Siamo tutti figli, per sempre. I genitori hanno ispirato e condizionato la persona che siamo diventati. Ancora oggi ci influenzano: sono dentro i nostri gesti quotidiani, permeano i valori in cui crediamo e persino dietro a comportamenti di cui non ci rendiamo conto ritroviamo loro, l’ombra di ciò che abbiamo vissuto e sperimentato all’inizio della nostra vita, in famiglia. Questo bagaglio che ci portiamo dietro è una valigia chiusa in cui stentiamo a dare un’occhiata, preferiamo lasciarlo in un angolo dimenticato. Eppure, dentro ci sono tutte le parole dette (e non dette), i gesti e gli esempi vissuti in famiglia, spesso mai metabolizzati.
Molta dell’eredità che i genitori hanno seminato in noi è per gran parte invisibile. Si tratta di situazioni e modi di essere che nessuno si è mai fermato a spiegare, ma che noi da bambini abbiamo sempre visto. Il modo degli adulti di affrontare la vita, il lavoro e le relazioni si sono incollati nei nostri sguardi con la stessa potenza di una fotografia dell’album di famiglia. Solo che non ne siamo consapevoli e così finiamo per… essere al 98% la copia dei nostri genitori, anche se è l’ultima cosa in assoluto che vorremmo. Quale spazio stai coltivando per essere davvero te stessa?
Fermati al centro delle tue emozioni
Philippa Perry, psicoterapeuta e autrice, all’inizio de “Il libro che vorresti i tuoi genitori avessero letto” (Corbaccio) invita a fare un esercizio. Quali sono i comportamenti capaci di provocarti in maniera esagerata? Ci sono emozioni che proprio non riusciamo a tenere a bada. Rabbia, tristezza, disgusto: sappiamo il nome di queste “emozioni difficili”, ma raramente ci fermiamo a dare loro un posto. Quel comportamento dell’altro che ti fa reagire così, con un’esplosione immotivata e deflagrante, quando l’hai provato per la prima volta? Vale per figli e mariti, ma non solo. Fermati e chiediti: da dove arriva questa sensazione? «Per ricucire gli strappi, dovete prima di tutto impegnarvi a cambiare le vostre relazioni”, suggerisce l’autrice: ”Dovrete dunque riconoscere i motivi scatenanti e usare questa consapevolezza per reagire in modo diverso».
Parola chiave, riconoscimento. Il problema non è ciò che abbiamo vissuto, bensì come abbiamo rielaborato le nostre esperienze di vita. Quando riconosciamo ciò che è stato, allora possiamo anche cambiare e andare verso nuove direzioni. Altrimenti il rischio è rimanere intrappolati in schemi di cui non siamo nemmeno consapevoli. Ogni bambino è una persona con bisogni fondamentali che riguardano la sicurezza, il diritto a essere nutrito (anche emotivamente), ascoltato, preso in considerazione, stimato. Può accadere di aver vissuto la propria infanzia accanto a genitori emotivamente assenti, a loro volta vittime di analfabetismo emotivo.
Le esperienze dell’infanzia possono averci reso più vulnerabili e fragili, meno consapevoli di dove andare a cercare l’amore e coltivare una relazione felice nella vita di tutti i giorni. Schiacciata dal senso del dovere la nostra gioia, abbiamo dimenticato la leggerezza e messo un tappo alla passione. Eppure veniamo da lì e non sarà questo a impedirci di essere felici. Anzi, la nostra storia può diventare uno straordinario motore di cambiamento. Il punto è… fermarsi e iniziare a (ri)vedere il passato con gli occhi del presente.
