Eravamo in seconda o in terza media. Viaggiavamo su un pullman, ammassati in fondo, nel tempo in cui le cinture di sicurezza erano accessori risibili e assenti. Abitavamo il territorio alieno della preadolescenza: figure implumi e sottili, curve timide e ormoni impazziti. Da poco «ero diventata signorina», come si usava dire, ed ero molto compresa nel mio status di creatura evoluta. Affrontavo i nuovi ritmi del mio corpo acerbo a testa alta, sprezzante del dolore, con l’orgogliosa abnegazione di un soldato al fronte. Rispetto a quegli impiastri dei miei coetanei maschi nutrivo un enorme senso di superiorità.

La parità passa anche dalla conoscenza dei reciproci corpi

Ricordo che nel pullman senza cinture mi ritrovai a osservare il compagno Gargiulo (il nome proprio non è pervenuto perché alle medie non serve), ragazzetto imberbe e scapigliato dalla risata scomposta, la voce stridula e l’ascella respingente. E all’improvviso ebbi la certezza che il Gargiulo non immaginasse nemmeno l’esistenza, nella vita umana, delle mestruazioni. Mi convinsi che qualcuno avrebbe dovuto fornirgli spiegazioni, sollevandolo dall’abisso di insipienza in cui sprofondava, al pari di tutti quegli altri esagitati brufolosi che gli berciavano accanto.

Da quel momento in poi l’evangelizzazione del maschio su temi femminili è entrata di prepotenza nei miei pensieri perché, già a 12 anni, intuivo che la parità passa anche dalla conoscenza dei reciproci corpi e del loro funzionamento

Ricordo di aver spedito giovanissimi fidanzati imbarazzati a comprare assorbenti interni («Mi raccomando, quelli per un flusso abbondante!»), di aver descritto a mio padre perplesso le sensazioni di una montata lattea, di aver parlato a mio fratello dell’importanza di un pavimento pelvico tonico, di aver spiegato ai miei bambini di spermarca ma anche di menarca perché ci arrivassero preparati, a differenza di Gargiulo. Non ho mai avuto inibizioni o reticenze nel condividere la mia esperienza femminile, anche nella sua intimità, convinta che i silenzi e i tabù producano mostri.

Parlare ai maschi della menopausa: perché ci spaventa?

Eppure, quando le mestruazioni hanno smesso di arrivarmi, ho taciuto, illudendomi che si trattasse di uno stop momentaneo e reversibile. «Sei ufficialmente in menopausa» mi ha comunicato il ginecologo in tono neutro e io, che avevo sempre accolto con curiosità i cambiamenti del corpo, mi sono sentita inspiegabilmente sconfitta, come di fronte a un fallimento o a una colpa. A fatica l’ho detto a mio marito. Mio figlio maggiore lo ha saputo solo perché me lo ha chiesto. Con mia madre ho glissato, con le mie amiche ci siamo confidate in modo carbonaro. Solo a distanza di quattro anni, e facendomi un po’ di violenza, oggi riesco a parlarne quasi con serenità. E ogni volta che la reticenza riaffiora mi impongo di reprimerla, perché diventare grandi significa anche affrancarsi da uno stupido stigma. E perché la libertà sta nello stare comode in ogni stagione della vita.