Qualche decennio fa mia suocera ebbe un’accesa discussione con quel figlio che sarebbe, poco dopo, diventato mio marito. Essendo entrambi creature passionali che prosperano nella polemica, i loro litigi sono eventi frequenti, privi di strascichi e pertanto non memorabili. Tuttavia quella volta fu diversa dalle altre. Lei, che aveva più o meno l’età che ho io oggi, puntò un dito minaccioso verso di lui e tuonò: «Ti auguro di avere non uno, non due, ma tre figli come te!». Lo strale sottendeva la fatica improba di crescere virgulti di quella progenie irritante ma anche la condanna a riprodursi esclusivamente al maschile.

Una variabile non preventivata: le fidanzate dei figli

Sul momento non colsi la potenza di quel dito e di quelle parole, ma alcuni anni dopo mi resi conto che gli avvertimenti delle suocere sono profezie. Oggi che il verdetto si è fatto realtà e condivido casa e frigorifero con tre emanazioni di mio marito per genere e gravosità, ho scoperto che, in quella premonizione, erano contenute ulteriori variabili non preventivate: le fidanzate.

Quel bene per le giovani nuore

Lo sanno tutti: degli amori acerbi non bisogna fidarsi. Voler bene alle proprie giovani nuore è una pratica incauta e foriera di indicibili, gratuite sofferenze. Che problema c’è? Basta tenere le dovute distanze, minimizzare le occasioni di incontro e limitarsi a comunicazioni di servizio («Il bagno è in fondo al corridoio a destra»).

Ma noi madri di maschi siamo provate dal testosterone, da un’affettività ruvida, dalla voracità belluina, dall’incompetenza emotiva. Se, nel virile pantano in cui solitamente sguazziamo, compare all’improvviso una nostra simile, almeno nei cromosomi, ne restiamo folgorate. E, dimentiche della teoria e del buon senso, apriamo le nostre braccia, la nostra cucina e il nostro cuore e ci innamoriamo perdutamente. Il mio problema è che mi paiono tutte magnifiche e irresistibili: la volitiva, la svaporata, l’intellettuale, la stordita, la femme fatale, l’indifesa, la nevrotica.

Suocera e nuora, come andrà a finire?

Mi basta averle alla mia tavola una volta sola («Piacere, sono la mamma. Mangi con noi un piatto di pasta?») per volerle come figlie, nipoti, compagne di merende. Poi però, come sono arrivate, scompaiono. «Perché non viene più Giovannella? Era così simpatica!» «Ci siamo lasciati». Impallidisco. «Mamma, tranquilla. Non ci siamo rimasti male. Lo abbiamo deciso insieme». Vorrei urlargli in faccia la mia disperazione, ma simulo mondano equilibrio: «Certo, alla vostra età è normale prendersi e lasciarsi. È persino sano. Fate bene a sperimentare». Piangerei tutte le mie lacrime perché io a Giovannella volevo bene e, a 50 anni suonati, ho sperimentato a sufficienza.

Ogni volta mi dico che non ci cascherò più, che la prossima volta sarò più cauta. Però ieri è arrivata lei: ha gli occhi blu e lo sguardo furbo. Va pazza per i romanzi inglesi dell’800 e per il cioccolato al gusto arancia. Le voglio già bene. Sento già che soffrirò tantissimo per lei.