice Alessandra Dragotto. «La percezione della coppia cambia a seconda del genere – per gli uomini, a sorpresa, il supporto reciproco e la divisione delle mansioni sono più sentiti – e dell’età. Se per le Millennials il legame dà soprattutto sicurezza in un’età in cui tutto attorno sembra instabile, per la Gen X è spesso dettato dal compromesso. E per i Boomers è anche (ma sempre meno!) una soluzione per avere compagnia ».
Che cosa manca alle coppie oggi
Che cosa manca però oggi nelle relazioni? Molte cose diremmo guardando gli ultimi dati Istat, secondo cui nel 2021 le separazioni sono aumentate del 22,5% rispetto all’anno precedente e i divorzi del 24,8%. «Alle donne manca soprattutto il coinvolgimento emotivo, in particolare tra le ragazze (il 72%). E questo perché vogliamo vivere in maniera intensa, non ci accontentiamo più di emozioni sbiadite, deboli» aggiunge Dragotto. O forse perché i ragazzi di oggi, specialmente i maschi, hanno paura del coinvolgimento. «La coppia, in particolare nell’adolescenza, può essere fonte di grande sofferenza. Quando qualcuno a cui ti eri affidato e che ti faceva stare bene distoglie lo sguardo e dice che è finita, si prova un dolore fortissimo, spesso ingestibile, soprattutto se non si ha un nucleo identitario forte» spiega Matteo Lancini, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro.
I ragazzi come vivono le relazioni
Se sia la fragilità dei ragazzi a tenerli lontani dalle relazioni forti, coinvolgenti, Silvia Romani non lo sa. «Quello che vedo però, dal mio osservatorio privilegiato di docente e di mamma di un maschio 20enne, è che i ragazzi hanno il desiderio di stare insieme, ma fanno fatica Per il 53% delle donne e il 57% degli uomini le vittime di violenza non denunciano per timore di essere giudicate a relazionarsi con il corpo, il loro e quello degli altri. E, forse anche per questo, non sentono la mancanza della vicinanza. Il rapporto di coppia per loro ha valore, ma esiste in una dimensione “sedata”, molto “normalizzante”, perché i giovani di oggi sono conservatori e perbenisti. Un esempio? Le vacanze le fanno con i genitori del compagno o della compagna. Cosa impensabile quando io avevo la loro età!» sottolinea la docente della Statale.
La violenza: resistono ancora troppi pregiudizi
Che il nostro Paese sia ancora molto indietro sul tema della parità e della violenza di genere lo dice l’ultimo rapporto Cedaw, la Convenzione che vieta la discriminazione delle donne in tutti gli ambiti della vita, elaborato da 32 associazioni e quattro esperte indipendenti e coordinato da D.i.Re – Donne in rete contro la violenza. «Nella società italiana in cui noi siamo relegate al ruolo principale, se non esclusivo, di madri e caregiver, c’è ancora una reale disparità di potere, in senso lato, tra donne e uomini. È come se noi non avessimo le stesse chance che vengono date ai maschi» spiega Marcella Pirrone, avvocata, Rete D.i.Re, già presidente WAVE – Women Against Violence Europe. Ma questa disparità non è l’unica causa della violenza di genere. «Ce n’è un’altra, culturale, che va di pari passo con la prima. Ed è la presenza di forti stereotipi tradizionalmente patriarcali» continua l’esperta.
Nelle relazioni facciamo fatica a riconoscere i comportamenti violenti del partner
Pregiudizi e comportamenti che spesso sono gli elementi prodromici della violenza. E che purtroppo vengono fuori in modo chiaro e preoccupante dal nostro sondaggio: il 12% delle donne (e il 22% degli uomini) crede che controllare spese e carte di credito del partner sia normale, 1 italiano su 4 pensa che l’accesso ai reciproci smartphone faccia parte dello stare in coppia, il 18% degli uomini sostiene che non ci sia niente di male nel fare pressione sulla compagna per avere un rapporto sessuale.
Sul consenso non abbiamo le idee chiare
A proposito di intimità, le risposte sul consenso sono preoccupanti: due terzi degli intervistati dice che il “sì” al rapporto vale solo se esplicitato verbalmente e il 18% delle ragazze (percentuale che sale al 24 tra la più giovani) considera il consenso come una cosa non revocabile. «Questo dato è davvero brutto. Ma non c’è da stupirsi visto che in Italia abbiamo una legge sulla violenza sessuale in cui non si parla ancora di consenso» spiega l’avvocata Marcella Pirrone. Ad aggravare il quadro, c’è il numero – altissimo – secondo cui un quarto delle donne, anche a fronte di una violenza subita, si sente responsabile. I motivi più citati? La frequentazione di luoghi poco sicuri, l’aver bevuto, l’abbigliamento provocante.
La prevenzione: l’educazione all’affettività e al rifiuto
In base agli ultimi dati dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea solo l’11% delle donne che subiscono violenza decide di denunciare. Il motivo? «Hanno paura. Certo, anche del giudizio altrui, ma soprattutto di essere uccise o che di mezzo ci vadano i figli» dice Marcella Pirrone. La stessa paura che costringe 4 donne su 5 ad cambiare i propri comportamenti per sentirsi più sicure: a un terzo è capitato di farsi accompagnare a casa la sera o di simulare una telefonata trovandosi da sola, mentre il 27% evita di indossare abiti appariscenti che possono essere considerati un “invito”.
Serve un’educazione alla fine di una relazione
E allora, cosa si dovrebbe fare? «Innanzitutto smettere di giustificare la violenza, pensando che sia il sintomo di una persona instabile o, ancora peggio, il frutto di un momento di rabbia o di fragilità» conclude Pirrone. «E poi fare prevenzione, ovvero educare all’affettività e all’abbattimento degli stereotipi di genere». Ma anche alla fine di una relazione. «Dobbiamo aiutare i ragazzi a sperimentare e ad accogliere le emozioni, che siano positive o negative, insegnando loro ad accettare anche gli addii. Come? Dandosi il tempo e lo spazio giusto per trovare insieme il significato di quel percorso che si è fatto in due» dice Matteo Lancini.
Relazioni: l’importanza di studiare il mito
All’educazione affettiva Silvia Romani aggiungerebbe un lavoro culturale più profondo, che coinvolga davvero le nuove generazioni: «A mio parere andrebbe trovato un linguaggio condiviso dai ragazzi e dalle ragazze, non soluzioni polarizzanti e ideologiche che spesso servono a coprire la mancanza di cambiamenti reali. Servirebbe una crescita culturale comune, senza per forza sentirsi antagonisti: noi da una parte e voi dall’altra. Per fare ciò, soprattutto noi insegnanti dovremmo riscoprire con i giovani i capolavori della letteratura classica. Studiare il mito ti consente vicinanza ma nello stesso tempo lontananza: sono storie che dicono qualcosa di profondo e attuale ma che al contempo ti fanno sentire al sicuro. Non come la cronaca che leggiamo tutti i giorni. Gli esempi che mi vengono in mente? Le Metamorfosi di Ovidio. in cui si parla della “morbidezza” e della fragilità del corpo femminile. Oppure Saffo, che in un’epoca profondamente patriarcale ci racconta come la poesia sull’amore abbia reso libere e felici alcune donne. O ancora potremmo raccontare le storie delle scienziate. Non dicendo “Che mito!”, ma interrogandoci su cosa vediamo in profondità e cosa ci possono insegnare».
Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano
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