Odio mia madre: la storia di Lara e Camilla
«Odio mia madre. Fin da piccola la ricordo come una donna algida e capricciosa, e negli anni non è cambiata. Potrei anche fregarmene, lo so: il problema è che nel suo buco nero ha trascinato pure mio padre. Provo pena per lui e rabbia per lei. Mi sono allontanata da entrambi, ho fatto anche psicoterapia, ma poco è cambiato. Vorrei scaraventarle addosso tutto ciò che penso, anche se sono sicura che non servirebbe a nulla. Mi sento impotente».
Lara vive a Vicenza, ha 38 anni, un matrimonio felice, due figli che adora. E una storia simile a quella di Camilla, 44 anni, base a Cagliari e una figlia: «Il mio più grande terrore, crescendo, è stato diventare come mia madre: la donna che non ha mai saputo dedicarmi attenzioni, che non mi credeva mai all’altezza. Ho fatto un lungo percorso di psicoterapia per riuscire a ritrovarmi, a fare pace dentro di me. Oggi sono consapevole di non aver avuto un modello a cui ispirarmi per riconoscere e gestire le emozioni, però sono serena e riesco ad amare mia figlia senza mettermi sempre sotto esame».
Bisogno di approvazione e istinto di ribellione
Quante di noi hanno urlato: «Mamma, ti odio!». E quante hanno pianto chiedendo: «Perché non mi vuoi bene?». A tante è capitato di provare ciò che hanno appena descritto Lara e Camilla, soprattutto da ragazzine. Quando oscilli tra il bisogno di approvazione e l’istinto di ribellione, il desiderio di emulazione e la ricerca dell’indipendenza. Perché colei che ti ha messo al mondo è il modello a cui vuoi ispirarti e da cui al contempo cerchi di staccarti. Esplicita questa dicotomia spesso inconfessabile la scrittrice Federica De Paolis nel romanzo appena uscito Da parte di madre (Feltrinelli): un racconto autobiografico tenero e dissacrante dove scava nella memoria e viviseziona la sua «fantasmagorica mamma bionda», che da eroina diventa avversaria, facendoci riflettere sul più complesso e sfaccettato dei legami.
Durante l’adolescenza, il litigio tra madre e figlia è naturale
«È quello che cambia maggiormente nel corso del tempo: l’amore viscerale, assoluto che proviamo nell’infanzia si trasforma in un sentimento ambivalente, conflittuale durante l’adolescenza», osserva Grazia Attili, psicologa e autrice del saggio L’amore imperfetto. Perché i genitori non sono sempre come li vorremmo (il Mulino). «La figlia oscilla tra la ricerca dell’autonomia necessaria alla formazione della propria identità e il bisogno inconsapevole di essere ancora protetta. Di qui una profonda rabbia verso la madre, che viene criticata proprio al fine di potersene distaccare. È una dinamica naturale, questa, e di solito con l’età adulta l’astio si placa, i ruoli si riequilibrano e il rapporto evolve verso la reciproca comprensione».
Perché il conflitto a volte rimane anche da adulte?
Accade però che la conflittualità permanga e diventi addirittura odio. In pochi casi, ma è inutile negarli. «Succede quando la madre è stata poco presente dal punto di vista affettivo, si è rivelata non essere la “base sicura” capace di far sentire protetta e amata la figlia. L’odio di quella bambina diventata adulta è una sorta di pretesa di risarcimento per quanto non ha ricevuto da piccola» analizza Grazia Attili, che è anche docente di Psicologia sociale all’università La Sapienza di Roma. «Ma succede anche se la madre è ipercritica e intrusiva nei confronti della figlia, cerca di spingerla al successo per compensare la propria frustrazione e non rispetta il modo in cui ha costruito la sua vita. Il rancore di quest’ultima nasce quindi dalla sofferenza per la mancata accettazione e dal sentirsi costretta in un ruolo che non le appartiene».
Ad accrescere la tensione, molto spesso, i silenzi, i non detti, le recriminazioni taciute. Come accade alle protagoniste di Fino alla fine (Fazi), potente romanzo della giovane autrice norvegese Helga Flatland: Sigrid, 40 anni, e sua madre Anne, quasi 70. Sigrid sta ancora aspettando che Anne faccia ammenda per aver trascurato lei e suo fratello fin dalla tenera età e il tempo non ha lenito il dolore. «So che Sigrid sente il bisogno di una mia richiesta di scuse, di una mia espiazione, ma non trovo le parole né il modo» dice a un certo punto Anne.
Come superare il conflitto madre-figlia
Eccolo, il nodo. Una riconciliazione può esserci solo con il perdono reciproco per ciò che non è stato dato e ricevuto. «La figlia dovrebbe comprendere che la vera causa non sta in lei, bensì nei problemi irrisolti della madre» continua Grazia Attili. «Ma anche la madre dovrebbe fare la sua parte. E capire che riversare sulla figlia le sue insicurezze, frustrazioni, difficoltà – che magari a loro volta hanno lontana origine nella propria infanzia – non è un modo per affrontarle e superarle».
Anzi, può generare quel circolo vizioso che nel romanzo di Helga Flatland porta Sigrid ad avere un rapporto conflittuale anche con sua figlia Mia. «Una figlia che ha subito un distacco emotivo dalla madre nella sua infanzia potrebbe non essere in grado a sua volta di capire appieno i bisogni affettivi dei propri, di figli. Si verifica quella circolarità che lo psichiatra inglese John Bowlby chiama “trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento”. Solo la comprensione reciproca dei bisogni può evitare che questa profezia si avveri» conclude Grazia Attili, citando un’opera in cui il rapporto madre-figlia è come tutte lo vorremmo: Piccole Donne.