Dietro tuo padre c’è il figlio che è stato
I bambini non fanno quello che diciamo: i figli fanno quello che facciamo e ogni genitore conosce benissimo questa piccola verità universale (pur tenendola spesso in secondo piano, in verità). I tuoi genitori che figli sono stati? Da bambini che vita hanno vissuto? Prendersi tempo per ricostruire l’album di famiglia può essere un esercizio incredibile per la consapevolezza delle nostre relazioni: aiutati con un taccuino e prendi nota dei ricordi che ti attraversano la mente. Indaga, se ci sono membri della famiglia ancora in vita. Zii, nonni, amici di famiglia possono aiutare a comprendere un quadro di relazioni a cui non abbiamo immediatamente accesso. I tuoi genitori non sono stati solo bambini: sono stati figli, con la loro valigia di desideri, bisogni e sogni, talvolta incompresi, trascurati, poco stimati. È con questo bagaglio che sono arrivati fino a te, cercando di fare del proprio meglio e a volte senza riuscirci.
Ora sei adulta anche tu e lo sai: non è facile camminare in equilibrio, conciliare amore e matrimonio, trovare un compromesso con i nostri sogni di gioventù e ricordarsi di essere felice. Gradualmente, saliranno a galla i piccoli e grandi fatti che hanno scritto la storia della tua famiglia, i dolori, il modo di impostare le relazioni e il modello di coppia che a loro volta i tuoi genitori hanno vissuto, in quanto figli, con quelli che sono stati i tuoi nonni. Perdersi nel gomitolo ingarbugliato degli eventi e delle vecchie foto ti farà trovare un filo da tenere ben stretto, il bandolo della matassa per intuire con più chiarezza il presente di ciò che sei.
Tu che genitore sei?
I genitori sono figli e ogni figlio lo è per sempre. Siamo abituati a pensare ai nostri genitori come adulti, poi anziani, eppure a loro volta sono stati ragazzi e sognatori, con le loro speranze e gli amori, le delusioni e le frustrazioni, di cui a volte sappiamo pochissimo. “Nessuno può identificarsi da solo” scrive Carlo Sini, autore e per trent’anni professore di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano: “L’identificazione avviene infatti e anzitutto per il dono del nome. «In nome del padre», dice la nota formula”. La stima di sé passa attraverso quanto siamo stati riconosciuti e legittimati nelle nostre scelte. Ma come spiega l’autore il riconosciuto a sua volta contrae un debito, anzi due: il debito di riconoscenza verso il passato, verso i genitori, e un debito verso il futuro, perché diventando genitore dovrà a sua volta riconoscere i figli, farsene carico, esserne responsabile.
Se siamo genitori, è il momento di chiedersi che tipo di persona stiamo mostrando ai nostri bambini. Tu sei l’adulto che avresti voluto conoscere da piccola? Se la risposta è no, forse è arrivato il momento di trasformare la tua vita e le tue relazioni. Andare in cerca di vecchie foto insieme ai figli per loro sarà un’avventura preziosa. Chiedere aneddoti, indagare, fare domande è l’occasione per creare un legame più autentico e profondo con i nonni e la famiglia. A volte rappresenta anche l’ultima opportunità, prima che il tempo chiuda la possibilità di farlo.
A chi sei fedele?
Secondo Bert Hellinger, ex missionario e psicanalista, riconoscere il sistema da cui proveniamo e ristabilire l’ordine è l’unico modo per liberarci dal peso della storia e poterla riscrivere. «La comprensione», scrive nel suo libro “Ordini dell’amore. Un manuale per riuscita delle relazioni”, è «come un filo d’erba che si piega al vento e, siccome si piega dove è debole, resiste». Il punto che “fa piegare” è il cuore della nostra vulnerabilità: di frequente non siamo affatto disposti ad andare lì, perché sappiamo che potremmo trovarvi sconcerto, difficoltà, dolore, paura. Questo è l’atteggiamento che abbiamo anche verso i nostri genitori: non vogliamo vedere.
Ogni famiglia ha una storia che si fonda sull’amore e sulla morte: gli assenti, come gli amori abbandonati, i lutti e i parenti estromessi dagli album di famiglia fanno parte del non detto che ogni famiglia ha. Quanto più riusciamo a penetrare in questo territorio maggiore è la possibilità di vederlo e cambiarlo, perché tutto ciò che non viene riconosciuto continua comunque ad agire in noi. Hellinger è noto per aver sviluppato le “costellazioni familiari” come metodo per la presa di coscienza e la risoluzione dei conflitti nascosti. C’è un ordine nascosto a cui va la nostra cieca lealtà: gli siamo fedeli senza rendercene conto, avverte. I cambiamenti avvengono soltanto se si guarda in faccia la realtà.
