L’appuntamento era il sabato sera alle otto nel mezzanino della stazione di Loreto della metropolitana milanese. Non propriamente un luogo ameno e neppure ben frequentato. Ma eravamo adolescenti di città e di quello scampolo urbano al neon facevamo poesia. Non esistevano gruppi WhatsApp né tantomeno telefonini ma noi, puntuali e costanti, non avevamo bisogno di dirci niente: eravamo un gruppo di amici, sapevamo le regole e questo bastava. Parlavamo di noi, di politica, dell’amore, dei sogni, del mondo che avremmo cambiato. Insieme abbiamo fatto mille scoperte, siamo andati all’avventura, abbiamo imparato a guidare, a lavorare, a cavarcela, a stare al mondo. Quando la prima di noi è diventata mamma, eravamo tutti appostati fuori dalla sala parto, di notte, ad accogliere la nostra prima figlia. Poi sono arrivati i 50 anni.
La vita ci ha travolti, come spesso succede. Ci sono stati matrimoni, divorzi, lavori altrove, inciampi, latitanze, litigi e rappacificazioni. Eppure io, negli ultimi quarant’anni, ho sempre saputo che, alle otto del sabato sera, in un immaginario mezzanino del metro, c’è sempre qualcuno su una panchina in attesa. Per una chiacchiera, una cena, una pacca sulla spalla, un abbraccio.
Perché è quello che fanno gli amici: ci sono e ti aspettano
Oggi siamo ancora qui, dritti, storti, appannati, divertiti, confusi, imperfetti e solidali, come eravamo allora. Abbiamo figli adolescenti, come noi allora, che, acerbi e giudicanti, osservano le nostre cene, le nostre feste, il nostro lessico familiare con la pietosa condiscendenza che noi riservavamo ai nostri genitori. La storia si ripete in un gioco di specchi che fa girare la testa.
Spesso ci troviamo ancora il sabato sera, nelle nostre case da adulti. A volte apparecchiamo con il servizio bello, mangiamo manicaretti che in questi anni abbiamo imparato a cucinare («Incredibile! Ti ricordi quando non sapevi nemmeno fare il caffè?»), ci spaparanziamo sui rispettivi divani con la sfrontatezza della consuetudine («Io mi tolgo le scarpe»). Parliamo di noi, di politica, dell’amore, dei sogni, del mondo che altri hanno cambiato. A volte qualcuno comunica i valori del proprio colesterolo («Così alto? Levategli quel formaggio dal piatto!»), della pressione («Prendo la pillola»), della menopausa («Io contro l’osteoporosi cammino come una indemoniata»).
Ci riconosciamo sempre, nelle nevrosi di ieri, nella resistenza di oggi. Continuiamo a giocare, come allora. Ci siamo scelti a 15 anni e ci scegliamo oggi a 50 suonati. Perché siamo casa, famiglia, il faro a cui tornare. Ogni tanto nel nostro gruppo WhatsApp (oggi sì, lo abbiamo) circola qualche fotografia d’annata. Eravamo belli e non lo sapevamo. Anche oggi siamo belli, in altri modi. Per la nostra vecchiaia stiamo pensando a una casa in cui trasferirci tutti insieme, vicino alla stazione di Loreto della metropolitana milanese.