Viviamo le relazioni… come le pensiamo
Le immagini interne che ci portiamo dentro configurano le nostre relazioni, il nostro modo di cercare l’amore, strutturare i rapporto con i figli e la famiglia. Che tipo di adolescente sei stata? Che adulto si aspettava che tu diventassi la tua famiglia? Su ognuno di noi, in modi diversi, pesa l’aspettativa familiare. Chi viene giudicato poco abile in matematica spesso finisce per esserlo realmente: ci “adeguiamo” al modello che vedono in noi nello stesso modo in cui assumiamo gli altri come modelli. Questo vale anche per le relazioni. Diventiamo le mogli e le madri che avevano pensato di noi… Oppure no.
Può succedere che qualcosa, dentro di noi, si rompa. Si tratta di un momento estremamente doloroso, ma in quella crepa, come insegna l’arte del Kintsugi, c’è l’inizio della ricostruzione, la cura delle ferite. Chi riesce a scrivere una storia differente non ha avuto una vita migliore. Al contrario, è una persona così coraggiosa da andare nelle proprie ferite e riaprirle, viverle. Il primo passo è chiedersi quale storia abbiamo vissuto noi da bambini. Che cosa non è andato? E che cosa, invece, desideravamo? Queste domande sono un modo per tornare a chiederci cosa vogliamo dalla vita, dai noi stessi e per la nostra famiglia. Immaginare… è il primo passo per creare.
Come immaginavi la vita da bambina?
Prima ancora di diventare una coppia e dare forma alla nostra famiglia siamo quella bambina di tanto tempo fa: lei è cresciuta, sì; ha vissuto esperienze, imparato a fare un bonifico e pagare le bollette, ma dentro, in un territorio selvaggio e quasi irraggiungibile, vive ancora la stessa sognatrice. Negli anni, l’esistenza che immaginavamo con innocenza e spericolata fantasia si è scontrata con la realtà. L’impatto sappiamo quanto possa essere duro: si cade, ci si rialza. Soprattutto, si inciampa.
Quando capita di inciampare il fastidio ha la potenza di uno scossone tremendo perché mentre si perde l’equilibrio, per evitare il dolore dell’impatto, ci si aggrapparsi a ogni possibile appiglio. E allora il rischio reale è che si finisce per trascinarsi ogni cosa e far cadere tutto ciò che abbiamo faticosamente costruito. Nel frattempo la vita ci ripresenta situazioni e persone: noi le affrontiamo, di nuovo. Iniziamo daccapo. Ci immergiamo. Ma ancora una volta non funziona: sembra di vivere un videogame. Di nuovo, “game over”: livello di gioco non superato.
Il cambiamento inizia da te stessa
“La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi” recita un celebre aforisma di Albert Einstein. Che cosa ti attrae in un uomo? Come pensi sia una “famiglia felice”? Raramente ci diamo il tempo per rispondere a domande come queste.
La parola “responsabilità” deriva dal participio passato del verbo latino respòndere: essere responsabili significa essere capaci di dare risposte. Agli eventi, altri, alla vita: soprattutto a noi stessi. Le risposte cambiano, insieme ai periodi della nostra vita. Ognuna può essere adatta per una persona e non per un’altra. Non esistono risposte giuste per qualsiasi situazione.
Esiste l’attitudine a farsi domande e questa invece è un’abilità, un impegno quotidiano: la promessa fatta alla bambina di un tempo, che voleva una vita felice, viva, piena, autentica. E l’avrà, se tu lo vuoi veramente. Non sarà la stessa esistenza che sognavi a occhi aperti, ma sarà tanto più vera e coraggiosa perché l’immaginazione quando incontra la vita diventa frutto maturo, ispirazione e consolazione.